Mi allontanai. Uscii fuori, non me ne fregava dei cani. Non mi importava quasi di niente.
Urlai. La mia voce si perse nel gelo, lontana. Il branco iniziò a guaire terrorizzato.
Anche se ogni centimetro del mio corpo doleva mi misi a passeggiare verso la vegetazione. Che mi venissero a prendere i cani, certo non li gradivo, ma li aspettavo.
I miei passi contro la terra, l’ululato dei lupi. Lupi lontani, fratelli di un mondo diverso...
Perché stavo fuggendo da September e da Paul Hersen? Perché erano umani. Ero combattuta fra l’aggregarmi a un branco umano oppure ad uno di lupi. Sapevo che sarebbe stato più facile vivere fra gli uomini, che i lupi mi avrebbero rifiutata, eppure i miei fratelli a quattro zampe esercitavano su di me un fascino molto maggiore di quello degli uomini. Erano animali, puri, bellissimi.
Oltre l’odore acre e umido dei cani sentivo un effluvio più antico e selvaggio, quello dei lupi, che mi trasportava in mondi che gli uomini non potevano raggiungere.
Bene, o sarei riuscita ad unirmi ai lupi o i cani mi avrebbero uccisa. In ogni caso non sarei stata costretta a convivere con gli umani.
Mi diressi verso le conifere. Vidi gli occhi dei cani alla mia destra, vidi i loro dorsi bruni o grigi muoversi al loro passo sostenuto. Ringhiai loro abbassando la testa, ma la mia voce non era sufficientemente forte. Mi guardavano bramosi, ancora lontani da me oltre quaranta metri.
Poi sentii i lupi. Mi chiamavano dal bosco. Chiamavano me. Perché? Perché a volte mi rifiutavano ed a volte mi chiamavano?
I cani iniziarono a ringhiare sollevando le labbra sulle gengive rosate. Erano magri, non mangiavano da molto. Sentivo la loro rabbia, i loro cuori che battevano forti, eccitati per la vista di me, possibile pasto, e impauriti. I lupi lanciarono altri ululati ed i cani parvero intimiditi.
Le loro code nervose si bloccarono e le loro zampe s’irrigidirono.
Io entrai nel bosco senza che i cani mi attaccassero. Non capii come mai sulle prime, poi fui consapevole che erano stati i lupi a salvarmi, avvertendo le magre bestie che io facevo parte del loro branco.
Continuai. I tronchi scabri proiettavano ombre corpose sul mio corpo. Io sorrisi.
L’odore dei lupi.
Iniziai a camminare più rapidamente. Per tempo non vidi nessuno, né uomini né lupi.
Non mi pentii. Stavo bene in quel luogo, non mi mancava di certo il paese.
E i miei muscoli iniziavano a stare già meglio. Non mi sorpresi di questo, sapevo fino a che punto poteva spingersi il mio corpo di licantropo.
Inspirai profondamente e mi sedetti accanto al tronco dell’albero di abete che cresceva alla mia destra.
I colori della foresta erano tutti intorno a me e già non sentivo più così forte la civiltà dietro di me. Pensai che d’ora in poi gli umani sarebbero stati solo prede e avrebbero dovuto tremare di fronte alle mie zanne.
Le mie dita accarezzarono la terra muscosa intorno alle radici dell’abete. Raccolsi una zolla di quel muschio e me lo portai sotto il naso. Odorava di cane, ma anche di lupo. Rimisi la zolla a posto e premetti, poi mi incrociai le braccia di fronte al petto e chiusi gli occhi. Ero stanca, molto stanca, ma era questo il tributo che il mio corpo richiedeva per guarire. Oltre alla carne… dovevo trovarne se non volevo morire.
Contrassi la mascella e udii i miei stessi denti stridere.
Dove avrei trovato della carne se ero troppo debole per cacciare? Dovevo cercare i lupi, loro mi avrebbero aiutata.
«Dove siete?» Chiesi, ad alta voce, poi mi resi conto che non avrebbero risposto mai ad una voce umana.
