Colpii con tutta la mia forza il collo dell'animale, i pugni serrati fin quasi a piantarmi le unghie nei palmi. Andavamo troppo veloci perché mi buttassi a terra dalla sella, rischiavo di farmi davvero male, di battere la testa, forse di morire. Ero maldestra, lo ammetto, maldestra e terrorizzata. E casa mia era appena scoppiata.
Urlai finché non sentii la gola scorticata, poi non ebbi altra scelta se non quella di smettere, artigliarmi la camicetta e lasciarmi invadere dalla disperazione, chinandomi sul collo del destriero e cercando di respirare decentemente. Dovevo ammettere, mio malgrado, che quel matto di un cavallo mi aveva probabilmente appena salvato la vita, ma adesso poteva fermarsi, no? Poteva lasciarmi scendere e tornare indietro da mio padre. Mi rifiutavo di pensare che papà fosse morto. Doveva essere vivo. E anche Aria. E Nihal. E i gatti, tutti i gatti, ma in particolare Dracula, che dovevo ritrovare senza un graffio.
Non potevano essere morti. No? No? Sentivo che solo se avessi sperato, se avessi tenuto duro con tutte le mie forze senza cedere alla disperazione, avrei potuto ritrovare la mia famiglia sana e salva.
«Non sono morti» Sussurrai, sentendo la mia voce flebile e arrochita
«Se ti piace pensarla così...» rispose una voce femminile, ma profonda, e vicinissima al mio orecchio.
Mi guardai intorno, drizzando di colpo la testa. Non c'era nessuno vicino a noi, che sfrecciavamo sulla Strada Azzurra, solo alberi in fiore e nugoli di moscerini. Catalogai quel fenomeno come una piccola allucinazione auditoria, dovuta allo stress, una specie di “vocina interiore” dal tono un po' condiscendente ma sexy.
«Non sono morti» Ripetei, con più convinzione, poi tossii e mi fece male la gola.
Non credevo di essere mai stata in uno stato più miserevole di quello: rapita da un cavallo, quasi senza voce e possibilmente con tutta la mia famiglia perita in un improvviso e inspiegabile incendio che in quel preciso momento stava consumando la mia casa. Non sapevo come tirarmi su di morale. Non volevo neanche tirarmi su di morale, lo reputavo sbagliato... che razza di persona cercherebbe di tirarsi su di morale quando suo padre (e il suo gatto) è appena forse-morto?
Poi, finalmente, il cavallo si fermò ansimante, dritto in mezzo alla strada. Scesi in fretta e furia dalla sella, con le gambe che mi tremavano, e provai a tornare indietro. Feci giusto due passi prima di cadere in ginocchio e vi assicuro che sbattere le rotule così su una strada ricoperta di ciottoli fa un male cane.
Mi rialzai, tremando ancora da testa a piedi, e lasciai che l'adrenalina scatenata dal dolore mi pervadesse. Era poca adrenalina, però, troppo poca. Mi diedi uno schiaffo e digrignai i denti, sentendomi subito un po' più forte, e iniziai a correre.
Prima che potessi fare dieci passi, il cavallo mi trottò di fronte, sbarrandomi la strada con la sua massa imponente. Aveva il collo ricoperto di sudore e un odore leggermente acre e dolciastro, pungente, nettamente vivo. Cercai di aggirarlo, ma lui continuava a spostarsi e mettersi in mezzo, scuotendo la testa come per dirmi di no.
«Levati, stupido cavallo!» Ringhiai, cercando di apparire minacciosa, ma senza riuscirci perché non avevo più voce
«Stupido cavallo lo dici a tua sorella» rispose l'animale, con la stessa voce femminile di prima «Io ti sto salvando la vita».
Rimasi immobile, cercando di capire se anche quella fosse un'allucinazione auditoria o se in realtà nessuna delle due lo fosse stata e il cavallo fosse in realtà una creatura parlante. Avevo appena visto le sue labbra muoversi, accompagnando in maniera coerente il suono che ne era uscito, ma da quel che ne sapevo, i cavalli parlanti non esistono. Neppure gli unicorni, che sono intelligentissimi, sanno parlare. E i cavalli degli elfi, vogliamo parlarne? Anche loro sono terribilmente svegli, ma non ho mai e poi mai sentito dire che sapessero conversare.
