Proseguii ancora un po’ verso la strada che aveva percorso Paul Hersen. Il suo odore era sparito e comunque non riuscivo a sentire molto altro che non fosse il profumo lupesco di September. Capendo che non l’avrei raggiunto mi sedetti lì per terra ai piedi di un albero.
Vedevo la sagoma voluminosa del licantropo muoversi silenziosa intorno a me, in circolo. Lo studiai. Un po’ camminava a quattro zampe, un po’ a due. I suoi occhi brillavano come sempre.
Come un predatore strisciò verso di me, lento, aggraziato. Non lo riconobbi quasi.
I suoi gesti si fecero lenti e potenti, i muscoli delle sue spalle risaltarono sulla pelliccia rossastra.
Si mantenne nell’ombra, si fermò, poi ricominciò a strisciare, ventre a terra.
Udii ululati lontani.
Capii la preoccupazione di September: gli uomini. Li sentivo chiaramente avvicinarsi, con i loro fucili, con i loro scarponi, con i coltelli. In qualche modo stavano dando la caccia a noi. Sperai per la salute di Paul Hersen stesso che quest’ultimo non ci avesse traditi e scattai in piedi.
Guardai dietro di me.
Vidi una luce rosseggiare in fondo al pendio sul quale cresceva il bosco in cui mi trovavo.
September mi si avvicinò con più rapidità e si fermò al mio fianco, il pelo ritto su tutto il dorso a partire da dietro le orecchie a punta, tutte e quattro le zampe a terra, le fauci serrate.
Luce. Luce lontana e rossa brillava tremando.
Cercai di ragionare più veloce che potevo e trassi le mie conclusioni, ma non avevo il tempo di mettere a punto il mio piano.
September sfregò il muso contro il palmo della mia mano, ringhiando sommessamente.
Io abbassai gli occhi verso di lui. Voleva che lo seguissi. Annuii e gli corsi dietro.
Gli uomini avevano iniziato ad inseguirci. Come avevano fatto a trovarci? Come avevano fatto a sapere quello che eravamo? O forse non lo sapevano, forse solo pensavano fossimo dei lupi, forse non conoscevano le nostre origini umane e la nostra maledizione…
Udii qualcuno gridare, qualcuno con una voce nasale, fastidiosa, acuta
«Avanti, prendeteli! Prendete quelle bestie di Satana!».
Non c’erano dubbi, sapevano che eravamo licantropi e che eravamo in due. Chi glielo aveva detto? Mi veniva in mente solo una persona.
Avrei ucciso Paul Hersen. September si fermò un istante ad attendermi. Era più veloce di quanto avessi pensato quando ci si metteva, soprattutto quando galoppava a quattro zampe.
Ancora ululati. Mi iniziò a fare male la testa.
Luci. Urla. Ululati. September ringhiò e si allontanò da me, ancora invitandomi a seguirlo, a fuggire via con lui percorrendo le vie segrete dei boschi, allontanandoci per sempre dalla civiltà.
Il lupo che era in me, il lupo che ero io, si ribellò selvaggiamente all’umanità intera.
Udii una voce gridare di mettere fuoco, di metterne ancora, di aggiungere legna. Poi qualcuno che gridava più forte, con una voce raschiante e bassa.
Arricciai il naso. Odore di bruciato.
Stavano bruciando qualcuno. Urla, urla selvagge, poi ancora un ululato.
Non potevo seguire September. Mi chiesi perché ero così ostinata a non volermi mettere in salvo la pelle. Mi risposi che ero una predatrice e che l’uomo era la mia preda. Avanzai verso il bagliore rosso. Fiaccole, una folla di gente mi veniva incontro. La mia determinazione si accresceva ad ogni passo che facevo.
Aguzzai la vista.
Un rogo bruciava accanto al paese, giù in pianura. Gente intorno. C’erano donne e anche bambini piccoli.
Chiusi un istante gli occhi.
September stava scappando. Anche lui mi abbandonava. Non me la presi con lui, non pensai neppure che fosse un vigliacco: aveva il diritto alla vita come ce l’abbiamo tutti e come tutti non faceva nient’altro che non fosse preservarla.
Forse ero matta, ma io non me la sentivo di scappare.
Continuai ad avvicinarmi al rogo e a tutta quella gente, un passo dopo l'altro, con circospezione. Nessuno mi riconobbe, non sapevano chi ero io.
