«Sei sicuro di farcela?». La domanda di Kyōka costrinse Akari, la mano premuta contro il petto, a schiarirsi la voce e raddrizzare la schiena che aveva curvato appena. Kyōka interrompeva spesso le sue sessioni di composizioni per informarsi sulle condizioni della sua cassa toracica. Sentiva un dolore sordo e costante, ma ferite peggiori non gli avevano mai impedito di compiere il proprio dovere. E non si sarebbe fatto mettere le mani addosso dai guaritori dell’Onmyōdō affinché potessero riconoscere tracce del suo passato nelle cicatrici che gli segnavano il corpo.
«Nonostante sappia che faresti benissimo a meno della mia protezione, ti assicuro che passerà,» si limitò ad affermare, con Yasha acciambellata al suo fianco che sbuffava come a sottolineare le sue parole. In risposta al suo sarcasmo, gli accordi che Kyōka suonò da quel momento in poi assunsero una stonatura depressa.
La residenza si era fatta inquieta: che persino Akari, dopo essersi guadagnato una reputazione di grande cacciatore, fosse stato ferito tanto gravemente faceva serpeggiare tra gli abitanti il timore che la situazione sarebbe presto peggiorata. Asuka si ritirava spesso in sessioni di meditazione profonda per cercare di capire cosa stesse accadendo, anche se senza successo. E in quel clima teso, la moglie di Akihito e le sue dame erano le uniche a portare colore ai giorni nella casa.
La signorina Ichiyo, una delle ragazze che servivano la sposa, era diventata una presenza piuttosto ricorrente al fianco di Kyōka. Akari pensò si trattasse della solita tendenza del giovane ad affascinare le fanciulle, ma divenne a poco a poco più palese che la ragazza non fosse in realtà incantata dalla musica dell’artista: infatti appariva solo quando intorno a Kyōka gravitava Hajime.
La prima volta si accostò a Kyōka durante un pasto, offrendosi di riempire il suo bicchierino del sake, poi con un movimento tenero e attento si piegò verso Hajime, che sedeva lì vicino, per fare altrettanto. In seguito Akari la vide comportarsi in maniera simile, avvicinarsi a Kyōka quando assisteva agli allenamenti dei samurai, per poi unirsi alle conversazioni amichevoli che l’artista intratteneva con Hajime prima di cena. Veniva quasi da chiedersi il motivo per cui la giovane non parlasse al samurai direttamente, e invece ogni volta fosse così discreta da rivolgersi prima a Kyōka per avere la scusa, più che giustificata, di includere anche Hajime nella conversazione.
«Probabilmente pensa di essere troppo inferiore a lui. Hajime è di famiglia samurai mentre lei è una semplice domestica,» osservò con aria distratta Kyōka quando Akari gli fece notare la cosa. «Quando eri un samurai di buona famiglia non facevi caso anche tu a questo genere di cose?».
Sono ancora un samurai di buona famiglia. Se il mondo intero gli avesse detto che ormai i Nishida erano una famiglia decaduta, anche in buona parte a causa delle sue azioni immorali, Akari non avrebbe ascoltato:
«Ho perso interesse per tutte le convenzioni sociali che sottraggano tempo alla vita».
«Inaspettatamente romantico,» osservò Kyōka, divertito. Il comportamento di Ichiyo non lo disturbava, anzi, pareva quasi deliziato all’idea d’essere usato come tramite in quel gioco di corteggiamenti indiretti.
«Vi hanno mai fatto notare quanto sia insolito il vostro colore d’occhi, Maestro Kyōka?», Ichiyo chiese una sera, mentre il musicista strimpellava e Hajime ascoltava proprio al suo fianco. Kyōka le regalò un sorriso tirato, attento:
«Me lo fanno notare in molti, a dire il vero».
«Sta per raccontare la storia del dono di Amaterasu, o quella dello scherzo del tanuki, signorina Ichiyo,» rise Hajime, battendo il palmo contro la coscia fasciata negli hakama. «Sono curioso di sentire cosa tirerà fuori questa volta, avanti».
«Questa volta?», si stupì la ragazza, arrossendo. «Maestro Kyōka racconta sempre storie diverse?».
«Beh, se Hajime non ve lo avesse svelato, per voi sarebbe stata l’unica storia,» si lamentò Kyōka. Akari, dal fondo della passerella dove stavano seduti, sbuffò in protesta. Hai il colore d’occhi dei demoni delle nevi, gli aveva detto. Kyōka lo aveva eluso in maniera egregia: Sulle labbra di un cacciatore di demoni suona come un curioso apprezzamento.
