Mi sorrise,
come si sorride a un bambino,
solo che aggiunse un pizzico di, non so come chiamarlo, potere seducente?
… oddio se lo fa un’altra volta esplodo, cioè o la prendo o schiaffi o, insomma avete capito…
*cerca di controllare il respiro*
… dimostra che sei calmo e stavi fingendo, cioè davvero credi che possa ingannarla?..
..cioè ma cosa sta succedendo? ho due personalità ora?…
< dimmi solo che posto è questo >
< sinceramente? Speravo in qualcosa di più utile .. non so .. qualcosa come: da quanto tempo sono qui, come ci sono arrivato, mi hanno fatto del male? Oppure la più esilarante: sei una dama di compagnia? Dopo la quale ci saremmo potuti divertire un’infinità .. ..
.. > sembrava persa in ricordi piacevoli mentre lo diceva, per lei era tutto un gioco.
< allora cucciolo, cosa volevi sapere? >
< suppongo che Emily non sia il tuo vero nome >
ero certo che stesse sorridendo ed ero altrettanto sicuro che le avrei lanciato addosso qualsiasi cosa pur di farla smettere, se solo ci fosse stato qualcosa da lanciare.
Decisi che per il momento l’avrei assecondata,
< cosa mi hanno fatto? >
< non molto in realtà, sei stato sedato per due giorni, io ho avuto il compito e il piacere di fare ciò che so fare >
< ovvero? > chiesi con aria ironica
< .. segui il dolore >
cosa caspita vuol dire “segui il dolore” … …
… Oh! Duh! …
Una scossa elettrica esageratamente lunga e fastidiosa si diffuse su tutto il mio addome, fin quasi alle ginocchia.
Credevo fosse un dolore reale, ma non riuscivo comunque a capire! … le sue parole avevano agito come un codice, sbloccando una sorta di barriera posta a monte dei miei nervi che rilasciata aveva liberato un’onda di impulsi nervosi.
Volevo risposte, anche se parlare mi faceva piegare in due
< cos’è …. cos’è questo? …. sembra che mi stiano divorando la pancia > a un certo punto mi terrorizzò l’idea che mi stessero usando come ospite per qualche specie aliena o ibrida.
Lei, che aveva l’innata capacità di leggermi come un libro aperto, fece un gesto con la mano come a dire: oh, non è nulla.
A stento trattenni un conato di vomito dovuto al dolore e al fatto che cercavo in tutti i modi di restare in piedi. Non potevo permettermi di cedere, non davanti a lei in quel momento. Tenendomi la pancia con una mano, mentre con l’altra mi reggevo al vetro, trovai le forze per un’altra domanda,
< cosa mi hanno fatto? >
Percepivo il peso di ogni parola, un fiume denso e viscoso che fuoriusciva dal cratere che era la mia bocca. Solo quattro semplici parole. Eppure era come sputare colla con i denti stretti cercando di farsi capire.
< vuoi davvero passare così il tempo? Speravo in qualcosa di più originale…>
Purtroppo per me mi voltai e la vidi affondare la schiena nelle coperte. Ormai il danno era fatto, se c’era qualcosa che la mia curiosità desiderasse vedere beh, ora ce l’avevo davanti e non mi sarei voltato.
Mentre il dolore andava scemando e aumentavano il battito cardiaco e l’agitazione, un’idea solleticò il mio ego, il caos porta spesso con sé molta lucidità mascherata da follia.
< è che non capisco, o forse tu non capisci > continuò < io potrei anche essere a conoscenza di .. molte cose utili .. ma a te cosa importa… non fraintendermi, è normale che tu voglia saperne di più, ma in ogni caso tra poco ti sarà tutto più chiaro .. non vuoi divertirti con me per ingannare l’attesa? Non devi provare vergogna, molti l’hanno fatto prima di te, saresti solo l’ennesimo sulla loro lista…>
… a te cosa importa … non fraintendermi …
… ti sarà tutto più chiaro … molti …
… LORO …
La sua voce riecheggiava nelle mia testa. Stava nascondendo qualcosa, rimaneva sul vago per non rivelarmi chissà quale informazione e insisteva nel voler distrarmi facendo leva sui miei istinti.
