Dopo pranzo, come promesso, andarono a fare una passeggiata. Egle si era imbacuccato per non farsi riconoscere dalla gente, usando una sciarpa spessa, che si era tirato fin sopra al naso, un paio di occhiali da sole e un cappellino. In circostanze normali, Raphael non gli avrebbe mai permesso di uscire in quelle condizioni, ma quel giorno si era rassegnato all'idea di dargliela vinta. Dopo tanti anni di convivenza, aveva imparato che, di tanto in tanto, era giusto assecondare qualche sua stranezza. All'husky non dispiaceva affatto essere riconosciuto per strada e farsi fare i grattini sotto il muso, nell'ultimo anno ci aveva preso gusto, anche se preferiva sempre che a farglieli fosse Egle.
«Gelato?» chiese l'uomo.
Raphael annuì vistosamente, mentre si avviavano verso la gelateria. Non entrò, sapendo che non tutti gradissero la presenza di un cane di grossa taglia in un locale, soprattutto se c'era poco spazio. Andò ad accucciarsi su una panchina che puntava proprio verso l'entrata della gelateria, da dove poteva osservare il suo umano di fiducia, come gli piaceva chiamarlo di tanto in tanto. Adorava guardarlo fare cose, anche se si trattava di stendere la biancheria o di reggere dei gelati. Ogni volta sentiva di aver fatto la scelta giusta e percepiva un po' il senso di colpa per non riuscire a risolvere la sua situazione. Lui ci provava, si sforzava, ma non era facile nell'atto pratico. Era da qualche settimana che aveva preso in considerazione l'idea di andare in analisi, Fiore gli aveva parlato di una sua cara amica che seguiva degli appuntamenti di un'ora a settimana e che era riuscita a raggiungere dei piccoli obiettivi. Tuttavia, ancora non ne aveva parlato a Egle. Non temeva una sua reazione negativa, anzi, sapeva che ne sarebbe stato entusiasta. Ma era proprio quell'entusiasmo a preoccuparlo, non voleva illuderlo.
«Stracciatella e nocciola, signore» annunciò l'uomo, porgendo la coppetta di gelato a Raphael, che prese il cucchiaino tra i denti, raccogliendo un po' del suo gelato e porgendolo a Egle. L'uomo lo assaggiò e ne parve soddisfatto, porgendo subito dopo il proprio cono all'husky, che ne leccò una parte, mugugnando. «Che c'è? A me piace la fragola!»
Raphael provò a dissentire, grugnendo e chinandosi sulla sua coppetta. Fragola! Roba da matti! Sapendo quanto fosse goloso, non si era aspettato che prendesse un gelato alla frutta. Certo che, guardandolo bene, il cibo d'asporto e la vita sedentaria avevano fatto in modo che un po' di ciccetta gli si accumulasse sui fianchi. Negli ultimi tempi non avevano partecipato a molte missioni, i loro colleghi avevano saputo della loro situazione e avevano preferito dare loro tregua, anche se ogni mercoledì andavano entrambi in ufficio per allenarsi. Ma, in fondo, a Raphael non dispiaceva vedere il suo umano un po' più in carne. Appena si erano conosciuti era rimasto impressionato per la sua magrezza, dovuta al fatto che dimenticasse spesso di nutrirsi, preso com'era dal lavoro. Lui aveva insistito affinché mangiasse con regolarità e si allenasse, anche se il suo potenziale non richiedeva chissà quale sforzo fisico.
«Mi sono sporcato?» chiese Egle, notando lo sguardo insistente dell'altro.
Il cane si leccò i baffi per raccogliere gli ultimi rimasugli del suo gelato e spinse il naso sui fianchi e sulla pancia di Egle, facendolo sussultare per il solletico.
«No! Che fai?» protestò, deglutendo a fatica l'ultimo boccone della cialda. «Vuoi la guerra?» minacciò, prima di lanciarsi sul pancione dell'husky, affondando le mani nella pelliccia.
Sarebbero potuti andare avanti per ore, facendo finta di farsi la guerra, nonostante si trovassero su una panchina in mezzo ad una delle piccole piazzette della città. A interromperli, fu il suono cupo della sirena che si diffuse nell'aria circostante, segno che nelle vicinanze stesse accadendo qualcosa di brutto. Subito, Raphael balzò giù dalla panchina ed Egle lo seguì, lasciando che il cappello gli volasse via dalla testa. Corsero in direzione del suono, percependo del trambusto che diventava via via sempre più forte, unendosi alle urla spaventate dei passanti. Entrambi speravano si trattasse di qualcosa di poco conto, in modo da poter risolvere il tutto nel più breve tempo possibile. In fondo, era da molto tempo che in città non si verificavano gravi atti di delinquenza.
