La storia della principessa in coma, meglio conosciuta come la Bella Addormentata nel Bosco, l'avevo sentita raccontare almeno venti volte: era una di quelle cose che attiravano la gente verso l'altrimenti repellente zona del pentimento. Tutti i cavalieri volevano svegliare la Bella Addormentata. Stupidi.
La leggenda narrava che un tempo, almeno cent'anni or sono, c'era un re che aveva una moglie meravigliosa che sapeva fare ogni cosa. Lui era un bel signore gentile, ma lei era certamente una donna straordinaria, come ne nascono una ogni mille anni, e si diceva che cantasse così bene che gli stessi usignoli finivano per avvicinarsi alle finestre, ad ascoltarla per imparare nuovi canti.
La regina sapeva anche filare, ricamare, dipingere, suonare innumerevoli strumenti e scrivere storie di tale delicatezza e bellezza che avrebbero fatto piangere la cavalleria dei Mordibraghe.
I due governavano il loro regno con grande saggezza, usando con adeguata parsimonia le proprie ricchezze e i propri privilegi, e sotto di essi la gente prosperava e le arti fiorivano, tanto che gli elfi invidiavano quei particolari umani.
Re e regina abitavano in un castello antico, interamente costruito di pietre rosse, posto sulla cima di un'alta collina da cui si godeva di un panorama splendido, spaziante sui boschi intorno, composti di ogni specie di pianta profumata o da frutto e da ogni rarità, abitato da uccelli multicolore.
Il re e la regina si amavano teneramente e solo a vederli ci si sentiva infondere il cuore di dolci sentimenti, ma purtroppo non riuscivano ad avere figli, sebbene li desiderassero con tutta l'anima. Si erano rivolti a medici, stregoni, sciamani, persino ad un demone, ma niente: non riuscivano proprio ad avere eredi. E il popolo, che era molto contento di quei regnanti, ci teneva che loro avessero dei figli che magari un giorno governassero con tanta saggezza quanta ne avevano i genitori, perciò erano piuttosto pressanti con le richieste di un erede. Ci fu persino un'improbabile rivolta: la gente riuscì a mettere fuori gioco le guardie reali, entrare nelle camere della coppia reale e chieder loro che provassero, per favore, con un po' più convinzione a fare un bambino.
I due reali ci provavano, sul serio, ci provavano un sacco e in ogni occasione. Che risate che ci furono quando durante il banchetto di inizio anno nessuno riusciva a trovarli da nessuna parte, finché non li beccarono poco vestiti dietro un cespuglio di rose nell'angolo più remoto del giardino, e quei due si giustificarono dicendo che stavano servendo il popolo!
Sebbene fossero molto saggi e intelligenti, re e regina ne combinavano d'ogni... ma tutte le loro marachelle venivano prontamente perdonate dal popolo, che vedeva in ciò solo un'ulteriore prova della loro umanità.
Esasperati dall'assenza di eredi, a un certo punto si misero d'accordo per tentare di generarne uno con un'altra persona: il re avrebbe provato a mettere incinta la dama di compagnia più amata dalla moglie e la regina avrebbe provato a rimanere incinta del consigliere più fidato del marito.
Neanche questo funzionò, ma per qualche strano scherzo del destino dopo qualche anno la dama di compagnia e il consigliere si sposarono ed ebbero dodici figli che divennero implacabili banditi.
Ma tornando ai nostri buoni re e regina, essi erano sempre più disperati e tristi. Pensarono allora di adottare un bambino, visto che non potevano averne di propri, ma il popolo minacciò di fare una rivoluzione se l'erede non fosse stato naturale: era il sangue, secondo loro, che contava.
Sebbene non fossero d'accordo (secondo loro a contare erano i legami e chi cresceva un bambino, non chi lo generava), i regnanti ricominciarono a provare a generare un erede, ma pareva proprio che entrambi fossero, irrimediabilmente, sterili.