Ma dovevano sapere per forza chi era quello che ardeva in mezzo al rogo.
Abbandonai la cautela e spinsi la gente ai lati, mi feci avanti con la forza.
Qualcuno mi borbottò contro insulti, ma io non ci feci tanto caso. Ora che ci penso avrei anche potuto voltarmi e uccidere chi mi parlava con tanta sfacciataggine, ma sarebbe stato un grave errore.
E la mia attenzione era rapita da tutt’altra cosa. Coperto dall’odore di bruciato c’era quello di lupo. Di lupo maledetto come me, di licantropo.
Le fiamme ferivano la mia vista. Avanzai ancora. C’era caldo, troppo caldo.
Udii un urlo levarsi altissimo, un urlo lugubre di morte simile a un ululato. Seppi che colui che ardeva non si era piegato agli umani, non aveva chiesto pietà.
Attesi che i miei occhi si abituassero alla forte luce.
Qualcosa si torse nelle mie viscere. Ciò che tutti gli uomini guardavano era orribile per me, ma non doveva fare molta impressione a loro. Loro che macellano le altre specie senza impressionarsi e poi vomitano, gemono o piangono di fronte a un cadavere della loro specie macellato come loro fanno con le bestie.
Stavano bruciando un licantropo.
Un licantropo trasformato nella sua forma da plenilunio. Come era possibile? Forse con il tempo e l'esperienza, pensai, è possibile trasformarsi anche nella notte seguente a quella di luna piena. O ancora dopo, e dopo, tutti i giorni, quando si vuole: era un'idea davvero attraente.
Egli era legato ad un palo di legno duro e scabro con pesanti corde fibrose di quelle con cui si legano le navi o le ancore, i polsi dietro la schiena, le caviglie strette in un groppo spesso di catene aggrovigliate alla meno peggio.
Gli uomini dovevano aver provato un senso di tremenda repulsione nel toccarlo perché non avevano neppure avuto la cura necessario a legarlo come si deve.
La gamba destra gli era stata amputata sotto il ginocchio e la ferita era nera, la carne morta, frastagliata, rappresa. Lo avevano chiaramente colpito con una lama d’argento.
Della bella pelliccia del martire non rimaneva molto, ma doveva essere stato biondo. I suoi occhi erano secchi e infossati, le orecchie consumate, la lingua quasi arsa, eppure ancora urlava. Non si sarebbe sottomesso mai. Doveva essere stato, fino a pochi attimi prima, un esemplare meraviglioso. Era possente, anche nel momento estremo della morte emanava un senso di dignità e potere che avrebbe consumato d’invidia chiunque nella mia specie. La coda, ridotta a un pennacchio corto ed arso, non si piegava fra le gambe come quella di un cane spaventato, i moncherini delle orecchie erano ritti, i muscoli gonfi. Non lo salvai perché sapevo che, anche se fosse sopravvissuto, non sarebbe mai più potuto essere un predatore e questo è il più straziante destino, per quelli della mia specie, un destino tale per cui la morte sarebbe stata pura misericordia.
Ma egli percepì la mia presenza.
Non seppi come fece per capire che ero lì, ridotto com’era, ma volse il muso verso di me.
Io vacillai, urtando qualcuno alla mia destra.
Una voce nella mia mente incominciò a parlare, rapidamente.
“Carne della mia carne, sangue del mio sangue, ora giungi nell’ora della mia morte? No, non ho nulla contro di te, compagna, nulla. Rimani lì, lì dove sei, non muoverti, non soccorrermi, non permettere che gli uomini ardano anche te.” Boccheggiai in cerca di fresco, ma il mio corpo era inchiodato di fronte a quella pira infuocata e la voce nella mia mente continuava a parlare, imperiosa
“Non sei una bestia del demonio, no, non lo sei. Non dubitare mai di te stessa, di ciò che sei, non vacillare mai, perché il lupo non vacilla mai. Ascolta. A te e te sola posso affidare le mie ultime volontà, sangue del mio sangue. A te e te sola. Sappi che ti ho sempre amata, compagna della specie mia, come ho amato me stesso. Avevo sperato di poterti incontrare prima che fosse troppo tardi, ma mi sbagliavo.
Proteggi le persone a te care.
Proteggi la tua stirpe.
