Udii September chiamare il mio nome e risposi con un ululato scherzoso.
Lui comparve correndo, ma quando mi vide s’incupì
«Non prendermi in giro!» esclamò, sollevando le braccia come se volesse acchiapparmi e chiudendo le mani ad artiglio «Posso essere molto più lupo di quanto tu possa immaginare!»
«Ah, si certo, come no... sei feroce …»
«Non mi hai mai visto con la luna rossa!»
«Che ti succede con la luna rossa?»
«Arghrar!» fece finta di ruggire e scosse la testa, come se volesse scrollarsi di dosso un parassita grosso come un uomo adulto «Divento alto sei metri e pesantissimo, con dei canini così grandi che a sfiorarti ti tagliuzzano!»
«Ah si? E dove la prenderesti l'energia per una trasformazione del genere?»
«Mangio tutto quello che trovo sul mio cammino e lentamente cresco... cresco... cresco… auuuu!»
«Ma dai…»
«No» mi guardò seriamente, poi ridacchiò con incerto nervosismo, e mi fece capire che non stava affatto scherzando «Tutto questo è vero. Fa parte della mia maledizione. Divento un Grande Crinos»
«Eh?»
«Un Grande Crinos» urlò e mi superò correndo, facendo finta di essere agile e abilissimo con saltelli e cose del genere «Una bestia orribile e tremenda, un maledetto lupo di tre metri»
«L’avevo capito questo…» gli trottai dietro senza fatica e lo acchiappai per la collottola «Ragazzino, così ci metterai anni per raggiungere il villaggio che cerchi. Dimmi verso dove devi andare, dai…»
«Non lo so, è questo il problema… »
«Come fai a non saperlo?» riusciva sempre a stupirmi, sia positivamente che negativamente
«So la meta, ma non so la strada. Al contrario dei vecchi saggi, eh! Dobbiamo recarci al Villaggio del Sole»
«Bah» scossi la testa e lo mollai, facendolo ruzzolare a terra con una piccola spinta sulla nuca «Non mi piace il nome del posto dove mi stai portando»
«A me si» scattò seduto, poi si rialzò scrollandosi la terra di dosso «Mi piace molto come nome, è solare…»
«Per l'appunto» ridacchiai, poi mi feci seria, sollevai un sopracciglio e lo riacchiappai dietro il collo «Hai detto che devi arrivarci entro stasera, ma ora spiegami come fai se non sai assolutamente dove dirigerti»
«Mentivo» rispose semplicemente, stringendosi nelle spalle goffamente «Non devo arrivarci entro stasera per forza. Insomma, è ovvio che lo devo fare se non ci sei tu con me, ma se ci sei tu, no, tranquilla, posso prendermi del tempo»
«Perché?»
«Mi proteggerai, non è vero?»
«Chi ti assicura che farò una cosa del genere?» lo spinsi avanti e indietro, poi lo lasciai e ringhiai «Pensi che io sia la tua guardia personale?»
«No, assolutamente»
«Bene, perché non lo sono»
«Ma sono solo e tu mi stai venendo dietro»
«Questo non significa che continuerò a seguirti ovunque»
«Ma mi vuoi bene, vero?»
«No» mentii, come per sentirmi più forte, stringendo un pugno
«E allora perché vuoi aiutarmi?»
«E va bene, va bene» mi massaggiai le tempie con una mano sola «… Innanzitutto si, ti proteggerò… ma perché senza di me avresti dovuto arrivare al Villaggio del Sole entro questa sera?»
«Ah, ma sei di coccio?» mi rise in faccia e la frangia gli coprì per qualche istante il tatuaggio a forma di croce celtica «Semplice, stanotte mi trasformerò. Se non ci fossi tu non so cosa farei… mi metterei nei guai… ucciderei qualcuno. Mi controllerai?»
«Certo» risi «E ora in cammino… Verso dove? Non si sa. Ma cammineremo, qualsiasi cosa accada ti porterò in quello stupido villaggio da vivo».
E così iniziò il nostro viaggio: in un modo così banale che persino un bambino avrebbe potuto inventarsi questa storiella. Due che si incontrano, due che diventano amici e viaggiano.