Un bel giorno, però, la regina si accorse di essere incinta. Immaginarsi la loro gioia! Il gaudio immenso di tutto il popolo a quella notizia incredibile, che aveva del miracoloso!
Dopo otto mesi e mezzo, finalmente venne alla luce l'erede legittima al trono: una bambina bellissima, paffuta e rosea, forte e vitale, con i capelli dorati. Il re e la regina passavano ore e ore accanto alla culla della piccina, a guardarla con amore, ad accarezzarla, a baciarla. Fu dato ordine per i preparativi di una solenne cerimonia di battesimo, alla quale furono invitati nobili e re da tutte le parti di Cactoria.
Nel regno splendido dei nostri re e regina, vivevano e forse vivono ancora sette potenti fate.
«Inviteremo anche loro» Disse il re «Se non hai niente in contrario»
«Ovviamente» rispose la regina, emozionata «Assicureranno ogni bene alla piccina e non sarebbe saggio non proteggere questo piccolo fiore raro!».
A Cactoria è tradizione che i reali invitino sempre le fate, non solo perché sono schifosamente capricciose e se non vengono invitate si introducono di notte e ti strappano gli occhi a morsi, ma anche perché benedicevano il bambino e potevano persino decidere di diventare madrine del neonato, proteggendolo dalle sventure. La regina lo sapeva bene, perché anche lei aveva una fata madrina!
La tavola per l'immenso banchetto fu apparecchiata con posate d'oro, recipienti intarsiati di pietre preziose, piatti di porcellana finissima decorati con disegni di fiori esotici.
Proprio mentre la grande festa stava per cominciare, entrò nel salone una fata vecchissima, che non era stata invitata perché da più di cinquant'anni se ne stava chiusa nella sua caverna senza mai farsi vedere da alcuno e tutti, ovviamente, la credevano morta. Tutta vestita di nero, con la pelle incartapecorita, i capelli grigi raccolti in una brutta crocchia, la fata avanzò impettita, facendo trasalire tutti i presenti.
Dovete sapere che le fate non invecchiano come gli esseri umani, con l'età, ma sono soggette a leggi magiche che ne cambiano l'aspetto a seconda di come esse usano la magia. Tutti si chiesero che razza di poteri avesse scatenato quella creatura per essere diventata così.
Non appena la vide, il re ordinò di apparecchiare un posto anche per lei, con tutta l'urgenza che un reale poteva permettersi di esprimere in pubblico. Purtroppo, le posate d'oro erano state fatte in numero esatto, per non sprecare più materiale del dovuto (i regnanti, come ho già detto, erano parsimoniosi e pragmatici), quindi il coltello e la forchetta che la vecchia fata si trovò davanti erano d'argento. La vecchia, guardando le posate delle sue colleghe, digrignò i denti: se la prese a male e si sedette scura in volto, borbottando cose incomprensibili a bassa voce.
Una delle sette potenti fate, che era seduta vicino a lei, riuscì a sentire e decifrare alcune delle sue parole e capì che la vecchia voleva fare un brutto dono alla principessa, così subito si alzò e andò a nascondersi dietro una tenda: così, quando sarebbe stato il momento di parlare, sarebbe balzata fuori per ultima e avrebbe potuto riparare il danno fatto dalla malvagia.
Tutti (eccetto una sola invitata) si divertirono un mondo alla festa: ci furono grandi balli e giochi di gruppo e un nascondino reale in cui i nobili risero come matti. Verso la fine, la bambina fu portata al cospetto degli invitati, esposta in una bellissima culla di vimini intrecciato decorato da angoli d'argento forgiati in guisa di serpenti, perché tutti potessero avvicinarla, ammirarla e renderle gli onori dovuti ad una principessa.
Ad una ad una, le fate si alzarono dal loro posto e si misero in cerchio intorno alla culla. Tutti tacquero, in attesa di sentire le loro parole che sarebbero diventate benedizioni.