«La vera storia è un segreto, quindi?», domandò innocente Ichiyo.
«La vera storia è sempre quella meno interessante, temo,» chiosò Kyōka con aria rassegnata. «È così che mi ha fatto mia madre».
«Siete un tipo misterioso, Maestro musicista,» concluse lei, riassumendo in poche parole tutte le frustrazioni che tormentavano Akari da quando Kyōka era entrato nella sua vita.
«Vi piacciono i tipi così, signorina?» domandò Hajime con fare noncurante. Quelle parole ebbero l’effetto di toglierle il fiato, e con il volto rosso, la giovane Ichiyo balbettò un timido no. Preferiva le persone schiette. Kyōka osservava, teneramente divertito.
---
In quel teatrino di corteggiamenti in cui Kyōka giocava per la prima volta solo un ruolo da comprimario, l’unico a fraintendere la situazione fu l’onorevole Akihito. Mentre la residenza si compiaceva che anche in tempi così incerti i giovani riuscissero comunque a trovare modi di svagarsi, una sera l’erede prese Akari da parte. Il modo in cui si rapportava a lui era cambiato: il rispetto e la paura erano del tutto spariti.
«La ragazzina che serve mia moglie,» gli domandò con fare sbrigativo. «Sai se Maestro Kyōka si intrattenga con lei?».
Richiamato ai propri doveri di marito e di erede, Akihito non aveva avuto modo di intrattenersi con Kyōka con la stessa frequenza dei mesi precedenti – e nel suo tono graffiava una gelosia violenta che rese Akari diffidente.
«Kyōka dedica la maggior parte del suo tempo alla musica,» disse, vago, ripensando alle ombre impresse sulle braccia dell’artista. Ma Akihito reagì con uno scatto di stizza:
«Sei sicuro che non si siano mai visti in privato? Sei la sua ombra, dovresti saperlo!».
«Non credo d’essere la persona giusta a cui porre domande simili,» rispose Akari. «Ma non penso dovreste preoccuparvene».
Akihito gli rivolse un’occhiata di puro astio:
«Pensavo che avessimo bisogno di qualcuno come voi al fianco di Kyōka, pensavo lo avreste tenuto al sicuro». Colpì Akari sotto le costole con le dita distese, e il ronin incassò con un grugnito. «Ma forse in fin dei conti non gli siete così indispensabile».
Se ne andò senza aggiungere altro.
Trovarono il primo corpo il giorno dopo. Hajime era accasciato in un angolo del cortile che di notte veniva oscurato dalle fronde degli alberi, creando una nicchia intima e nascosta. Sembrava si fosse fermato a riposare contro il rivestimento di canne e la vegetazione lo avesse avviluppato per non lasciarlo più andare. I lembi del kimono erano allentati sul petto fracassato, le palpebre semi abbassate come una marionetta dagli occhi intinti di nero.
«Ha lottato,» dissero quando si accostarono al corpo straziato e immobile.
«Sarei morto così anche io,» osservò Akari a bassa voce. «Non è un incidente».
I volti dei medici e delle guardie si rabbuiarono. Si parlava ormai di qualcosa che li vedeva del tutto impotenti. Asuka, il volto cereo di fronte al cadavere del fratello, sembrava sospesa in una dimensione aldilà del reale.
«È opera di un assassino, dunque?», azzardarono.
«Un demone,» anche se faticava ancora a individuare le dinamiche di quegli eventi, Akari non ebbe dubbi. «O uno spettro inquieto».
«E non potrebbe occuparsene?»
«Non prima che abbia compreso cosa causi la sua ira».
«Giovane Asuka?».
La ragazza continuava a fissare il corpo di Hajime, un ritratto di impotenza. Le serate di meditazione erano state inutili. Fu con tono forzatamente stabile che disse:
«Porterò le ceneri al santuario di Itō. Veglierò sulla sua anima e indagherò su cosa lo ha ucciso. Farò di tutto perché non si trasformi in un demone».
Kyōka, al suo fianco, era diventato pallido: non fingeva, non nascondeva nulla. Il dolore per la perdita inspiegabile dell’amico gli si leggeva il volto.
Trovarono Ichiyo più tardi; riemerse dalle acque del fiume con i lembi del kimono legati per non scoprire le gambe. Viola per il freddo e con il viso gonfio, ogni traccia della sua bellezza innocente se l’era portata via di colpo la corrente del fiume.
Kyōka, chiuso in un ritiro di addolorato lutto, smise di suonare. E da quel giorno, i suoi tentativi di fingere che nulla fosse fuori posto cessarono d’avere effetto definitivamente.
Comments (0)
See all