Non dimenticare come sono morto io, odia gli uomini che ci perseguitano, ma sii giusta con i piccoli, con i giovani, con i deboli. Ama il prossimo tuo come te stesso, non togliere mai la vita invano.
Attendi il tuo angelo. Il tuo angelo verrà, senza ali forse, senza piume.
Riconoscilo, distingui ciò che in questo mondo è inferno e non mischiarti alle fiamme del demonio.
Sii lupo.
Fa ciò che fu affidato a me e che non mi riuscì mai. Porta a termine il compito che mi consumò la vita…”
Il licantropo gonfiò la possente gola e lanciò un urlo verso il cielo, traendo chissà da dove la forza per quel gesto ultimo e supremo
“Apri le porte del paradiso…”
Gridai. Stavo scoppiando. Non volevo essere lì, non avrei dovuto, non avrei mai voluto esserci per vederlo e per sentirlo. Mi allontanai rapidamente dalle fiamme indietreggiando.
Tutti si voltarono verso di me
«Pazzi!» gridai, poi li guardai tutti. Volti ignoranti, volti costretti. Dov’era la loro libertà? Umani.
Umani dai sogni spenti e dai cuori neri. Umani assassini.
Il mio respiro accelerò.
Fuggii. Sentii qualcuno che mi urlava di tornare indietro, ma non ne avevo alcuna intenzione.
Non sapevano cosa significava vivere e non rispettavano la vita, eppure erano troppi perché da sola potessi ucciderli. Dopotutto ero una donna lupo, non un'immortale.
Argento, il suo odore mi punse le narici, qualcuno mi aveva puntata e il suo bagliore si innalzò alle fiamme rosse.
Mi volsi. La rabbia montò. Non potevo fermarla, non potevo arginare quella forza.
Strinsi i pugni.
“Apri le porte del paradiso…”
Avrei massacrato quegli uomini, dal primo all’ultimo. Questo mi avrebbe aperto le porte del paradiso.
Strinsi gli occhi.
Guardai il prete, un uomo alto e grasso, dal volto che normalmente doveva essere gioviale, ma ora era distorto da un’espressione perplessa. Mi chiese che cosa avevo. Riconobbi la sua voce fastidiosa, nasale: era lui che prima aveva urlato “prendete quelle bestie di Satana!”.
Le parole del martire mi risuonarono nelle orecchie.
“Non sei una bestia del demonio, no, non lo sei. Non dubitare mai di te stessa, di ciò che sei, non vacillare mai, perché il lupo non vacilla mai”
Ancora una volta fui tentata di fuggire. Panico. Non sapevo se tutto ciò fosse reale, se la voce nella mia testa fosse semplicemente la mia voce o quella di qualcun altro, ma non sembrava la mia, questo no. Guardai ancora il prete.
Mi lanciai contro di lui.
Sentii una donna gridare di terrore.
Non mi importava.
Afferrai le spalle del prete, lo atterrai. Lo morsi alla gola.
Mi arrivò un calcio al fianco, ma era troppo debole. Continuai a stringere i denti, conficcai le unghie nella carne dell’umano, dilaniai, affondai, mossi la testa alla ricerca della giugulare quando d’improvviso mi ricordai che dovevo ucciderli tutti, che non dovevo limitarmi a lasciarne solo uno nel sangue. Scattai verso quello che aveva osato sollevare il suo piede contro di me per assestarmi il calcio.
Lessi il terrore nei suo occhi castani chiari, lessi una paura antica come il mondo e mi ci specchiai. In un millesimo di secondo vidi quello che ero io. Donna, non ancora lupo, ma ero terribile.
Godetti fino a impazzire di quel terrore che si era impadronito dell’umano, poi atterrai anche lui. Quello urlò e mi colpì con un pugno sul fianco, non riuscendo a muovere le braccia più di tanto sotto il mio peso. Non mi fece niente, era troppo più debole di me e la paura lo paralizzava.
Esistono due tipi di paura: la paura che ti rende debole, che ti distrugge, che ti piega, e la paura che ti spinge a reagire. Pochi umani conoscono la seconda. Dischiusi le labbra per mordere quando d’improvviso sentii una lama sibilare a qualche centimetro dalla mia testa.
Sollevai gli occhi rapidamente, non potevo permettermi di indugiare in una simile situazione.
Comments (0)
See all