Oronzo mi osservava immobile, con le mani intrecciate di fronte a sé, con lo sguardo serafico e infuso di divino come un cherubino magro. Attendeva la mia prossima mossa senza contrarre un muscolo, cosa che mi metteva addosso un certo disagio.
«Io... certo, non voglio svegliare la principessa» Assicurai, e per qualche ragione il mio tono risuonò perplesso alle mie stesse orecchie.
«Lo giuri?»
«Lo giuro, sì»
«E non lo farai, giusto?»
«Ho... appena detto che non lo voglio fare»
«Per favore, assicurami che non lo farai comunque» disse lui. Il suo tono suonava un po' più paziente e si chinò appena verso di me nel pronunciare quelle parole.
«Va... bene» Annuii e alzai i palmi verso di lui con le dita ben distese per vedere che non stavo incrociando le dita né alzando solo pollice ed anulare insieme. Era un'impresa difficile ad un essere umano, conosciuta come Dita Storte dello Spergiuro, ma che, se riuscita, garantiva l'immunità da quasi qualunque giuramento «Non sono venuta qui a liberare la principessa, non lo voglio fare e non lo farò, gliel'assicuro».
Oronzo cambiò atteggiamento. Tornò a sorridermi e, anche se dissimulava parzialmente il sollievo, c'era un che nel suo atteggiamento che faceva sembrare si fosse tolto dalla schiena un peso fisico.
«Immagino tu ti voglia ricongiungere alla tua cavalla, vero?».
La risposta tardò un poco a venire, perché ero tutt'altro che sicura riguardo al volermi ricongiungere con un demone schizzinoso che aveva ucciso i propri genitori.
Mi guardai attorno, come se gli alberi spogli avessero potuto suggerirmi la cosa migliore da fare. La giumenta di Undertaker non si presentava come una persona... un animale... una creatura insomma, troppo affidabile. D'altronde ero sola nella Zona del Pentimento e sembrava quantomeno avventato partire senza nessuna preparazione. La cavalla mi aveva salvato dall'esplosione e, anche se non potevo escludere che lei stessa fosse un pericolo, c'era anche la minaccia aleggiante e indefinita di quello, come l'aveva chiamato (o meglio, come si era rifiutata di chiamarlo) la giumenta.
«Sì, immagino di sì. Grazie».
Di sicuro mi sarei pentita anche di questo.
Mi stavo già pentendo.
«Io non potrò trattenermi molto a lungo, ma non sarai sola» Mi rassicurò Oronzo, iniziando ad incamminarsi a passi eleganti. Lo seguii, chiedendomi cosa ci fosse da fare in una zona spoglia come quella.
In effetti, ora che ci pensavo, davvero viveva lì? A chi sarebbe venuto in mente di fermarsi in un posto tanto inospitale?
«Ah, sì? Intendi, oltre alla mia cavalla?» Chiesi, inciampando con uno sbuffo su una radice affiorante, ma riuscii a non cadere
«Sì. C'è un... viandante» Ripetè Oronzo, distogliendo lo sguardo, irritato.
Lo feci a mia volta di riflesso, ma capii di non essere stata io a dargli fastidio. «Un viandante?» ripetei
«Uno dei giovani venuto qui a tentare la sorte per cercare di avere la mano della principessa. Per fortuna sono riuscito a raggiungerlo in tempo e convincerlo a fermarsi a prendere ristoro, ma vorrà ripartire presto»
«E... sei riuscito a convincerlo a lasciar stare la principessa?»
«No» sospirò lui «Sembra davvero fermo nel suo proposito, anche se non penso possa farcela davvero. Ma non so più come convincerlo».
Un altro di quei ragazzini che buttava al vento la propria salute per inseguire una favola. Avrei voluto che la smettessero di fare così, era vero, e forse per una volta avevo davvero davanti a me la possibilità di aiutare personalmente qualcuno di loro.
«Fammici parlare, per favore» Dissi, risoluta, battendomi il petto con un pugno chiuso «Ci penserò io a dissuaderlo».
Oronzo tornò a guardarmi, sorpreso. «Lo faresti? Perché?»
«Perchè è la cosa giusta da fare, no?» abbozzai un sorriso «Non so ancora perché dovrebbe essere così pericoloso per tutti svegliare la principessa, ma anche con quello che so non credo che ne valga la pena. Magari posso... farlo vedere anche a lui»
«E credi di riuscirci?»
«Non sono sicura, non lo conosco» ammisi «Ma farò del mio meglio».
Oronzo annuì. «Ti fa onore, giovane» Disse, continuando ad avanzare «Spero davvero che tu riuscirai laddove a me è stato impossibile».
La casa di Oronzo non era maestosa a vedersi, ma neppure molto povera. Ad ogni modo, era meglio di ciò che avevo immaginato per qualcosa che stava nella zona del pentimento.
Sembrava una specie di dependance fatta di pietre ben levigate per sembrare omogenee.
