September si mise le mani in tasca
«Anche Paul è un maledetto» mi disse, con un certo compiacimento «Ma purtroppo per noi non è un bel lupacchiotto, sennò ci farebbe compagnia. Lui ha un altro genere di maledizione, leggermente più cronica. Niente picchi di follia durante le notti»
«Ah si?» io diventavo sempre più curiosa «E che cosa gli è successo?»
«Chiedilo a lui, ti dovrebbe saper rispondere…».
Colsi una sfumatura sarcastica nella sua voce.
Ma non m'importava, decisi di chiedere ugualmente a Paul cos’era diventato.
Lui mi guardò severo prima che potessi parlare
«Vuoi sapere cosa sono?» mi chiese, ad alta voce
«Si» risposi, annuendo
«Bene, allora, visto che mi stai simpatica, te lo dico» si schiarì la voce con un colpo di tosse, poi mi si avvicinò fino a toccarmi con la spalla «La mia umanità non è stata intaccata come nel vostro caso, ma sappi che per sopravvivere sono costretto a nutrirmi di sangue»
«Sei un vampiro?» sobbalzai mentre lo domandavo, poi mi allontanai da lui di qualche passo.
September scoppiò in una delle sue risate strane ed argentine mentre Paul rimaneva serio.
Io ringhiai
«Un vampiro?»
«No» intervenne September, incrociando le braccia come se avesse freddo «Credi che ti farei fare la conoscenza di un vampiro? No, non è vampiro, è umano. Solo ha questo piccolo problema »
«E che succede se non si nutre di sangue?»
«Quello che succede se non si nutrisse di tutto il resto»
«Già» Paul sbuffò e mi rivolse uno sguardo amaro «Il mio organismo non è in grado di assimilare gli alimenti che mangiavo prima. Solo il sangue. Non potrebbe andare peggio, sono costretto a spostarmi di villaggio in villaggio per non dover dissanguare tutti gli uomini di una stessa zona. La fame mi divora a volte, sai?»
«Anche a me» ammisi io «E credo, beh, non ne sono sicura, ma credo di aver già ucciso degli esseri umani»
«Ah, allora stiamo sulla stessa barca…»
«Ve l’ho detto o no che vi dovreste sposare?» intervenne September, guardandoci a turno.
Io aggredì quel ragazzotto per gioco, lo sollevai e lo premetti contro la parete della casa, ma con delicatezza
«Tu parli troppo piccoletto!» gli dissi, facendo finta di essere furibonda.
Lui non si spaventò. Aveva un sangue freddo straordinario, sapeva che avrei potuto spappolargli il cranio, ma non gliene importava. Io gli sorrisi e lo mollai. Stavolta ricadde in piedi abilmente. Stava migliorando.
Annuii e poi mi voltai di nuovo verso Paul
«Va bene» gli dissi «Allora devo accompagnare entrambi a questo maledetto Villaggio del Sole».
Il grosso uomo piegò la testa in avanti sul petto in modo che i suoi occhi rimanessero in ombra.
«Si» Mormorò «Dobbiamo andare entrambi al Villaggio del Sole»
«Oh, non mi sembri proprio entusiasta di farlo!» commentai io, muovendomi intorno a lui avanti e indietro con circospezione. Non sapevo cosa stava provando, come potevo essere certa che non mi avrebbe attaccata?
Il biondo risollevò lo sguardo. La sua fronte era corrugata e le sue sopracciglia tese in una strana espressione
«Beh, forse perché non lo sono»
«Come mai?»
«Beh, al Villaggio del Sole mi stanno aspettando per qualcosa di cui non vi posso parlare, ma di cui non vado fiero per nulla»
«Ah, capisco» annuii, ricordando quante volte nella mia vita precedente, che ora sembrava infinitamente distante, avevo mantenuto segreti imbarazzanti. Non ricordavo che segreti fossero (avevo perso quasi completamente la memoria), ma ricordavo semplicemente che erano tanti. Mi chiesi dapprima che genere di mistero fosse quello di Paul, ma poi decisi di non indagare troppo a fondo.
September ci guardava entrambi con lo sguardo pieno di qualcosa che era molto simile all’espressione di un bambino piccolo di fronte allo spettacolo di un macellaio che uccide un vitello.
Io gli sorrisi
«Che hai, piccoletto?»