Raggiunsero una zona pedonale nella quale era situata la banca, la sirena che aveva preso a suonare era posta proprio sulla porta d'ingresso. Gran parte delle persone si erano già allontanate, solo alcune erano rimaste ferite dai vetri frantumati della porta scorrevole e delle vetrine. Era impossibile che un normale essere umano fosse riuscito a romperle, quindi compresero subito che doveva trattarsi di qualcuno che, come loro, possedeva delle abilità particolari. Si fecero avanti per aiutare le persone rimaste a terra ad allontanarsi per evitare altri possibili attacchi, ma Raphael si bloccò di colpo al fianco del suo compagno, puntando qualcosa o qualcuno alle sue spalle ed emettendo un ringhio basso e minaccioso. Saltando subito all'erta, anche Egle si voltò, portandosi istintivamente un dito tra i denti e sgranando gli occhi non appena intravide di chi si trattasse. «Tu!» la apostrofò, con profondo sdegno.
Di fronte a lui, la donna appena uscita dalla banca espose il suo migliore sorriso. Era da un bel pezzo che non si vedevano, ma non era cambiata affatto. «Salute, Egle!» disse, muovendo una mano nella quale teneva un sacco pieno di denaro. In tutto ne aveva quattro, di mani, e tutte e quattro erano occupate allo stesso modo. L'uomo si era sempre chiesto come facesse a sentirsi a suo agio, stretta in quella sua tutina viola e aderente come una seconda pelle. In passato, quando ancora lei non si era data alla malavita, aveva apprezzato la cosa, ma solo quando si erano trovati da soli. «Hai portato anche Balto?» prese in giro Raphael.
L'husky, che già soffriva ben poco la presenza della donna, strinse lo sguardo nella sua direzione e le abbaiò contro.
«Cosa ci fai qui?» le chiese Egle.
Lei sollevò i quattro sacchi, stringendosi nelle spalle e rispondendo «La spesa, mi sembra ovvio». Dall'interno della banca arrivarono dei rumori che lasciavano intendere che non fosse da sola. «Vuoi provare a fermarmi, o aspettiamo che arrivino gli altri? Sarebbe interessante, una cosa tra me, te e...» lanciò un'occhiata maliziosa a Egle.
L'uomo, sentendosi a disagio, si lacerò la punta del dito medio tra i denti e lo fece schioccare, lanciando uno schizzo di sangue verso di lei. La donna si mosse per schivarlo, ma non fu abbastanza veloce e il getto finì per colpire uno dei sacchi, fondendo la plastica e parte delle banconote che vi erano all'interno. Approfittando della sua distrazione, Egle tentò di nuovo di colpirla, schizzando dell'altro sangue e puntando alle mani. Riuscì a colpirla su uno dei polsi destri, facendola urlare per il dolore. Nello stesso momento, Raphael si lanciò per agguantare i sacchi e lanciarli lontano dalla sua portata. In meno di un minuto erano riusciti a recuperare la parte del bottino che era stata in sua custodia.
«Mi hai ferita! Come hai potuto farlo?» strillò lei, guardando la pelle del proprio polso che ribolliva sotto l'effetto acido del sangue del suo avversario. Furono proprio quei lamenti ad attirare l'attenzione di chi era rimasto all'interno dell'edificio.
Nel vederne la sagoma, Raphael indietreggiò, raggiungendo di nuovo il suo compagno e preparandosi ad attaccare ancora. Si trattava di un uomo dalla stazza di un armadio a due ante, un avversario decisamente fuori dalla portata di Egle, lo sapeva bene, ma unendo le forze avrebbero potuto distrarlo fino all'arrivo dei rinforzi. Quando uscì allo scoperto, entrambi si resero conto di non conoscerlo e arrivarono alla conclusione che si trattasse di una nuova recluta, una cosa decisamente non buona.
«Artax, tutto bene?» chiese alla sua collega, con una voce talmente roca e profonda da mettere i brividi.
La donna gli indicò il polso ferito e subito dopo entrambi puntarono in direzione di Egle. Il nuovo arrivato non parve per niente contento di sapere che Artax fosse stata danneggiata e la cosa divenne palese quando batté i pugni l'uno contro l'altro e si lanciò contro il suo bersaglio.
Egle balzò indietro e si gettò di lato appena l'omone gli fu vicino, riuscendo a schivarlo e a farlo ruzzolare a terra, mentre Raphael gli si lanciava addosso, mordendolo. La sirena, nel frattempo, aveva smesso di suonare e Artax, che aveva aspettato con ansia il momento in cui l'husky lo avesse lasciato scoperto, si lanciò su Egle, afferrandolo da dietro e imprigionandolo tra le sue braccia, strusciandosi volutamente contro la sua schiena. Sapeva bene che, nonostante lui non fosse particolarmente forte negli scontri fisici, non sarebbe riuscita a trattenerlo a lungo, ma quantomeno avrebbe potuto dargli fastidio.