C'era qualcosa di strano però: se il corpo centrale e la stalla erano chiaramente in uno stile elegante ed abbellito, di sapore stranamente antico come una piccolissima villa di campagna aristocratica, c'erano delle stanzette che vi erano state costruite attorno per espanderlo un po' di più da mani decisamente meno abili, molto più simili a piccoli capanni per attrezzi rammendati come arti della Chimera di Gorgila alla villetta originale.
Oronzo fu molto ospitale con me, offrendomi subito da bere e da mangiare. Per un attimo fui tentata di togliermi il pensiero e incontrare subito la cavalla-demone e il giovane aspirante suicida, ma appena lui citò cibo e bevande mi accorsi di averne troppo bisogno per rifiutare.
Per fortuna la sala da pranzo era allestita al centro della costruzione, ne era praticamente il cuore, e aveva perciò un bell'aspetto curato, con le pareti tutte azzurro carta da zucchero e mobilia d'argento oppure argentea nel colore. C'era un motivo arabescato e sfuggente che continuava a ripetersi sulle pareti, sulla teiera, avvolto attorno al pomello della porta, che sembrava una scrittura sconosciuta ed esotica.
A dire il vero, non mi aspettavo neanche di incontrare così presto il giovane misterioso. Era stato ingenuo da parte mia pensare che Oronzo ci avrebbe tenuti separati o che non avrei potuto incrociarlo per caso; eppure lui era lì, seduto al tavolo tondo d'argento, e mi guardava con i suoi occhi di un castano tanto chiaro da sembrare ambra, sottolineati da occhiaie scure da morto di sonno.
In generale, l'aspetto del ragazzo era tale da farmi venire insieme voglia di ridacchiare – cosa gradita, visto ciò che avevo passato nelle ultime ore – e prendergli la temperatura. Aveva i capelli bronzei, un tocco di colore troppo vivo per la stanza, spettinati verso l'alto e abbastanza lunghi perché si notasse troppo. La pelle era abbastanza pallida da farlo sembrare finto, quasi una statua nel modo morbido in cui luci ed ombre lambivano le linee del suo bel volto, il naso dritto e sottile, gli occhi grandi, la mascella squadrata e le labbra che si atteggiarono subito ad un sorrisetto sghembo, a labbra chiuse, appena entrai nella stanza.
Era difficile capire quale fosse la sua corporatura, dato che indossava un'armatura troppo grande per lui che lo faceva sembrare molto magro. Da quello che potevo vedere delle ossa del suo volto e del suo collo non doveva essere denutrito, anzi, sembrava abbastanza atletico nonostante il contrasto.
Gli rivolsi un salutino con la mano, senza aprire bocca. Lui non rispose.
Forse era morto da un paio d'ore, a ben vedere non respirava neanche; questo avrebbe spiegato come mai era tanto pallido.
La porticina della dispensa da cui Oronzo passò per prendere viveri per noi era minuscola, troppo piccola per lui, come se fosse stata costruita da un nano basso, e il guardiano dovette chinarsi. Chissà perché...
Mi sedetti dall'altro lato del tavolo rispetto allo sconosciuto, osservandolo di sottecchi, cercando di capire cosa gli avrei detto quando fosse arrivato il momento. Lui guardava le mattonelle bianche picchiettate di grigio, adesso. Poteva spostare gli occhi e la testa, quindi non era morto.
Quando Oronzo tornò, imbandì la tavola di ogni genere di prelibatezza, perlopiù dolci, lasciandomi di nuovo a bocca aperta. Dove trovava queste cose qui?
«Sembra tutto davvero delizioso» Dissi ad alta voce ammirata, sentendo l'acquolina in bocca mentre sollevavo la prima pasta che avevo a tiro per osservarla meglio. La luce che veniva da fuori, tradendo la temperatura che inesorabilmente si alzava nella zona del pentimento con l'avanzare delle ore, si spandeva sulla superficie del dolce. Sembrava che fosse stata spennellata di qualcosa, forse uovo, ed era composta da due nastri intrecciati tra loro ed avvolti intorno a quella che sembrava un'enorme ciliegia candita.
«Oh, per procurarmi questo cibo devo... faticare molto. È il mio compenso. Siete fortunati, di solito non posso avere tutto questo bene a disposizione, ma una mia... amica è passata a trovarmi molto di recente. Divido volentieri con voi ospiti, anche se questo prezioso cibo scarseggia qui e mi trovo spesso a patire la fame in queste zone ostili».
Il silenzio fu preso a calci dal rumore di sbriciolamento che riempì l'aria, causato dalle lunghe dita pallide del giovane, molto preso a fissare il muro, che demolivano una delle paste che Oronzo gli aveva gentilmente offerto, senza mettersi in bocca neanche una briciola.
Bene, poteva muovere anche le dita, oltre agli occhi e la testa, quindi prima non mi aveva salutata solo perché era maleducato, non perché era morto.
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