Quella mattina indossavo la mia camicia di sangallo bianco, ma mi accorsi che era stato uno sbaglio non appena un gruppetto di mezzorchi chiassosi varcò la porta della taverna. Nessun cameriere che sia sano di mente veste di sangallo bianco in presenza dei mezzorchi.
Quello che dai tatuaggi sembrava il capogruppo si sedette per primo, crollando come un sacco di patate, e iniziò a battere i pugni sul tavolo. Era alto più di un metro e novanta, con le orecchie a sventola, i canini inferiori che sporgevano dalle labbra, i capelli lunghi che non vedevano una goccia d'acqua o una scaglia di sapone da tempi immemori e la pelle ricoperta di disegni blu brillanti, molto carini a dire il vero. Gli altri lo raggiunsero prendendo posto intorno a lui, riposando sulle panche i muscoloni strabordanti. Erano fortunati: avevano un livello di testosterone così alto che gli bastava alzare una cassetta piena di birra una volta per fare lievitare i bicipiti come pagnotte.
Presi un profondo respiro, controllai che il mio grembiule fosse annodato bene e mi avvicinai al gruppo. Sappiate che quando un mezzorco batte i pugni sul tavolo, in maniera non troppo violenta, sta richiedendo assistenza: anche gli orchi lo fanno.
«Salve» Dissi, con un sorriso amichevole «Benvenuti al Cammino delle Leggende. Io sono Belarda e per oggi sarò la vosta cameriera. Cosa posso portare, oltre alla birra?».
Avevo imparato che bisogna immediatamente proporre la birra ai mezzorchi e agli umani muscolosi. Con gli orchi puri, invece, era meglio non tirare a indovinare.
«Salve» Disse il capo, mentre i suoi sodali agitavano le mani come se fossi lontana mille miglia e non potessi sentire i loro “ciao” borbottati «Vogliamo della carne»
«La casa consiglia il cervo, oggi. Stamattina è arrivato uno splendido maschio. Ma il cervo ha un costo superiore di due lunette rispetto agli altri» spiegai «Abbiamo anche pollo, maiale e anatra. Il manzo è finito»
«Ah» il mezzorco capo si sfregò il mento fra pollice e indice, sporgendo un po' le zanne inferiori con aria pensierosa «Maiale? Maiale va bene?»
«Sì, signori. Maiale. Cotto o crudo?»
«Cotto»
«Che cottura?»
«Al sangue per me» il capo si posò una manona sul petto, poi indicò i suoi sodali «Ben cotta per Borg e Torg» (due mezzorchi con i capelli tagliati a tazza) «E mezza cottura per Michael» (un biondone senza zanne visibili, ma con la pelle letteralmente verde)
«Certo, signori. Torno subito».
Mi avviai verso la cucina, mentre con la coda dell'occhio vedevo entrare, e avvicinarsi al bancone, due bambini che con tutta probabilità non erano davvero bambini.
La cuoca, Aria, era un'elfa misteriosa che si era unita al nostro staff solo due mesi prima e nessuno aveva davvero idea di chi fosse, ma cucinava così bene che non importava a nessuno. Era alta (benché non fosse un elfo alto, da non confondersi con gli elfi che sono-semplicemente-alti-di statura), con fluenti capelli neri come ali di corvo, occhi verdi come germogli in primavera e zigomi affilati e altissimi con cui probabilmente poteva affettare le carote.
«Quattro mezzorchi» Dissi «Vogliono tutti il maiale. Due ben cotti, uno al sangue e uno a mezza cottura. Si può fare?».
Aria mi guardò. Aveva lo sguardo altero di una regina, benché indossasse un grembiule unto appartenuto al mio trisnonno Lucrezio, famoso perché si asciugava le mani, i piedi e il naso su quello stesso grembiule.
«Si può fare» Disse, poi iniziò a manovrare il coltello con grazia e agilità, danzando per la stanza, piroettando, lanciando in aria il pezzo di maiale.