L'uomo si mosse subito, premendo il dito ancora sanguinante contro la coscia della sua avversaria, riuscendo a farle abbastanza male da farle mollare la presa e avere modo di allontanarsi. Nel medesimo istante in cui si voltò per assicurarsi di averla seminata, vide due dei suoi colleghi che si stavano avvicinando; il primo che riuscì a identificare fu Stamonium, che già aveva cominciato a diffondere una scia di spore in direzione di Artax. L'altra, che seguiva a ruota, era Kiki, il ché significava che avrebbe fatto meglio ad allontanarsi, se non avesse voluto beccarsi un'altra reazione allergica a contatto con le sue orecchie da gatto. Già faceva fatica a resistere durante le riunioni e gli altri si erano rifiutati di lasciarlo partecipare tramite webcam. A volte pensava che quegli idioti desiderassero vederlo morto. Li salutò da lontano e fece cenno a Raphael di mollare la presa sull'omone, che aveva preso a piangere e a strillare, terrorizzato, quindi corsero via, immettendosi in un vicolo e raggiungendo una zona tranquilla. Quando si fermarono, entrambi tirarono un sospiro di sollievo.
«Ti è mancato essere in servizio?» chiese Egle.
L'Husky, che era anch'esso disabituato all'azione in prima linea, sbuffò, tra un ansito e l'altro. Dal suo muso fuoriuscivano delle nuvolette di condensa, tanto il suo calore corporeo si era alzato. Non era una buona cosa, visto che la mutazione dipendeva proprio dalla sua temperatura e che da molto tempo non era mai scesa sotto i quaranta gradi.
«Se ti aprissi un uovo in testa, credi che riusciresti a cuocerlo?» lo prese in giro.
Raphael lo guardò male, anche se per poco. Puntò una fontanella in fondo al vicolo e spinse il suo umano col muso accaldato, fino a fargliela raggiungere, poi mosse una zampa per fargli capire che desiderava che ne azionasse il rubinetto. Appena il getto d'acqua ne fuoriuscì, vi affondò il muso dolente e provò un sollievo tale da lasciare la lingua penzoloni. Egle lo aiutò a bagnarsi la testa e la schiena, tappando la parte più larga del rubinetto e facendo uscire l'acqua da un secondo forellino, creando una sorta di zampillo. L'husky si crogiolò sotto l'acqua gelida e scodinzolò con gioia, colpendo il getto e creando una nube di schizzi che finirono anche in faccia all'uomo. Quest'ultimo, che fino a quel momento era rimasto a leccare la ferita che si era inferta sul dito, nel tentativo di farla rimarginare ed evitare altri danni, si allontanò, tentando di ripararsi dagli schizzi. Appena si sentì al sicuro, si voltò di nuovo verso Raphael per dirgli di smetterla, perché non voleva beccarsi un raffreddore, ma si fermò, scoprendo che il suo compagno era finalmente riuscito a mutare di nuovo nella sua forma umana, nonostante non sembrasse essersene accorto. Rimase a contemplarlo per qualche istante, mentre si muoveva ancora come un cane, scuotendo le natiche per smuovere una coda che non aveva più, completamente nudo e disinibito. «A sapere che sarebbe bastata una fontanella di acqua fredda, ci avrei provato un anno fa» disse, infine. Sapeva bene che non era stata solo l'acqua fredda a innescare la mutazione, ma gli sembrava comunque un buon modo per fargli notare la cosa.
Raphael, resosi conto di ciò che era successo, ritirò la lingua in bocca e si acquattò, sorpreso e sconvolto. Sbuffò e si voltò verso Egle, sorridendogli con il suo sorriso appuntito e schiarendosi la voce, giusto per essere sicuro che gli uscisse di gola senza sembrare un ringhio gutturale. «Se ti piace ciò che vedi, dovresti venire qui a darmi una mano» esordì, con il suo accento latino, mentre con una mano allontanava una ciocca dei suoi capelli biondi, ormai troppo lunghi. Quando il suo compagno lo aiutò a issarsi sulle gambe, notò che erano cresciuti al punto da arrivargli quasi al fondoschiena.
«Sistemati questa addosso, svergognato» disse Egle, liberandosi della sciarpa per avvolgergliela attorno ai fianchi e coprirlo come meglio poteva. Nel farlo, approfittò per annusarlo e arricciò il naso. «Odori di cane bagnato» gli fece notare.
Raphael sorrise e si strinse nelle spalle. «Doccia?»
«Altroché, se ti tocca!» confermò Egle, passandogli un braccio sui fianchi e lasciando che l'altro ne poggiasse uno dei suoi sulle sue spalle, avviandosi verso casa.
Comments (0)
See all