Così stetti in silenzio e premetti le spalle contro il legno. O mi avrebbero trovata i cani o i lupi. Poi pensai che ci fosse anche una remota possibilità che September venisse a cercare una lupa matta come me e con dolore ricordai la mia promessa: quella di portarlo sano e salvo fino al villaggio del Sole.
Perché avevo fatto quello stupido giuramento? Bene, mi sarei rimangiata le parole… ma allora dove stava l’onore?
Stavo per rialzarmi e tornare indietro dopo alcuni minuti di lacerante riflessione quando d’improvviso una visione cancellò ogni mia preoccupazione.
Vidi un dorso grigio striato di aloni più scuri e lucidi, quasi strisce da tigre. Seppi che un sorriso era comparso automaticamente sul mio volto e che il mio corpo, per riflesso naturale, si spinse strisciante verso la visione. Il dorso grigio che scendeva il lato di un pendio boscoso si mosse rapidamente, increspandosi in onde dai bordi levigati, e vidi due occhi dalle iridi d’argento e ottone fuso ben mescolati fra loro che si posavano su di me, selvaggi eppure molto più dolci e ragionevoli di quelli umani, in un modo che è difficile da spiegare a parole. Riconobbi quello sguardo, era quello del capobranco che era fuggito da me la notte in cui avevo incontrato September
«Azrael» mormorai. Sapevo che quello era il suo nome, me lo aveva suggerito il suo ululato.
Ovviamente il mio è un libero adattamento: i lupi non hanno nomi facili da pronunciare con parole umane.
Azrael venne verso di me, il muso pesante, screziato di bianco, ursino, che mi puntava.
Dietro di lui comparvero altri occhi e altri musi. C’era tutto il branco con lui. Ricordavo quei musi, ma li ricordavo diffidenti e sfuggenti, non curiosi o spavaldi, come ora vedevo che erano alla luce del sole.
Mi abbassai ancora di più, mettendomi quasi a quattro zampe, le ginocchia piegate sul terreno umido e freddo
«Azrael, cosa cerchi da me?» gli chiesi.
E il grande lupo grigio mi comprese, perché lo vidi sorridere al modo dei lupi, sollevando gli angoli della bocca, le orecchie ritte sul fiero capo grosso e ben modellato, gli occhi brillanti. La sua gola vibrò in un tenero uggiolio e le sue enormi zampe si mossero sul terreno per portare la mole del gigantesco corpo verso di me. Sembrava più grosso di quanto ricordassi, più bello senza dubbio, sebbene ancora non lo temessi.
Sapevo che avrebbe potuto uccidermi in quel momento, ma sapevo anche che non lo avrebbe fatto
«Azrael» ripetei, in un soffio.
Il lupo si fermò a un metro e mezzo da me e si sedette. La sua pelliccia pesante fu scossa da un soffio di brezza gelida ed io rabbrividii.
«Sorella lupa» Furono le parole di Azrael, pronunciate con sicurezza, ma senza pomposa solennità, con voce limpida e forte come quella che a tutti gli uomini sarà capitato almeno una volta di ascoltare nell’ululato di un lupo. Lo compresi alla perfezione poiché, senza quasi rendermene conto, anch’io ormai mi esprimevo nell’antica lingua dei figli della luna. Con le guance piene d’aria emisi una sorta di sbuffo, poi ringhiai brevemente a labbra strette
«Capobranco…»
«Ricordi me e i miei compagni?»
«Si» annuii, sicura. E come dimenticarli?
Lui sollevò il mento mettendo in mostra la magnifica gola ampia e i suoi occhi si socchiusero sotto palpebre pesanti, continuando a rifulgere con la calma delle acque di un lago
«Quella notte fuggimmo dalla tua furia» mi disse ancora, senza timore, semplicemente constatando un fatto accaduto «Ma abbiamo visto quello che gli uomini ti hanno fatto e fanno a quelli della tua specie, sorella. Abbiamo visto un tuo fratello biondo ardere nel fiore rosso degli uomini, il fuoco, e poi abbiamo visto te» sottolineò l’ultima parola e la sua coda cespugliosa, dalla punta nera, si mosse sulla terra «Combattere per difendere l’onore del tuo fratello che fu arso. Abbiamo visto quello che puoi fare, quanta furia scorre nel tuo sangue, quanto odio verso gli uomini, quanto dolore. Eppure non ti abbiamo vista divenire lupa»
«Cosa vuoi dire?» chiesi. Non capivo davvero, non come facevo di solito, per finta.