Ora che ci penso, non eravamo neanche amici, eravamo solo due tizi molto soli in un posto molto isolato. E io non ricordavo neanche di aver mai avuto amici o, che ne so, una famiglia o un amante o una qualunque entità pensante che conoscessi.
Sapevo che avrei mantenuto la parola data, lo avrei portato vivo al Villaggio del Sole.
Proseguimmo per ore. Chiacchierammo del più e del meno, che fondamentalmente significa “lui parlava di cose che non capivo e io rispondevo a monosillabi”. La voce di September era davvero allegra e mi metteva il buonumore, può sembrare insignificante agli occhi di molti, ma io adoravo quel timbro così strano da ragazzo.
Ma più avanzavamo, più il suo buonumore diveniva fievole. Non si intristiva affatto, ma colsi una sfumatura del suo tono che non mi convinceva, una sfumatura che sapeva di dolore.
Ad un certo punto gli vidi chinare la testa e lasciarla così, ciondolante sul petto. Non voleva che io vedessi che lui sentiva già l’affanno, non mi dava a vedere che il suo fiato si faceva leggermente aritmico. Sapeva che i miei sensi erano tali da poter capire ogni suo più piccolo problema. Rallentai, non gli dissi nulla per non ferire il suo orgoglio, ma quando notai che iniziava a trascinare i piedi non ce la feci più ad assistere impotente. Gli passai una mano dietro le spalle, una dietro le ginocchia, e lo presi in braccio
«Sei lycan da troppo poco» gli dissi «Sei ancora molto debole, non riuscirai a camminare ancora fino a stanotte. Pertanto ho deciso che ti trasporto»
«Sei impazzita?!» mi urlò lui «Guarda che non è vero, ce la faccio benissimo, non sono mica di burro»
«No» ribattei irremovibile «Ma sei umano»
«Ma che dici? Non sono umano, quello che dici è...»
«La verità. Zitto, prima che ti addormenti con un colpo in testa».
Lui fece finta di tossire, o forse tossì davvero in modo strano, e socchiuse gli occhi.
Lo trasportai per parecchio tempo, finché non si addormentò da solo come un bambino piccolo.
All'inizio non ero poi così felice dei miei pensieri, di provare affetto per lui, ma poi pian piano ben altro genere di sentimento mi colse nel guardarlo…
Era tenerissimo, così giovane, così chiaro e morbido, aveva abbandonato completamente il suo destino nelle mie mani. Letteralmente.
Avrei potuto mangiarlo, se avessi avuto fame. Avrei potuto affondare i denti nella sua gola scoperta e tirarne via un pezzo di carne, divorare il suo corpo. Non volevo farlo.
Pensare che era un licantropo anche lui e credevo che mi avrebbe aiutata a combattere… risi sommessamente delle mie idee bizzarre e analizzai il paesaggio circostante. Dovevo trovarmi all’incirca presso un insediamento rurale umano, perché le cascine e i filari ordinati di vegetali erano dappertutto.
E poco dopo vidi sorgere all’orizzonte la sagoma scura dei tetti e delle case di un piccolo paese.
Non poteva essere il Villaggio del Sole, o almeno così pensai: era troppo infimo e fumoso, brunito, e non aveva assolutamente niente di solare, era solo piccolo e basta.
Non pensavo che esistessero paesi del genere da quelle parti, ma ugualmente mi avviai verso di esso, fiancheggiando una strada di sassi grigi fra cui crescevano ciuffi d’erbetta di quella dura e sottile, scura anch’essa.
Fra le mie braccia September mugugnò nel sonno, arricciando per un istante le labbra morbide e dritte in una specie di ringhio rattristato.
A volte mi veniva voglia di fargli del male, di picchiarlo, non sapevo perché, ma poi mi passava quasi subito.
Inspirai profondamente. L'aria sapeva già di umani, del loro stupido profumo coperto da altri profumi innaturali, del loro sudore che cercavano malamente di nascondere, dei metalli e dei tessuti che portavano indosso. Rame, oro, argento. Soprattutto l’argento, quello che riuscivo a percepire dalla maggiore distanza.
Mi sforzai di non commentare né borbottare come facevo di solito, per non svegliare September, anche se avevo la netta impressione che non si sarebbe svegliato se non lo avessi preso come minimo a calci.