«Tu...» Iniziai
«Stai lì!» Mi intimò il cavallo, prima che potessi dire altro «Sei l'unica umana a cui sono riuscita a salvare la pelle in vita mia e non ho intenzione di rovinare tutto mandandoti indietro»
«Cosa... cosa è successo?» mi massaggiai la gola
«Non l'hai visto?» il cavallo ruotò le orecchie in avanti, sprezzante «Gli occhi ce li hai solo per estetica? Ma io non lo so cosa insegnano a queste ragazzine oggi...»
«Devo andare. Signor cavallo, c'è mio padre lì!»
«Signora»
«Cosa?»
«Signora cavallo» mi corresse lei «Non signore. Sono un esemplare femmina»
«Ah. Scusa... scusa, signora cavallo. Ma mio padre...»
«Tuo padre, se è ancora vivo, avrà il buonsenso di fuggire più velocemente possibile da quel luogo maledetto» la cavalla quasi mi sbattè con il muso in faccia, i denti digrignati «E se hai un minimo di cervello lo farai anche tu»
«Perché? Cosa è successo? Senti, ho solo visto l'esplosione e penso di avere il diritto di...»
«Ti basti sapere che non è più sicuro tornare alla taverna. L'esplosione non è stata un incidente. E chi l'ha fatto vuole morta te, me e chiunque altro sul suo cammino, perciò noi ce ne andremo nell'unico posto sicuro dove quello non ci troverà mai»
«Quello? Chi è quello?» domandai, con un filo di esasperazione
«Non voglio farti andare nel panico. Probabilmente lo conosci. Tutti lo conoscono... ma non voglio farti andare nel panico»
«Ma mio padre...»
«Tuo padre potrebbe essere sopravvissuto e in fuga. E pensi forse che lui vorrebbe vederti rischiare la vita per lui? È questo quello che pensi?»
«Beh... sì?» mi grattai la testa «Credo che mio padre ammiri le persone eroiche e valuti molto la propria vita»
«ERRATO! Adesso andiamocene, prima che quello ci raggiunga»
«E dove stiamo andando?»
«Fidati di me e basta. Ritorna in sella e, per l'amor del cielo, smettila di urlare e cercare di picchiarmi».
Rimasi immobile a guardarla. Non ero sicura di voler accettare ordini da una cavalcatura, ma i suoi occhi erano quelli spietati di un'omicida e sembravano voler dire “se pensi di ritornare indietro e consegnarti nelle braccia del nemico, sarà meglio che ti uccida io”. Non ero sicura neppure di voler morire schiacciata dagli zoccoli di un immenso destriero da battaglia, perciò alla fine mi mossi per risalire in sella.
La cavalla riprese il suo cammino lungo la Strada Azzurra, stavolta con ritmata calma. Mi si strinse il cuore nel vedere in lontananza, dietro di noi, lunghi fili di gas grigio che si stendevano verso il cielo. Casa mia. I miei libri. Se anche la mia famiglia fosse stata salva, tutta la mia collezione delle avventure di Legolas e Gimli doveva essere andata penosamente in fumo, così come la preziosa collezione di quadri nella taverna.
Sentii gli occhi pizzicare, ma non volevo piangere, così mi premetti l'avambraccio sulla faccia sperando che la pressione potesse avere qualche effetto.
«Che c'è, stai bene?» Domandò la cavalla, senza troppo interesse
«No» risposi, la voce rotta dalla tristezza, quasi singhiozzante «No, non sto affatto bene»
«Hai bisogno di qualcosa?»
«Rivoglio mio papà. La mia casa. Tutte le mie cose» le prime lacrime iniziarono a scendere e in quel momento seppi che non potevano fermarsi «Fammi tornare a casa. Ti prego. Ti prego, fammi andare via»
«No» fu la risposta secca
«Perché no?»