Ah, gli elfi! Ce ne sono tipo trenta razze diverse e se li confondi tra loro si arrabbiano e ti maledicono (e sono iettatori, le loro maledizioni prendono, eh!), ma di tutte le razze la più strana sono senza dubbio gli elfi di foresta (da non confondere con quelli dei boschi, altrimenti ti maledicono), la razza di Aria. Gli elfi alti sono bizzarri da guardare, ma non sono né più né meno pomposi e irragionevoli dei nobili umani, mentre gli elfi di foresta sono... sono... non trovai un termine per descriverli, mentre guardavo la nostra cuoca che danzava con le fettine di maiale per la cucina, facendo svolazzare il grembiule e i capelli. Avrebbe dovuto indossare la retina, ma gli elfi di foresta, a quanto pareva, non perdevano i capelli: avevano un ricambio stagionale, li perdevano tutti e poi gli ricrescevano in primavera, come le corna dei cervi.
«Quella al sangue è pronta, giovane umana» Disse Aria, consegnandomi un piatto.
Mi ero incantata a guardarla piroettare e avevo perso la nozione del tempo, o forse era solo stata lei ad essere velocissima. Presi il piatto, passai dal bancone per spillare quattro boccali di birra e consegnai il tutto al tavolo dei mezzorchi.
«Bromf» Mi disse il capo, con la bistecca infilata in bocca. Ne fui onorata, mi inchinai e tornai in cucina.
Aria piroettò sulle punte dei piedi e mi mise davanti la bistecca a mezza cottura.
«Come diavolo hai fatto a cuocerla così in fretta?» Domandai, divertita
«Siete voi umani che cuocete lentamente» rispose lei, lavorando a quattro piatti contemporaneamente
«Il sottotesto cannibale di questa frase mi inquieta. E comunque noi umani non facciamo fuoco, il fuoco cuoce sempre alla stessa velocità, no?»
«No»
«Va bene» mi strinsi nelle spalle e uscii di nuovo a consegnare la seconda bistecca.
Michael mi fece l'occhiolino. Non avevo mai pensato all'idea di uscire con un mezzorco e questo era particolarmente... attraente, anche se era verde.
«Spero che sia di tuo gradimento» Dissi.
Per farmi capire che era di suo gradimento, Michael piegò in quattro la carne, come un fazzoletto, e se la infilò tutta in bocca, poi, sbavandosi solo un po', disse qualcosa che non capii assolutamente, perché come diavolo fai a capire qualcuno che ha un'intera bistecca a mezza cottura infilata in gola? Promemoria per me: scartare l'idea di uscire con un mezzorco.
«Molto bene» Dissi, poi corsi in cucina.
Il problema con un cuoco elfico è che non puoi riposare, perché cucina ad una tale velocità da costringerti a correre avanti e indietro dai tavoli alla zona cottura come un riccio mistico messaggero.
Quasi mi scontrai con Nihal, un'altra cameriera che come me era intrappolata in quel moto perpetuo nella taverna, e fui costretta a fare un balzo di lato.
«Stai attenta a dove vai» Mi disse lei, truce «Io non sono come le altre donne!».
Forse si riferiva al suo essere un ibrido (fra cosa? Non lo sapevo), ma comunque non vedevo come questa sua condizione dovesse favorirle il passaggio.
«Le bistecche ben cotte sono pronte» Disse Aria, in cucina.
Presi entrambi i piatti con la sinistra (una cameriera livello “esperto” fa questo e molto altro ancora), girai sui tacchi e vidi i due bambini fermi sulla soglia della cucina.
«Non si può stare qui!» Dissi con sollecitudine, poi cercai di sospingerli fuori con una sola mano, delicatamente.
Per tutta risposta, i due bambini si illuminarono e parlando con profonda voce all'unisono dissero
«Non toccarci, mortale! Siamo gli agenti per l'ispezione di igiene!».
Ritrassi la mano come se mi avessero scottata. Orrore supremo! Gli ispettori erano lì. Sembravano due bambini qualunque, umani, con orecchiette rotonde, capelli castani, grandi occhi azzurri e vestitini semplici, di lana filata, con le ginocchia sbucciate che spuntavano dai pantaloncini. Ogni volta che le taverne venivano ispezionate, gli immortali agenti prendevano la forma di creature insospettabili, in modo da arrivare a sorpresa e constatare il vero stato delle cucine. Volevano incastrarci, maledetti!