Entrai nel villaggio lentamente.
Ormai era il tardo pomeriggio e per fortuna tutto era fermo come morto sotto i raggi del sole cocente che mi scaldava la nuca come scaldava le strade e le case.
Ero stanca anch’io, ma ci ero abituata da tempo ormai e mi fermai solo qualche istante prima di trovare un riparo. Vidi il volto di una donna affacciarsi alla finestra consunta di una casa.
Istintivamente abbassai la testa, pur rendendomi conto che era un’azione stupida.
La donna mi guardò allibita. No, non guardava me… guardava September.
Mi allontanai e mi nascosi all’ombra di un edificio più alto degli altri.
Dietro di me, dietro il muro contro cui poggiavo la schiena, c’erano degli uomini che mangiavano, guardavano la televisione e giocavano a carte, potevo chiaramente udire i loro schiamazzi rumorosi.
Posai a terra September e gli misi una mano su una guancia
«Ehi, mago» sussurrai piano «Se non ti svegli sono guai».
Lui aprì un occhio verde e lucido
«Cosa io… ho dormito? Che è successo?» scattò a sedere e si guardò intorno intontito, in un crescendo di perplessità che temevo sarebbe potuta sfociare in una crisi isterica «Ma quando ci siamo arrivati qui?»
«Dormivi» risposi io, sedendomi accanto a lui
«Dormivo come?»
«Con gli occhi chiusi, come volevi dormire?»
«Sono sonnambulo per caso?»
«No, ti ho portato in braccio».
September guardò verso il cielo, evidentemente cercando di capire che ora fosse dalla posizione del Sole.
«Tutto questo tempo?» Le sopracciglia rosse s’inarcarono e la fronte gli si corrugò in una strana espressione «Mi dispiace di averti fatta stancare, ma pensi male se pensi che non possa camminare con i miei piedi, Furia!»
«Davvero?» sorrisi «Guarda che lo sapevo già se è per questo che hai un paio di piedi e che servono per camminare, ma è bene che tu non ti stanchi. Credimi. Ci sono già passata da questa fase, i primi giorni sono una tortura per l’organismo, è bene che non ti stanchi».
Stavo mentendo, non ricordavo affatto i primi giorni, non sapevo neanche se ci fossero stati, dei primi giorni.
September sbuffò seccato, poi si guardò intorno. Gli tornò subito il buonumore
«Dove siamo?»
«Non ne ho idea» risposi con sincerità «Ma credo che troveremo riparo e vestiti nuovi in questo posto»
«E a che mi serviranno se ogni notte mi trasformerò?»
«Non ne ho idea» mi strinsi nelle spalle, trattenendomi dal dirgli che se i vestiti non gli servivano era meglio che girasse nudo «Ma a me serviranno per non far pensare a male di me ogni volta che passo. Guardami, ti sembro civile?».
Lui mi studiò socchiudendo un occhio. Si mise una mano sotto il mento e l’altra in tasca, poi il suo petto iniziò ad andare su e giù con rapidità, mentre lui serrava le labbra. Stava per mettersi a ridere.
Strinsi un pugno.
Lui scoppiò in una sonora risata
«No» ululò «No, non mi sembri affatto… pff… ahaha… civile!».
Stranamente non decisi di fargli del male. Aveva ragione, a voglia se aveva ragione a ridere! Dovevo avere un aspetto spaventoso. Ero due volte più larga di una qualunque umana, più alta, indossavo vestiti che non solo mi stavano larghi, ma erano anche laceri, come se un granchio gigante li avesse sfilacciati.
September smise di guardarmi per smettere anche di ridere, sebbene ancora aleggiasse un vago sorriso sulla sua faccina paffuta.
Io percepii qualcosa muoversi in direzione di me. Era qualcosa di grosso. Qualcosa che non era umano. O forse che semplicemente non aveva le caratteristiche di tutti gli altri umani.
Mi voltai di scatto. Ero stanca, ma non avevo paura. Né pensavo tantomeno che esisteva in quelle terre qualcuno in grado di attaccarmi e farmi del male, non a mani nude.
September mi guardò perplesso
«Senti qualcosa?».