< quindi fammi capire, tu saresti il mio sfogo emotivo? Del tipo che tra poco mi verranno a prendere per farmi non so cosa, probabilmente non divertente, e il tuo ruolo sarebbe di addolcire la pillola, giusto? >
Questa volta l’avevo colpita, si era rialzata e mi fissava attentamente.
< io vado .. dovunque mi portino, mi fanno ciò che vogliono, poi torno qui e mi lecchi le ferite? E in quale universo c’è scritto che a me sta bene? .. ora non ridi, eh >
Forse mi sbaglio, ma mi parve di vedere un attimo di incertezza sfiorarle gli occhi.
Affondai il colpo, < e io .. non sono .. l’ennesimo >
Mi da sempre fastidio sentirmi uno fra tanti, come se la mia unicità all’improvviso non esistesse e mi ritrovassi a far parte della massa, sarò egocentrico ma non lo sopporto proprio. Sopratutto non potevo sopportare un affronto in quel momento.
< ora .. come cazzo si esce da questo posto? >
Tornò a essere la Emily di sempre, ovvero quella degli ultimi minuti, < d’accordo cucciolo, vuoi giocare all’eroe? Vuoi dimostrare a te stesso quanto vali? Perché intendiamoci, non usciresti vivo nemmeno se ti aiutassi…>
< allora aiutami, lascia che faccia l’eroe, voglio giocare >
Fece un respiro lungo, un malizioso sorriso le curvò le labbra e disse < giochiamo…>
< primo indizio: una tana ha sempre due uscite .. ora è il tuo turno piccolo >
Cavolo se era nel suo elemento.
due uscite, … questa stanza deve essere la tana, una è la porta…
..l’altra è la finestra??.. non sarebbe fattibile, credo…
< un passaggio segreto > azzardai
Cominciò la caccia. Mi voltai più volte in tutte le direzioni per osservare le pareti, le tastai seguendo il disegno floreale, nulla.
< secondo indizio? >
Si ributtò sul letto stirandosi
… forse è un indizio, sta guardando il soffitto, … il motivo a fiori è lo stesso ..
.. wait a sec.. non è uguale..
.. sulle pareti forma una specie di tronco, o fusto, invece la sopra è la chioma,… ma è incompleta, il lampadario rovina il disegno..
.. il lampadario .. luce..
Saltai sul letto con una folle idea: afferrai con entrambe le mani il lampadario e cercai di muoverlo, non cedette, provai di nuovo e questa volta scattò ruotando in senso orario.
Orario come un orologio. Non avevo idea del motivo, sta di fatto che non fu l’unica cosa a scattare, si aprì infatti una porta sulla parete di destra.
Emily sembrava sconsolata. Dopotutto avevo risolto l’enigma.
Mi stavo avviando verso il passaggio quando mi si congelò il sangue, < potrebbero averti iniettato qualche tipo di tracciatore biologico, sai quel tipo di cose .. che si usano come precauzione, nel caso volessi andartene >
< tu da che parte stai in .. tutto questo? > ero molto stufo di non sapere certi particolari
< oh andiamo, vuoi farmi una lezione sulla morale? L’umanità si prende troppo sul serio, e anche tu mi pare. Meglio essere protagonisti della propria tragedia che spettatori della propria vita.. .. non te ne stavi andando? >
L’avevo già sentito da qualche parte. Ma dove? In un film? O forse in un libro. La mia memoria procedeva ancora per strappi e salti, avevo la certezza di un dettaglio ma il contesto era completamente assente. Potevano essere stati loro anche in questo? Chiunque essi siano.
< forse la morale è solo un limite, un atteggiamento adottato per apparire e fingere, ma non toglie il fatto che dentro di noi sappiamo cosa è giusto e cosa no .. ..
.. ora se non ti dispiace, e sinceramente non importa, io vado…>
Nonostante l’imminente potenziale pericolo e l’assurda situazione in cui mi trovavo, una parte di me esitò un istante prima di lasciare la scena.
Mi voltai e varcai la soglia prima che lei potesse dire altro.
Appena lo feci mi si richiuse alle spalle e mi trovai di fronte uno stretto corridoio, sulla sinistra non c’era un muro bensì una vetrata che contribuì non poco a farmi correre.
