Quando il clima iniziò a suggerire l’approssimarsi della stagione più calda, alla residenza Kitai arrivò una visita che era stata a lungo attesa. Trasportata su di una portantina da due inservienti dell’Onmyōdō, e accompagnata da una scorta a piedi, la nobile Chieko, sorella minore del daimyo, fece il suo ingresso a Sestukyo sul finire di una prematura pioggia estiva.
A differenza di certi fastidiosi misteri ancora irrisolti, per riempire il vuoto d’informazioni dovuto ai silenzi di Kyōka, ad Akari era bastato ascoltare ciò che della donna si diceva nella residenza. Così seppe che era cieca dalla nascita: l’incapacità di vedere il mondo reale le permetteva di guardare oltre, di entrare in contatto con il mondo degli Spiriti. Erano in molti a richiedere i suoi servigi, a usufruire delle sue capacità di sensitiva. Sin dall’inizio della guerra, trovare un’esorcista così esperta era diventato pericolosamente raro – un assottigliamento delle difese spirituali del mondo umano che aveva sempre allarmato i Gatti, anche prima che Akari decidesse di lasciarli. Per questo il ronin osservò l’arrivo della nobile Chieko con silenzioso interesse.
Irradiava una luce calda, avvolta in un kimono nero ricamato a fiori, le palpebre socchiuse sulle guance non ancora scalfite dal passare del tempo, come la rappresentazione di una dea al centro di un rotolo illustrato. Yasha si avvicinò per annusarle le vesti, incuriosita, e la donna la lasciò fare, fino a quando Akari provò a richiamare l’amica. Era naturale che una fiutatrice come lei fosse attirata dall’accentuata spiritualità degli esorcisti dell’Onmyōdō.
La nobile Chieko accolse le mani di Kyōka tra le sue con familiarità, rivolgendogli un sorriso affettuoso:
«Caro ragazzo, che piacere sentire la tua voce,» lo salutò. «Ti senti meglio?».
«Sì, mia signora,» la rassicurò Kyōka.
«Verrai a godere con me della cerimonia del tè, prima che io riparta,» gli propose lei. «Ho bisogno di parlarti, va bene?».
«Ma certo,» Akari vide Kyōka annuire, ma distinse chiaramente la menzogna nel sorriso che la nobile Chieko non poteva vedere. Un’espressione che virò rapidamente in entusiasmo quando Chieko si allontanò con il daimyo e i nipoti, e il musicista fu libero di raggiungere uno dei giovani che erano arrivati con la donna.
«Hajime! Sei ancora tutto intero!»
Il samurai che rispose al suo richiamo lo accolse con un sorriso, divertito:
«Per chi mi hai preso? Un novellino?».
I due si incontrarono nel mezzo del cortile, scambiandosi reciproci segni d’amicizia mentre la folla dell’accoglienza si ritirava all’interno. Hajime Itō doveva avere più o meno l’età di Kyōka, un volto sincero dalla mascella squadrata e due incisivi sbilenchi. Fu raggiunto in un attimo da una fanciulla negli abiti bianchi e rossi delle miko, e il volto del musicista si fece ancora più eccitato.
«Asuka! Hai smesso di isolarti al Kamidori e ci concedi la tua presenza!».
«Devo aiutare la nobile Chieko nelle celebrazioni dell’O-bon,» fu la risposta asciutta della ragazza. «E ne approfitto per tenere sotto controllo il tuo amico.» Rivolse un cenno della testa verso Hajime, che rise.
«Sarai contenta di sapere che anche io vengo tenuto sotto controllo,» la rassicurò Kyōka, stando al gioco; indicò loro Akari con un gesto teatrale, e quest’ultimo non riuscì a trattenersi dal sollevare gli occhi al cielo. «Ho una nuova guardia del corpo.» Annunciò Kyōka. «Niente poco di meno che un Cacciatore navigato».
Le sopracciglia di Akari si contrassero leggermente. Era come al solito una bugia, ma i due giovani gli si rivolsero con un inchino cortese:
«La nobile Chieko ci ha parlato spesso di voi Cacciatori,» disse Asuka. «È un onore conoscervi».
«Il piacere è mio,» Akari mentì, rigido.
Della ragazza non si stupì particolarmente – le fanciulle che venivano scelte per custodire i santuari avevano in genere una forza spirituale notevole – ma Akari trovò curioso che un semplice ragazzo come Hajime fosse stato assegnato alla nobile donna come scorta. Preferì non indagare direttamente. Immischiarsi negli affari dell’Onmyōdō poteva far venire a galla certi segreti sul rapporto di Akari con i Gatti che avrebbero fatto meglio a rimanere inabissati.
Quella sera, durante la cena che si tenne nell’ampia sala dei ricevimenti, Kyōka suonò lo shamisen di buon umore. Accompagnò la danza con i ventagli di Haruko e Fuyumi, le due sorelle più piccole dell’onorevole Akihito, mentre la maggiore Natsuko cantava.
Seduto al fianco di Akari, il giovane Hajime si godeva l’esibizione sorseggiando a piccoli sorsi del sake.
«È bello vederlo tornare a suonare,» commentò quando il pezzo fu terminato. Akari gli rivolse un’occhiata interrogativa che spinse il giovane a continuare:
«Quando sono partito con la nobile Chieko, l’inverno scorso, Maestro Kyōka non toccava lo shamisen da settimane».
Akari si fece improvvisamente più attento:
«Per quale motivo?».