Gli feci segno di tacere portandomi l'indice alle labbra. Osservai a terra delinearsi sotto il sole cocente un'ombra di qualcuno che stava per svoltare l’angolo. Serrai i pugni e lo attesi, pronto ad ucciderlo se fosse stato necessario farlo.
Vidi un piede enorme, calzante uno stivaletto basso di pelle nero, poggiarsi sullo sterrato e sollevare minuscole particelle di polvere, seguito da una caviglia coperta dal jeans pesante economico.
Mi chiesi come fosse possibile che non avessi percepito la presenza di quellessere prima di adesso, aveva una stazza enorme.
Finalmente svoltò l'angolo.
Era un uomo, con tutta probabilità. Aveva lineamenti che non mi erano per nulla familiari, nessun bestione gorilla che avessi mai visto aveva una faccia del genere. Era biondo innanzitutto, poi portava i capelli un po’ lunghi, che ricadevano dietro la testa con un ordine preciso. Il naso era dritto e regolare, ma voluminoso, le labbra sottili non erano mosse da alcuna forma di emozione. Gli occhi del grosso uomo erano nocciola, proporzionati al resto del volto. Non aveva la barba e questo scopriva la forma poco armoniosa della mascella.
September lo guardò allibito
«Paul Hersen!» esclamò, scattando in avanti.
Il grosso uomo ridacchiò e la sua risata risuonò così profonda che mi parve di sentirmela sotto i piedi. In realtà era stata la paura a farmelo credere una specie di gigante, in realtà questo tale Paul Hersen non era più alto di me, ma di sicuro era più ben piantato. Doveva pesare almeno un centinaio di chili e dal giubbotto senza maniche sbucavano un paio di braccia muscolose e sode.
«Chi sei? Cosa sei?» Gli chiesi, anch’io curiosa di capirci di più.
Lui mi guardò socchiudendo gli occhi
«Io mi chiamo Paul Hersen e, per la cronaca, sono un uomo. Tu chi sei?»
«Io sono Fury. Furiadoro, cioè»
«E che cosa saresti?»
«Io?» esitai. Sapevo che lui sapeva, ma era sempre difficile dire la verità di fronte a qualcuno che non era come me. Per fortuna ci pensò September a chiarire la situazione
«Paul» disse, serio «La mia amica è una licantropa»
«Una donna lupo, vuoi dire?» il biondo parve divertito da quella risposta «Ho visto solo un’altra come te. E fu molti, molti anni fa, lo sai?»
«No, come faccio a saperlo?» ribattei io, incrociando le braccia. Mi ricordai di com’ero vestita e mi venne voglia di andarmi a nascondere. Speravo almeno che mi giudicasse un essere civile, anche se in un certo qual modo non lo ero affatto. Però ingannare il prossimo, al contrario di quel che si dice, è una cosa molto importante.
Paul mi si avvicinò, mi si affiancò e mi passò una mano dietro le spalle. Mi fece sentire a mio agio, mi trattava da pari a pari, non aveva paura di me. Forse. Non gli concessi un sorriso, ma almeno smisi di fare finta di ringhiargli velatamente contro.
Parve soddisfatto.
September ci guardava come se non avesse mai visto due come noi, poi scoppiò a ridere
«Voi due dovete sposarvi!» esclamò.
Io lo guardai male, ma Paul Hersen annuì
«Certo, probabilmente dovremmo» disse. Non sembrava ironico. Sicuramente però lo era.
Mi sfilai da sotto la sua presa continuando a guardarlo male
«Insomma» iniziai a dire, cercando le parole adatte «Come vi conoscete voi due?»
«Ci conosciamo» disse Paul, appoggiandosi al muro, con una scrollatina delle sue enormi spalle
«Ci conosciamo perché dobbiamo andare nello stesso posto e perché avevamo lo stesso maestro» mi spiegò invece pazientemente September, con il sorriso sulle labbra.
Io annuii e li guardai a turno. Non mi sembravano persone da fare la stessa attività, erano fra loro profondamente diversi. Ma entrambi, di sicuro, erano dotati in maniera particolare. Avevano entrambi la magia, questa scorreva nelle loro vene. Ecco perché i loro odori erano così diversi, non erano umani nel senso più puro del termine.
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