«Venite» Disse Aria, per nulla turbata «Vi stavo aspettando».
Io, invece, ero turbata. Mi aspettavo che da un momento all'altro partisse un duello magico in cucina, con Aria che volteggiava a cento chilometri orari per evitare i raggi magici partiti dagli occhi dei gemellini.
Uscii dalla cucina per servire le ultime due bistecche ai mezzorchi. Non ero certa di poter evitare i raggi magici, perciò era meglio essere lontani quando il duello sarebbe avvenuto.
Borg e Torg erano evidentemente contenti di essere serviti e si leccavano le labbra. A vicenda.
«Ecco la vostra... ehm... carne» Dissi, poi mi allontanai indietreggiando. Non era facilissimo capire cosa intendessero i mezzorchi o gli orchi quando si leccavano a vicenda: a volte lo facevano per rinsaldare i legami del “branco”, altre perché erano molto contenti, altre ancora perché avevano fame e le facce dei loro compagni sembravano appetitose, altre ancora perché si amavano. I mezzorchi erano esagerati in tutto, dalle dimostrazioni d'affetto alla fame. E avete mai visto una donna mezzorco che porta dei gioielli? Perché in tal caso sapreste la vera definizione di “esagerato”.
Comunque li avevo serviti e la mia camicia di sangallo era salva! Di solito i mezzorchi schizzavano (non lo facevano apposta, sia ben chiaro) le cameriere di birra, di sugo, di fango, di saliva, di tutti i fluidi che avevano sottomano insomma. Ero stata fortunata.
Non stava entrando nessuno di nuovo dalla porta, perciò mi sedetti un istante su una seggiola di legno vicino al bancone per riposare.
Benché fosse una taverna a buon prezzo, la “Cammino delle Leggende” era molto bella. I tavoli di legno massello, purtroppo sfregiati da innumerevoli colpi di coltello per colpa degli avventori ubriachi, erano sistemati in due file distanziate e regolari all'interno del grande locale, sotto un bel soffitto con le travi a vista dalla quale penzolavano due complessi lampadari di ferro battuto che sostenevano ciascuno duecento candele. Alle pareti erano appesi i ritratti di persone famose che in passato si erano rifocillate da noi, eseguiti con maestria da un incredibile artigiano elfico capace di far apparire le immagini sulle tavolette semplicemente con il pensiero.
I quadri erano centocinquanta. Avrebbero dovuto essere centocinquantuno, ma uno di essi era stato nascosto (e io non lo avevo mai visto) perché il famoso avventore in questione si era in seguito rivelato essere un supercriminale così spietato, abominevole e cattivo che l'esposizione del suo ritratto era stata vietata e se l'immortale comitato degli agenti di ispezione, l'ICOI, l'avesse visto ci avrebbe fatto chiudere baracca per sempre.
Ogni ritratto era accompagnato da una targhetta dorata che riportava il nome della persona ritratta e, a volte, il motivo per cui era diventata famosa. Ad esempio, fra i nostri ospiti passati più popolari, c'era Adrianeel della Casa del Giglio, un'elfa alta (alta nel senso di razza, non nel senso che era alta di statura) che aveva sconfitto con la sua sola bellezza il malvagio Corcagrass, facendogli promettere di non fare più del male ad una mosca e in seguito sposandoselo, oppure il nano Morto, che a dispetto del nome era molto vivo, divenuto famoso per aver bevuto centodue boccali di birra in un giorno senza morirne.
Il pavimento della sala era un unico gigantesco mosaico che ritraeva animali di ogni genere, dai cani ai barbagiassi (da non confondersi con i barbagianni, che pure c'erano), passando per i lombrichi di ben tre specie diverse e una ventina di specie di fringuelli che non si sapeva neppure se esistessero tutte, ma che per qualche motivo avevano becchi tutti di forme diverse. Quel mosaico era stato l'investimento più grosso in assoluto per il creatore della taverna: l'intero edificio era stato pagato meno del pavimento, a cui avevano lavorato tre artisti trigemini davvero bravi per due anni. Alla già interessante cifra con cui erano stati pagati gli artisti, si deve aggiungere anche quella con cui si è ricompensata la maga che ha gettato un incantesimo sul mosaico per evitare che le tessere saltassero via sotto i colpi impietosi di chissà quali creature non proprio sobrie che negli anni avrebbero visitato la taverna.