«Che ho?» lui si passò una mano fra i folti capelli rossi, sollevandosi la frangia e mostrando ancora una volta la croce celtica sulla sua fronte «Bah, solo che non riuscirò a capirvi se non fra un milione di anni o due?»
«C’è tempo» risposi, incrociando le braccia.
September mi superò e svoltò l’angolo
«Si, ma…»
«Ma?»
«Dove ce li procuriamo dei vestiti nuovi?»
«Non preoccupatevi» intervenne Paul, con la sua strana aria calma «Io ho dei vestiti che fanno al caso per voi. Ah, e meno male che la mamma diceva che fare l’inventore è una cosa stupida se pesi cento chili!».
Prese me a braccetto, poi afferrò September per la parte posteriore della tuta, sulla schiena, e ci trascinò praticamente a forza fino ad una casa non molto lontana.
Estrasse da una tasca interna del giubbotto un mazzo di chiavi pesanti, dalla foggia di quelle che in tempi antichi aprivano le porte delle segrete, e con quelle aprì la porta della casa.
Ci disse di accomodarci e noi due obbedimmo.
L'interno della casa era terribilmente disordinato e il colore predominante era il marrone, seguito subito dopo dal grigio. Tutto aveva un odore di polvere, di carta, di vecchio libro. E probabilmente dovevano essere proprio vecchi libri e vecchie pergamene ad emanare quell’effluvio.
Io e September ci sedemmo su due vecchie sedie dalle gambe graffiate. Notai che la spalliera della mia era sporca di sangue in un angolo, sopra l'intreccio di due pezzi. All’inizio mi parve un particolare curioso, ma perse del tutto importanza quando iniziai a osservare tutto quello che ci circondava.
Paul Hersen era appena sparito dietro una porta di mogano e ci aveva lasciati soli nell’entrata più straordinaria che avessi mai visto. C’erano statuette in stile etnico africano di quelle lunghe, alte e scure, c’erano maschere vudù appese alle pareti e quadri di artisti europei, pergamene egizie e illustrazioni cinesi e giapponesi di monti e di onde.
September iniziò a ridacchiare
«Che te ne pare?» mi chiese
«Che me ne pare?» ripetei io «Come mai ha tutta questa roba?»
«Beh, questo è il minimo per chi vuole studiare quello che studiamo noi»
«Voi?»
«Si» September annuì «Noi maghi. Sai, la magia è un'arte complessa e sconosciuta ai più, ma indizi di essa si possono riconoscere dietro le culture più disparate. Credenze. Prese da sole hanno poco fondamento, ma insieme… insieme possono conferire potere»
«Per esempio?»
«Alcuni riti di iniziazione delle tribù africane hanno un vero potenziale magico, fanno parte di preparazioni più complesse» mi spiegò, indicando la statuetta di un guerriero Masai che sollevava una lancia con la punta argentata «E quindi hanno semplicemente bisogno di essere completate per sprigionare la loro forza. Un mago studia questo: i pezzi delle preparazioni. Lo so, sembra stranissimo, ma devi sapere che alcuni gesti scaramantici europei, i riti vudù e l’omeopatia ad esempio sono tre componenti fondamentali per la trasmutazione dell’essere»
«Eh?» io lo guardai come si guarda uno fuori di testa, anche se ovviamente non stavo pensando quello «Beh, mi sembra difficile… io non credo a queste cose»
«Oh, peccato…» mi rivolse un sorrisetto a metà fra l’arrogante ed il malizioso «Ma guarda che non si tratta della magia degli stregoni che fanno vedere in TV. Questa è un’arte più antica. Più complessa. Più imprecisa. Non basta fare bibidi bobidi bu e poi puff! Succede quello che vuoi tu… no, qui l’energia necessaria ce la deve mettere il mago. Si tratta di una sorta di alchimia che usa come fonte da cui trarre energia il corpo di chi pratica l’arte»
«Uhm, affascinante. Anche tu hai una casa così?»
«Sì! L'ordine blocca il nostro tipo di magia. E la mia casa te la farò vedere appena avremo finito questo viaggio se vuoi, quando finalmente potrò…»
«Ecco qua» lo interruppe la voce di Paul Hersen, appena risbucato dalla porta accanto «Ho dei vestiti per voi, mi sembra che vi possano andare, ma anche se non vi andassero…» sorrise, finalmente, dopo aver tenuto quella specie di broncio per un’ora «Si potrebbe provvedere».