«Te l'ho detto perché. Come ti chiami, ragazzina frignona?»
«Io mi...» tirai su con il naso, sentendomi incredibilmente stupida «... Mi chiamo Belarda»
«Belarda. Senti, Belarda: quando avevo la tua età, i miei genitori sono morti»
«E allora?»
«E allora capisco come ti senti».
Rimasi in silenzio, rimuginando. La vita media di un cavallo si aggira intorno ai trenta anni, un cavallo da corsa rende al suo massimo tra i tre e cinque anni, ma di solito questi animali si usano per lavorare o competere fino ai dodici-sedici anni. Quindi, quando quella cavalla aveva avuto la mia età, ovvero sedici anni, era stata già considerabile più che adulta, matura e pronta ad affrontare la morte dei suoi genitori. Era praticamente una cavalla in pensione! Non credevo proprio che le nostre situazioni si potessero comparare.
«Anche se in effetti li ho uccisi io» Aggiunse lei.
Il suo tono di voce mi raggelò.
I cavalli non parlano. I cavalli non uccidono i propri genitori. E se quella bestia fosse stata posseduta da un demone? I demoni sono entità strane, che vengono da una grande città sotterranea... sono praticamente vicini di casa dei nani, ma hanno poco da spartire con loro. Se i nani sono piccole creature burbere, ma con un gran senso dell'ospitalità e la fissa per costruire cose belle, i demoni sono invece quasi sempre falsamente cordiali, mangiano i propri ospiti (o entrano nei loro corpi per impadronirsene) e hanno la fissa di distruggere le cose belle.
L'idea di stare cavalcando un demone mi faceva venire i brividi alle gambe. Ero già spaventata e triste, perciò il mio umore non cambiò.
Proseguimmo per ancora un paio di chilometri, poi la cavalla si fermò e sbuffò
«Sono stanca. Scendi. Ci fermiamo un attimo».
Ormai la taverna non si vedeva più, anche il fumo era sparito oltre l'orizzonte e la linea degli alberi in fiore. Scesi di sella goffamente: non ero abituata a salire su animali così grandi.
«Come ti chiami?» Domandai «Non so ancora il tuo nome...»
«Ed è meglio così» rispose lei, avviandosi a lato di strada «Ti metterebbe solo nei guai»
«Il tuo nome?»
«È un nome famoso».
Ma erano tutti famosi e pericolosi? Il suo padrone, lei, anche il tizio che aveva dato fuoco alla mia casa... sembrava proprio che fossi stata incastrata nel mezzo di una specie di guerra occulta.
«E io che faccio?» Domandai «Ora posso...»
«Non puoi tornare indietro!» nitrì lei, irritata «Vieni con me. Andiamo a cercare dell'acqua e del cibo. Ho una fame tremenda»
«Prima, però, non hai accettato da mangiare. Cioè, hai preso solo dei pomi nottebrilli»
«Non mangio le schifezze da cavalli» rispose lei.
Demone. Demone, era sicuramente un demone. Risi nervosamente.
«Che cosa c'è da ridere?» La cavalla-demone mi guardò con la coda dell'occhio, le orecchie rigidamente in avanti
«Niente. Niente» mi affrettai a dire «Sono solo isterica»
«Alla tua età non ero isterica».
Probabilmente lei aveva la mia età adesso, a giudicare dal suo aspetto. Sembrava proprio una cavalla di sedici anni, a guardarla. Cioè, in realtà sembrava uno stallone pazzo demoniaco e gigante di sedici anni, non una cavalla, ma in quella situazione mi parvero solo dettagli.
Camminammo solo per altri cinquecento metri prima di scorgere un torrente ben consistente. La cavalla bevve avidamente e anch'io mi chinai sull'acqua per prenderne un po' fra le mani e portarla alla bocca. Mi sentii immediatamente rinfrancata dalla freschezza sulla mia povera gola riarsa e scorticata.
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