Alla fine vi erano delle scale e un numero inciso sul materiale grezzo dell’edificio, 137.
Non avevo idea di quanto in alto mi trovassi finché non misi a fuoco e realizzai che indicava il 137° piano.
< per cui ora che si fa … beh, sono tanti da scendere, forse sono quasi in cima >
Ragionavo a voce alta quando sentii un tuono. Un boato lontano che tuttavia ruppe il silenzio che aleggiava fra quelle mura. Tornai alla vetrata, il cielo era cupo e il sole un lontano ricordo coperto da immense nuvole.
< affatto poco carino da parte tua .. io cerco di fuggire e tu ti metti a diluviare… >
Un bagliore mi accecò, seguito da un secondo ruggito, più forte del primo
< d’accordo, stai venendo a prendermi..>
l’autoironia denota insicurezza di sé o capacità di mantenere il controllo sotto pressione?
Non me lo chiesi davvero. La parte di me che vi dicevo prima, quella contraria a tutte le mie decisioni (e anche molto ostinata), mi spinse a immaginare una scena: Emily, dall’altra parte in fondo al corridoio, che inclinava dolcemente le labbra a formare quel sorriso ammaliante troppo bello per essere vero.
Tuono numero tre.
Ormai privo di buonsenso corsi su per le scale fino al 146°. A quel punto il mio addome tornò prepotentemente a farsi sentire e pensai che dovessero esserci degli ascensori,
< ci saranno pure no? Domanda stupida, obv >
Nella mia testa partì una base musicale adatta alla situazione.
.. ok ok.. appena apro questa porta non avrò molto tempo,.. le priorità: analisi rapida del luogo, pericoli, anfratti dove nascondersi, persone…
… respira, calmati un secondo …
… * qui parte la musica *
Aprii uno spiraglio e non vidi quasi nulla, perciò decisi di entrare, un po’ alla cieca.
Attorno a me non c’era nulla, era una stanza priva di oggetti. Constatai che era un’anticamera a ciò che avevo di fronte: un laboratorio di ricerca.
Cioè fu la prima cosa che mi venne in mente.
Una specie di parete sottile e bassa separava me e una serie di schermi lampeggianti, scrivanie ultra sottili, ologrammi e molte persone vestite di bianco.
… sono finito a un ritrovo di gente-con-poca-fantasia-nel-scegliere-i-vestiti …
.. è chiaro come l’acqua, sono tutti fissati con il bianco e fanno i peggio party hard al 146°.. davvero wow..
mi stavo davvero divertendo tra me e me, se non fosse che su uno schermo notai il mio viso:
Soggetto #16
Nome: sconosciuto
Dna: acquisito e compatibile
Seguivano una serie di grafici e parametri.
… dna compatibile per cosa? …
… devo andarmene .. ora..
.. lei ha detto che non sarei fuggito, che mi avrebbero preso, beh qui non vedo nessuna micro-camera o agente super addestrato.., ma non vuol dire che non stiano per arrivare..
Capirne di più o sfruttare il vantaggio sul tempo?
Non avevo neanche idea se avessi o meno un vantaggio sui miei inseguitori, motivo per il quale notai gli ascensori sulla sinistra e mi ci fiondai.
Dimenticai di nascondermi nel caso qualcuno ne uscisse. Fortunatamente ne arrivò uno vuoto, entrai e premetti più volte il tasto: top.
Le porte si aprirono proprio sul tetto e un’ondata di vento (si, esattamente un’ondata), mi colpì così forte che mi spostò violentemente, sollevandomi di poco e spingendomi contro il fondo dell’ascensore. Dopodiché caddi per terra senza sbattere la faccia. Almeno quella.
Mi rialzai deciso sui miei due piedi, a onor del vero ero parecchio instabile anche se non ero ancora all’esterno.
In pochi secondi, prima che le porte cominciassero a richiudersi, mi persuasi che lanciarsi come un razzo era l’unico modo per resistere a quel tempo assurdo. Notai anche due oggetti davanti a me, il primo somigliava a un velivolo di piccole dimensioni, di quelli che si vedono solo nei cieli a downTown, probabilmente utilizzato da qualche personaggio importante che lavorava (o possedeva) il grattacielo. Il secondo era avvolto nell’oscurità e a dirla tutta, non avevo molte chance di arrivarci sui miei piedi.