Io presi quello che il biondo mi porgeva. C’erano dei pantaloni grigi, dal tessuto lucido, una maglia del medesimo colore e una camicia rossastra. Accarezzai la consistenza degli indumenti e notai che era a metà fra quella della seta e quella della gomma. Inoltre era incredibilmente elastica.
Paul mi guardò soddisfatto
«Allora?» accennò, speranzoso
«Perché hanno questa consistenza?» chiesi io, sinceramente curiosa
«Questo genere di tessuto è deformabile circa sei volte di più dell'elastan e non si strappa. Ci ho lavorato perché sia perfetto. Gli abiti hanno all’interno una piccola, sottilissima imbottitura avvolgente di tessuto quasi ugualmente elastico, ma più morbido e meno ignifugo» il suo sguardo si posò su September, come se sottintendesse qualcosa, e poi di nuovo tornò a me «Inoltre il tessuto è infatti resistente al fuoco, nello strato esterno, ed ha un'importante funzione di trattenimento del calore, perciò è perfetto per l'inverno nonostante sia leggero quasi come la seta» mi spiegò. Era fiero della sua creazione, glielo leggevo negli occhi, ma me ne stava parlando come se fosse appena una bazzecola.
September intervenne ridacchiando sotto i baffi
«Sentite, ho un piccolo problema. Ehm, ma dove mi cambio? Cioè, non vorrei sembrare un po’ troppo pudico, ma non mi va di spogliarmi qua sotto»
«Uh, si vergogna il piccoletto» scherzai io, che non avevo assolutamente pensato al problema. Che poi dove stava scritto che era un problema? Solo che gli umani sono strani e bisogna imitare la stranezza, per confondersi con loro.
Paul guardò il piccolo mago con il suo sguardo sereno
«Vai in camera da letto, al piano di sopra» poi si volse verso di me «Tu puoi usare il bagno» mi spiegò «Anche quello è al piano di sopra. Lasciate pure i vestiti vecchi a terra, non preoccupatevi, tanto stiamo per scappare da questo villaggio. Oh, mi mancherà la mia tredicesima casetta! Ma tornerò a trovarla».
Io salii accompagnando anche September. Gli diedi un paio di pacche dietro la testa, poi ci separammo e io entrai nella sala da bagno attraverso una porta di legno laccato bianco.
Il bagno era tutto verde acqua. C’erano mensole, mobili, sanitari, tutto rivestito del colore verde acqua.
E c’era anche un buon profumo di mare, un odore che avrei giurato non si potesse sentire in città.
Mi cambiai. I vestiti che Paul Hersen mi aveva procurato erano perfetti, avvolgenti, stavano addosso senza dare fastidio o pizzicare da nessuna parte ed erano freschi come aria. Sembravano prolungamenti naturali della mia pelle.
Lasciai le mie vecchie vesti sul pavimento di piastrelle verdi e le osservai per qualche istante. La stoffa era lacera, vecchia, incrostata di fango, ed aveva quasi del tutto perso il suo colore originario. Ecco il motivo per cui tutti gli umani mi guardavano in quel modo strano.
Scesi al piano di sotto pettinandomi all’indietro i capelli con la mano. Avevo bisogno di tagliarli, erano cresciuti troppo, quasi mi superavano le spalle. Mi davano fastidio.
Paul Hersen era seduto in poltrona e leggeva tenendo in grembo una grossa valigia di pelle nera.
Prima non avevo notato la poltrona, forse era coperta da troppa roba.
Ora il biondo mi guardava con una strana determinazione
«Donna lupo» mi disse, piano.
Seguii affascinata il movimento delle sue labbra regolari. Era come rivedere qualcuno che conoscevo, ma non ricordavo chi fosse. Avevo visto già sentito quella voce, lo sapevo che la avevo già sentita.
«Ascoltami Donna Lupo» Continuò Paul Hersen, in tono sempre calmo, sempre pacato, eppure in qualche modo spaventoso «Se tu verrai con noi sappi quello che ti aspetta. Non è la nostra una vita da lupi. Ma nemmeno da uomini. Donna Lupo, sei sempre stata libera, sei sicura di volerti unire a noi?»
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