Egle Williams era una persona abbastanza anonima: un giovane uomo non ancora arrivato alla soglia dei trent'anni, bene allenato, ma non abbastanza da essere uno di quei fusti che esibiscono solo i muscoli. Fosse stato per lui, non avrebbe esibito neppure la sua presenza in cucina e sarebbe rimasto chiuso nella stanza nella quale aveva adibito il suo studio di grafica. Prendeva le commissioni da casa, tramite il suo indirizzo e-mail – in modo da poter evitare anche le telefonate – e passava ore chino sulla sua tavoletta grafica, con i capelli scuri che gli scappavano dal codino fatto male e gli ricadevano in faccia. Se a Raphael non fosse piaciuto andare a fare la spesa, se la sarebbe fatta consegnare comodamente a casa per evitare di uscire. Ma come faceva a dirgli di no? Ormai vivevano insieme da cinque anni ed Egle non aveva ancora imparato a ignorare quel suo musetto coccoloso. Quindi, se Raphael gli diceva di voler uscire, lui poteva solo aprire la porta e lasciare che gli facesse strada. Tra di loro era sempre stato così.
Percepì l'arrivo dell'ennesimo starnuto, ma passò poco prima di esplodere. Erano passati due giorni e ancora subiva gli effetti della sua allergia ai gatti. Solitamente se la cavava con una giornata di disagio e starnuti, mentre Raphael lo coccolava, stendendosi accanto a lui. Quei cuccioli dovevano appartenere a una razza alla quale era più sensibile. Si passò il dorso di una mano sotto il naso, nel tentativo di darsi un po' di sollievo, poi sentì un familiare suono di zampe e unghie che si muovono sul parquet. Si voltò verso la porta lasciata aperta per metà e scorse il profilo dell'husky. «Sempre puntuale» disse, sorridendo. Aveva lavorato tutta la mattina e aveva scordato di prendere le medicine per alleviare i sintomi dell'allergia. «Cosa farei se non ci fossi tu?»
Raphael gli si avvicinò e gli passò la scatola delle pillole che aveva in bocca, emettendo un verso che esternava forte disapprovazione.
«Ok, hai ragione, devo prendermi cura di me stesso» si scusò.
L'husky attese di vedergli mandare giù una pillola, poi sollevò una zampa su una delle cosce dell'uomo e tirò fuori la lingua.
«Dopo pranzo sono tutto tuo, devo solo consegnare questo lavoro».
Raphael batté la zampa un paio di volte sulla coscia di Egle e gli levò di mano le medicine, tornando sui suoi passi e scomparendo nell'altra stanza.
Era difficile vederlo in quello stato e sapere di non poter fare niente per lui. Egle era sempre alla ricerca di possibili soluzioni e lo aveva spronato a tentare ogni cosa, ma dipendeva soprattutto da lui. Per un periodo, tra il secondo e il terzo anno della loro convivenza, era persino riuscito a convincerlo a farsi visitare da alcuni specialisti. In tutto ne avevano incontrato tre e ognuno di loro avevano dato la stessa risposta: il suo blocco non dipendeva da nessun problema fisico, era tutto un fattore psicologico. E a quel tempo non era stato un grande intoppo, visto che il suo problemino era durato al massino cinque giorni. Col tempo, la cosa era peggiorata, tanto che Raphael versava ormai in quelle condizioni da quasi un anno.
Egle sospirò e rimase a fissare la barra di caricamento dell'allegato, fermandosi a riflettere su cosa gli sarebbe piaciuto mangiare per pranzo. Lui non era un buon cuoco, anzi, nell'ultimo anno erano state più le volte nelle quali aveva ordinato da mangiare, che quelle in cui aveva cucinato davvero. Vuoi perché in un paio di occasioni aveva quasi mandato a fuoco il palazzo, vuoi perché era maldestro e finiva spesso per ferirsi con i coltelli, fondendo cibo, padelle e ripiani. Di tanto in tanto, quando Betsy dimenticava di non vivere più con nove figli, mandava loro delle teglie di cibo che duravano qualche giorno, ma non era quello il momento. «Raph, cosa mangiamo a pranzo?» mugugnò, sicuro che il suo compagno sarebbe riuscito a sentirlo.
Dall'altra stanza arrivò un abbaiare flebile.
«Ma li abbiamo ordinati ieri» gli fece notare.
L'husky zampettò di nuovo nello studio, abbassandosi sulle zampe anteriori e tenendo quelle posteriori alzate, scodinzolando vistosamente. Sapeva bene che Egle non poteva resistere alla sua mossa di persuasione.
«Ok, va bene» disse l'uomo, lasciandosi sfuggire un sorrisetto malizioso e afferrando il telefono che aveva lasciato sulla scrivania.
Soddisfatto, Raphael sgattaiolò via, andando a sgomberare l'isola della cucina, dove erano soliti mangiare. Non c'era molto da spostare, ma ci teneva che tutto fosse pronto. Apparecchiare era una delle poche cose che continuava a fare, sapendo che a Egle faceva piacere. Fosse stato per l'uomo, avrebbero consumato i pasti stravaccati sul divano, solo perché a lui dava noia sistemare piatti e posate. Se solo avesse potuto, l'husky avrebbe fatto molto di più; ancora ricordava tutte le volte in cui aveva preparato la cena e aveva piegato i tovaglioli a forma di animali. Aveva speso ore intere a seguire tutorial! Considerava quel suo passatempo uno dei tanti vantaggi dell'avere il pollice opponibile.
Suonarono alla porta. Entrambi sapevano che il fattorino non avrebbe impiegato molto a consegnare il cibo. In fondo, la tavola calda era solo al piano terra del palazzo nel quale vivevano e cucinavano tutto in anticipo. Egle uscì dallo studio e andò ad aprire, pagando e prendendo la consegna. Fin da subito, nella stanza si sparse un odorino delizioso di spaghetti e polpette al sugo, i preferiti di Raphael. Fosse stato per lui, ne avrebbe mangiato in quantità industriale! Ma doveva stare attento alla linea, voleva mantenersi agile per i momenti migliori, sperando che ce ne sarebbero stati.
L'uomo aprì la busta e spacchettò il recipiente di carta che conteneva il cibo, dividendolo nei piatti e sorridendo nel vedere la coda del suo compagno che si muoveva ad una velocità umanamente impossibile. «Ho chiesto di mettere doppie polpette» gli disse.
Raphael mimò uno svenimento e si riprese subito, mettendosi a sedere sullo sgabello girevole e facendo ridere di gusto l'uomo che aveva di fronte. Nel suo sguardo poteva vedere quanto lo amasse. Alcune volte aveva pensato di poterlo anche percepire, quell'amore, come fosse qualcosa di materiale. Si sentiva un cane davvero molto, molto fortunato.
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*Nota: salve, sono Alexel, l'autrice di questa storia. Pubblicando questo capitolo mi sono resa conto che Tapas ha un limite di caratteri per ogni aggiornamento, quindi dividerò quelli più lunghi, pubblicandoli comunque in un'unica volta. Detto questo, torno dietro le quinte e vi lascio al seguito.
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