Una volta un licantropo smemorato si era trasformato dentro la sala, ma i suoi artigli non erano riusciti neppure a scalfire il mosaico. In compenso avevano scalfito... quasi tutto il resto.
Insomma, mangiare al Cammino delle Leggende era un'esperienza incredibile per tutti. E lavorarci?
Posso assicurarvi che il lavoro di cameriere è già duro e complesso senza dover servire ogni esaltato senziente sul pianeta. Però, diamine, era anche favoloso! Un lavoro tosto, ma ben ricompensato dalle storie che si potevano sentire e dalle scene assolutamente favolose a cui si poteva assistere.
Nihal, l'ibrida scontrosa, mi passò di fronte. Aveva le orecchie a punta, non strette e lunghe come quelle della maggior parte degli elfi, ma invece grandi come la mia mano, che sbucavano da in mezzo ai capelli lunghissimi e blu mare, con sfumature violacee. Cercava sempre di darci a bere che quei capelli fossero naturali, ma tutti sanno che i mammiferi non possono avere peli blu... tutt'al più di un grigio tendente all'azzurrino, ma non cobalto, giusto?
«Che ti guardi?» Mi disse, imbronciata
«Non stavo guardando te» risposi
«Invece sì. Stavi guardando proprio me».
Presi un respiro profondissimo. Quella lì voleva litigare. Voleva litigare sempre. Non aspettava nient'altro che un pretesto per correre a prendere la sua spada nera e sfidare a duello la gente.
«Rilassati, Nihal» Dissi «Altrimenti ti faccio licenziare».
Mio padre è il padrone della taverna. E sì, il mio trisnonno era il pazzo che spese fino all'ultimo centesimo per comprare un pavimento.
Nihal sbuffò dalle narici
«Che vuoi che me ne freghi di questo lavoro idiota?» domandò
«Non lo so. Ma se non te ne frega niente, perché non te ne vai? C'è la fila per diventare camerieri al Cammino delle Leggende, almeno libereresti il posto a chi vuole farlo davvero»
«Io sono qui solo perché sto aspettando qualcuno» disse lei, con aria improvvisamente cospiratoria, afferrandosi con una mano il medaglione pacchiano che le pendeva sempre dal collo
«Ah sì? E lo aspetti da... quattro mesi?»
«Ci sta mettendo più tempo del previsto. Ma che te lo dico a fare?»
«Non lo so. Potresti anche non dirmi niente» sospirai «Potresti lasciarmi in pace, no?»
«Mi consideri superflua, quindi?»
«Ciao».
Mi alzai e mi diressi verso l'uscita. Non avevo davvero nessuna intenzione di litigare con lei.
Fuori c'era un tempo delizioso, con il Sole Maggiore alto nel cielo e quello Minore che si intravedeva in lontananza, come un diamante brillante che bucava l'azzurro. Il Sole Minore non brillava tutti i giorni, a volte era spento, ma quando era acceso, beh... significava solo bel tempo. E buona fortuna, così dicevano gli anziani.
I filari di alberi che costeggiavano la Strada Azzurra erano in fiore, punteggiati di bianco e rosa. Gli uccellini cinguettavano.
Mi stiracchiai, contenta, lasciando che il tenue calore primaverile mi riscaldasse la faccia. L'aria profumava come un balsamo.
Sentii il battere ritmico degli zoccoli di un cavallo sul lastricato della Strada Azzurra e mi sporsi fra gli alberi a guardare. Chiunque arrivasse era destinato a fermarsi: la distanza fra un punto di ristoro e l'altro, sulla Strada Azzurra, era tale che i viaggiatori si sentivano sempre affamati.
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