Azrael si sollevò con grazia e venne più vicino a me
«Le ferite che porti sul tuo corpo sono segno che ancora non eri matura. La rabbia, invece di mutarti, ti ha bloccata. Non sei diventata lupa»
«Non c’era la luna piena» mi giustificai io, osservando con attenzione i ciuffi chiari sulla punta del suo muso come se fossero la cosa più importante del mondo.
Azrael rise. Quel rumore raschiante e insieme aperto, simile ad un ringhio soffocato, mi fece vergognare. Poi Azrael mi sfiorò una guancia con il muso, solleticandomi piacevolmente
«La luna piena non c’entra» mi disse, soffiando sulla mia pelle «La luna piena tira fuori il lupo che è in te la prima volta. Poi tu puoi ritornare lupa quando vuoi»
«Davvero?» chiesi, anche se in fondo ero consapevole che quelle parole erano vere e che ero stata una stupida ad ignorare i miei istinti.
Azrael mi sfiorò ancora, poi si ritrasse lentamente, mentre gli altri del branco si avvicinavano a me
«Tu puoi essere più di un licantropo. Tu puoi essere un vero lupo»
«A quattro zampe, come voi» constatai io, annuendo.
Ero un lupo! Ero un lupo!
Lo sapevo che potevo esserlo, sentivo che quelle agognate quattro zampe rapide annaspavano spesso nel fondo della mia anima producendo tonfi sordi.
Un lupo vero. Potevo trasformarmi… ma sentivo che sarebbe stato doloroso divenirlo. Doveva essere per forza doloroso, visto che, almeno da quanto ne sapevo, non avevo le ossa come quelle dei lupi. Avevo ossa da umana e muscoli di poco superiori a quelli umani, il mio pelo aveva diversa consistenza anche nelle notti di plenilunio e il mio muso era sempre troppo corto.
Poi, mentre ragionavo così, vidi loro, i lupi, che giravano intorno a me.
Vidi i loro corpi agili ondeggiare in una sorta di trotto leggero. Era una danza.
Azrael sollevò il muso verso il cielo e ululò forte.
Il resto del branco si mise a fare un baccano infernale, ringhiando, ululando. Dapprima il suono mi irritò, mi fece allegare i denti dal ribrezzo. Era come se l’inferno avesse rivoltato la terra ed avesse mandato i suoi figli su, in cima alla crosta terrestre, per dare ai viventi un assaggio del suo caos.
Erano come grida umane, ma con tonalità più feroci e profonde.
Ma non era quello il chiasso dell’inferno quanto invece il canto di vita brulicante del paradiso, capii solo in seguito.
Nella pelle mi si propagò uno strano brivido. Avevo fame, ma attesi in silenzio che il canto si concludesse.
Ma quando i toni si abbassarono il mio cuore ebbe un tuffo.
Udii una voce che mi chiamava, ma non era lupesca, né trascendente.
Era la voce di September
«Fury! Furia!» mi chiamava, disperata «Dove sei, Furia? Paul ha detto che ti chiede scusa, ti prego, Furia, ci sono i cani, ti prego!». Singhiozzava quasi. I lupi ammutolirono.
Capii in quel momento che September stava piangendo. Povero ragazzo…
Azrael mi guardò e nel suo sguardo lessi una tale potente intensità che quasi rabbrividii
«L’umano prova dell’affetto per te» mi disse, increspando morbidamente le labbra nere «Va da lui. Gli hai promesso qualcosa che devi mantenere. I tuoi occhi me lo stanno gridando, la tua anima è inquieta. Va da lui»
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