Il giradischi d’epoca che occupava prepotentemente la mia razionalità si mise a girare, non c’era motivo di aspettare ancora, sapevo cosa fare.
< pronto Nik? >
< nato pronto >
< no okay suona male, take due scena quattro, ciak! >
a noi due…
Osservata da lontano sarebbe stata piuttosto noiosa e monotona, forse avreste visto un puntino grigio muoversi verso un più grande e meno puntino oggetto rosso. Di sicuro non avreste sentito la musica.
Eccovi la scena con zoom 20x.
Partii davvero a razzo ignorando le sferzate di tempesta che venivano da ogni direzione, uno spettacolo di eccelse acrobazie, saltai, atterrai su un piede e rotolai sui ciottoli freddi, probabilmente mi tagliarono la carne ma il freddo che stava arrivando non mi lasciava tregua. Arrivato allo sgargiante mezzo di fuga cominciò a piovere, all’inizio fu un sollievo e, come capita spesso, diventò una tortura. La pioggia non cadeva a gocce, quel dannato e sublime cielo sparava aghi semi-solidi di ghiaccio e acqua, direttamente su di me. Ovvio.
Non seppi mai se ce l’aveva con me o se ero solo io a pensarlo.
Semplicemente non riuscivo ad aprire il velivolo.
..ci dovrà essere una maniglia, qualcosa, un buco dove metterci una mano, … okay me lo rimangio…
.. oh merda .. servirà una chiave! di certo non lasci un coso volante rosso aperto…
Qualcosa mi dice che ti serve un piccolo aiuto
..Arabel? oh per la miseria!..
Sorpresaa! Ti sono mancata? Almeno un pochino?
.. ehi, si un casino, ora però … dobbiamo…
Come se mi avesse letto nel pensiero, cosa che tra l’altro faceva dato che era una lente neurale, fece scattare con un sordo click la portiera in vetro-acciaio. Entrai infradiciando decine di migliaia di hex con i miei vestiti pieni di pioggia, presi posto sulla poltrona (perché si, era molto comfort) e Arabel richiuse l’abitacolo per me, evitandomi altri secondi di sclero sotto quelle gocce.
Un sollievo troppo breve.
Lo schermo in realtà aumentata si accese immediatamente e per qualche attimo comparve la scritta Luxor Dynamics.
..uau, dev’essere una di quelle estremamente costose e spaventosamente performanti..
in sovrimpressione si disegnò la schermata di comando
< Arabel cara? Io non ho la minima idea di come pilotare questo coso >
sentivo la tensione trasparire dalla mie stesse parole
Si lo immaginavo. Eccoti una chicca su cui ho lavorato mentre correvi qui. Ti piace?
< quando .. quando diamine hai imparato a farlo? >
tra le mie mani si era materializzato l’ologramma di un joystick (lo so, lo so, lo vorreste anche voi)
< quindi se io ora premo la levetta destra questo coso si alza? >
Sopra la levetta destra…
< ah giusto, come nei giochi da piccolo >
< pronta? Uno, due, … shawarmaaa!! >
< woo si alza davvero ma che caz, come si controlla, aspe … c’è un vento fottuto … ehi vento! Perché non la smetti un minuto? Sto imparando come si vola! Mica facile eh! >
Mentre imprecavo cercavo di stabilizzare il velivolo. Ormai l’avevo ribattezzato FireBird.
Quell’espressione di affetto, tuttavia, non calmò la situazione.
Il cielo era inondato di lampi e rovesciava sul mondo un’immensa quantità di acqua, sembrava un uragano e una cascata messi insieme.
< Arabel! > dovetti urlare, < portaci via di qui! >
Lo sai che ti leggo i pensieri vero?
… ah già, vabbè mi stavo sfogando…
Sullo schermo si delineò una traiettoria. Rosso fuoco attraverso la tempesta.
Armeggiai con il joystick e detti fondo alle riserve di energia facendo schizzare FireBird attraverso le nubi e la tempesta, lasciandomi una scia argentata alle mie spalle, come una folgore.
Probabilmente il gesto più epico della mia vita, fino a quel momento.
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