Incupendosi, il samurai abbassò il bicchiere di sake:
«Una delle dame di compagnia della nobile moglie del daimyo è morta lo scorso inverno,» spiegò. «Maestro Kyōka ne è rimasto molto turbato».
Il nucleo di sospetto che latitava in Akari si accese di rinnovato interesse:
«Kyōka e la donna erano particolarmente legati?», chiese.
«Non che io sappia…» Hajime esitò. «Non se ne parlava apertamente, ma sapevano tutti che la ragazza aspettasse un bambino. Maestro Kyōka suonava spesso per lei».
Una lunga lista di demoni e spiriti legati a gravidanze interrotte, seduzione e vendetta fecero capolino a uno a uno nella mente di Gatto fallito di Akari.
«Pensate potesse essere figlio suo?», provò a indagare.
Hajime scrollò le spalle, improvvisamente a disagio:
«Kyōka non me ne ha mai parlato in questi termini. È molto benvoluto da tutte le donne della corte, e non solo, ma non ho mai avuto il sospetto che potesse intrattenere rapporti più intimi con chiunque di loro».
Akari aveva avuto la stessa impressione. Kyōka poteva affascinare una persona con un sorriso, ma con altrettanta semplice cortesia la respingeva.
Hajime sembrò sollevato quando Akari preferì non approfondire l’argomento. Il ronin spostò la propria attenzione su Kyōka che, in fondo alla sala, ricominciava a pizzicare le corde con il plettro per la famiglia riunita. Il musicista continuava a sorprenderlo in quanti dettagli sapesse sulla sua vita, mentre Akari riusciva solo a percepire l’estensione sotterranea di tutti i suoi segreti.
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Una sera, mentre Kyōka poltriva nella sua stanza prosciugato dal caldo di ogni energia, Akari intercettò una discussione tra la nobile Chieko e Asuka. Le due donne passeggiavano nel cortile, avanzando lentamente lungo i sentieri di pietra e muschio.
«Stiamo ancora cercando un modo per ristabilire il ciclo del rinne, bambina mia,» annunciò la donna con tono stanco. «E continuare a celebrare l’O-bon estivo è davvero il minimo che possiamo fare».
Come nell’ascoltare una lezione sentita e risentita, Akari poggiò la testa contro la porta di carta accostata, a occhi chiusi. Come immaginava, la situazione dell’alternarsi di vita e morte non era ancora cambiata rispetto a quando aveva lasciato i Gatti.
Festeggiare l’O-bon significava ricordare le anime dei defunti, aiutare il processo che le avrebbe portate a rinascere, regolando l’equilibrio tra vita e morte. Ma dall’inizio dell’invasione demoniaca, il fiume che dava accesso alla reincarnazione si era seccato e alle anime non veniva più permesso di lasciare il mondo degli umani. Erano stati i Gatti a spiegargli la situazione, dopo tutte quelle sedute di alta meditazione nel tentativo di sbirciare nel mondo degli Spiriti. Il solo pensiero faceva in modo che il petto di Akari si stringesse in una morsa.
«Forse dovrei seguirvi al Kamidori quando vi ritirerete lì per l’inverno?» Suggerì Asuka, con parole attente e rispettose. «Potrei continuare a studiare per l’ Onmyōdō mentre Hajime prosegue l’addestramento da Guardiano».
La nobile Chieko scosse la testa:
«Vorrei rimanessi a Setsukyo, stai al fianco di tuo fratello. Siamo rimasti in pochi, a comprendere i comportamenti degli spiriti… E in caso di un attacco dell’Orda, il santuario della zona sarebbe il primo ad essere spazzato via. Per ora la città è sicura…»
«Pensate davvero che potrebbero arrivare fino a qui, nonostante la vostra protezione?».
La nobile Chieko rimase in silenzio per un lungo momento, poi riprese:
«Tutto è possibile. Gli spiriti dei defunti non trovano liberazione, rimangono intrappolati tra i vivi sotto forma di Spettri, e l’influenza del sangue li tramuta lentamente in demoni. Le truppe dei grandi Generali Oni crescono di giorno in giorno, e noi diventiamo sempre di meno, sempre più deboli…»
Akari chiuse con forza la porta scorrevole che dava accesso al cortile, soffocando la voce delle due donne. Yasha sollevò il muso, allarmata, come faceva ogni volta che percepiva del disagio emotivo nei movimenti del suo compagno: e di fatti, Akari di colpo si sentiva afferrato da una rabbia irrequieta.
Mentre lui giocava a fare la guardia del corpo, Ryuunosuke, Mei e Hikaru, e i loro genitori, erano lì da qualche parte. Vagavano per il mondo, forse come spettri consumati e irriconoscibili, forse come demoni tra le mani insanguinate di qualsiasi maledetto Generale Oni avesse avuto modo di avvicinarsi alle loro anime.
Li cercava da dieci anni, e la sua ricerca non aveva ancora dato alcun frutto. La prima traccia avesse mai intercettato, in quegli anni, si celava tra le note vibrate della musica di Kyōka. Eppure, il musicista non gli aveva ancora dato modo di capire come quegli indizi avrebbero potuto aiutarlo. Yasha, guaendo piano, gli leccò le nocche sbiancate. Akari respirò profondamente, attese, ingoiò l’impazienza che sentiva: fin troppe persone erano morte, in passato, a causa della sua incapacità di gestire la rabbia. E la paura.
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