«Io fato te,» Disse la prima, con un sorriso gentile «Splendida creatura di sangue reale, perché tu sia la più bella fanciulla del mondo»
«Io fato te,» disse la seconda, accarezzando una guancia della piccola «Adorabile frugoletta, perché tu sia intelligente come il più grande stregone»
«Io fato te,» disse la terza, sfiorandole i capelli «Amorevole piccina, perché la tua danza sia leggera come una farfalla e incantevole nella sua grazia»
«Io fato te,» disse la quarta, prendendole una manina «Preziosa umana, perché la tua forza ti permetta di contrastare anche un leone»
«Io fato te,» disse la quinta, alzando lo sguardo altera «Principessa di questo regno, perché tu sia capace di suonare ogni strumento musicale»
«Io fato te,» disse la sesta, sfiorando con un bacio la fronte della bambina «Dolce neonata, perché il tuo canto sia più gradevole di quello di un usignolo».
A questo punto, la vecchia fata si fece avanti e ruppe il cerchio, spingendo via la terza fata per prenderne il posto
«E io fato te» disse «Innaturale abominio, perché a sedici anni tu ti punga con un fuso e muoia!».
A quelle parole, seguì un attonito silenzio, uno sbigottimento che coinvolse tutti. Davvero la fata in nero aveva detto quelle orribili parole a una tale deliziosa e innocua piccina? La regina scoppiò in un pianto dirotto, il re prese a camminare su e giù mordendosi le labbra e torcendosi la barba, agitatissimo, seguito dai suoi consiglieri che non sapevano cosa dire. Ridendo e borbottando, la vecchia strega si allontanò dalla sala, lasciando dietro di sé un grande confusione.
Allora la giovane fata che si era nascosta dietro la tenda sorrise, uscì fuori e venne avanti. Tutti gli occhi si puntarono su di lei: si erano forse dimenticati un'altra fata? Ma no, era una delle sette!
«Io sono ancora piccolina» Disse lei «E non ho poteri grandi abbastanza da rendere nullo il dono malvagio di un'anziana, ma con le mie conoscenze, sire, posso renderlo meno terribile».
Subito il re si gettò in ginocchio come al cospetto di una dea
«Ti prego!» le disse, con gli occhi lucidi di lacrime «Ti prego, salva la mia bambina!».
La giovane allora si avvicinò alla culla e la toccò con entrambe le mani, chiudendo gli occhi
«Io fato te, povera sventurata creatura,» disse «Così che quando ti pungerai con un fuso, all'età di sedici anni, non morirai di certo, ma cadrai in un sonno profondo che preserverà il tuo corpo e che durerà fino a che non verrà a svegliarla un bacio d'amore».
Personalmente, io avrei risolto la situzione donando alla bambina una pelle invulnerabile, così che nessun fuso potesse pungerla, ma è così che va la storia purtroppo...
Quando i festeggiamenti finirono, il re inviò un ordine preciso in tutto il regno, con i suoi araldi armati di trombe e di fruste: «Tutti i fusi del regno dovranno essere bruciati. Nessuno dovrà mai più osare filare sotto la mia giurisdizione e chi oserà tenere con sé un fuso, seppure nell'angolo più oscuro e segreto della propria casa, sarà incarcerato a vita o condannato a morte a seconda del caso».
Ogni tre mesi, un'ispezione a sorpresa avveniva in un numero casuale di dimore dei cittadini, per assicurarsi che l'editto venisse rispettato. La bambina intanto cresceva rapidamente, bella e intelligente, con la voce di un usignolo e la forza di un leone, tanto che pareva impossibile che fosse destinata a terminare la sua vita prima ancora di diventare adulta.
Gli anni passarono e, lentamente, la minaccia della fata malvagia sbiadì nelle menti del popolo e dei regnanti. C'erano sempre cose più importanti a cui pensare e marachelle di cui ridere (anche la principessina era una vera monella! Ma così brillante e graziosa che tutti la perdonavano), perciò i regnanti non credettero che fosse così terribile se si fossero assentati un po', solo un paio di giorni, per andare ad una solenne cerimonia religiosa che si svolgeva a neanche tre chilometri di distanza dal loro castello. Poichè, però, si trattava di una cerimonia per soli adulti, la principessina dovette rimanere a casa insieme a una piccola parte della servitù.
Una delle cose preferite da fare per la fanciulla era esplorare. Aveva già esplorato in lungo e in largo il loro giardino, in groppa alla sua bellissima giumenta bianca, e ora si era messa in testa di visitare le stanze del castello, specie quelle disabitate. Non aveva paura di niente, visto che era forte come un leone, ma fino ad ora non era mai entrata nella torre più picccola perché i genitori glielo avevano proibito.
«È un posto pericolante e pieno di cianfrusaglie» Le aveva detto sua madre «Non solo non c'è niente di interessante da vedere, ma ti faresti anche male...».
La principessa, però, ora rimasta sola ed era pronta a combinarne un'altra delle sue. Questa marachella, pensò lei, le sarebbe stata perdonata con la stessa facilità di tutte le altre... se mai l'avessero scoperta!
Approfittando dell'assenza dei genitori, salì la lunga scala a chiocciola della torre più lontana dagli appartamenti reali e trovò una porticina di legno ammuffito, chiusa con una chiave arrugginita che però spuntava dalla serratura. La girò due volte e la porta si aprì docilmente, lasciandola passare.
La principessa entrò in una stanzetta circolare e vide che lì c'era a una vecchina curva, tutta vestita di nero come se fosse in lutto, intenta a filare.
«Buongiorno, nonnina» Le disse educatamente la principessa, seppure fosse un po' stranita da quell'incontro inaspettato «Che cosa fai?».
Sua madre le aveva detto che c'erano solo cianfrusaglie nella torre piccola, ma una vecchietta non era certo una cianfrusaglia! E poi... cosa stava facendo quella donna? La fanciulla, ovviamente, non aveva mai visto prima né una rocca né un fuso, non sapeva proprio cosa significasse filare, perciò quelle ripetitive azioni che la vecchietta stava compiendo con quella strana attrezzatura le apparivano curiose e quasi buffe.
«Non vedi, piccola cara?» Domandò la vecchietta, senza smettere di lavorare «Sto filando il lino per farne un bel filo morbido morbido».
La principessa si sedette su uno sgabellino traballante (davvero la torre era piena di mucchi di cianfrusaglie) e stette quieta ad osservare la vecchia. Ai suoi occhi, quell'occupazione era divertente come un nuovo gioco e le venne voglia di capire cosa si provasse a fare questa cosa chiamata “filare”.
«Nonnina cara, mi faresti provare?» Domandò a un certo punto
«Se ti fa piacere, piccola cara...» rispose la vecchietta.
La principessa prese in mano rocca e fuso e iniziò a provare a farli girare come aveva visto fare alla vecchia, ma poiché non era tanto pratica, per sbaglio si punse un dito con il fuso.
«Ah... ma è solo una punturina» Fece appena in tempo a dire la giovane, per rassicurare la vecchietta, che all'improvvioso cadde a terra come se fosse morta.
«Aiuto!» Gridò l'anziana «Aiuto! La principessa è morta! È morta!».
Accorsero due servi, che cercarono in ogni modo di far riprendere la principessa. Le slacciarono il corpetto, le fecero annusare dei sali, le spruzzarono l'acqua in volto, la presero a ceffoni, ma niente: forse era morta davvero.
«Ma nonnina!» Disse uno dei servi «Tu che cosa ci fai quassù? E non lo sai» aggiunse, lanciando un'occhiata spaventata al fuso per terra «Che è proibito filare nel nostro regno?».
L'anziana sorrise arcigna e si trasformò di nuovo nella fata malvagia. Infatti, ovviamente, era proprio lei che aveva preso forma di innocua vecchietta solo per ingannare la principessa!
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