La permanenza nel convento non era facile per la maggior parte dei bambini che vi risiedevano; le regole erano rigide e le trasgressioni venivano punite, tutti avevano dei compiti da svolgere all'interno della struttura e tutti dovevano seguire le lezioni e i momenti di preghiera. E, se già era difficile per gli altri bambini, immaginate cosa potesse significare avere Fiore tra le sacre mura. Non era l'unico ad avere manifestato delle anomalie genetiche che gli permettevano di fare cose che altri non potevano fare. Su dodici bambini ve ne erano altri tre, come lui. Tuttavia, Fiore, il tredicesimo bambino, a differenza degli altri, aveva manifestato le sue capacità sin da subito e in maniera disastrosa.
Suor Maria Fiore - colei che lo aveva trovato nel cespuglio di rosmarino la notte dell'incidente e che ne aveva scelto il nome - all'inizio non riusciva a comprendere come la culla del pargolo potesse cambiare forma ogni notte, o come fosse possibile che uno dei gatti che si aggiravano nel giardino si fosse guadagnato un terzo occhio. Considerando Fiore troppo piccolo per manifestare determinate caratteristiche, aveva pensato che uno degli altri bambini volesse giocarle uno dei loro soliti scherzetti inquietanti. Aveva rivalutato la sua opinione nel momento in cui aveva visto il gatto in questione sgattaiolare nella nursery e sporgersi nella culla occupata, con l'intento di graffiare il neonato. Si era subito lanciata contro l'animale, con l'intento di scacciarlo, ma questo era esploso appena qualche attimo prima che lei potesse agguantarlo, spargendo per la stanza schizzi di sangue e brandelli di viscere e pelliccia. Quando si fu ripresa, rimase consolata del fatto che, almeno, il piccolino avrebbe saputo come difendersi. La Madre Superiora non era stata della stessa idea, considerandolo una mina vagante che andava tenuta sotto stretta sorveglianza.
Fiore ricordava bene gli anni passati nel convento e non si era mai dato pena del fatto che non fosse stato un bel periodo. In fondo, era rimasto là per soli sei anni, prima che qualcuno lo notasse e lo portasse via. Quello era stato decisamente peggio.
«Fir!» sentì urlare dall'esterno. Avrebbe riconosciuto quella voce in qualsiasi situazione. Si sollevò stancamente dal letto e si trascinò alla finestra, sapendo già che avrebbe trovato Silene con il naso all'insù, che lo aspettava sul marciapiede.
«Ehy!» la salutò a sua volta, facendole un cenno con una mano. Indossava la divisa della scuola, quindi doveva essere passata sotto casa sua subito dopo l'uscita. Da quando Betsy lo aveva messo in punizione e gli aveva proibito l'uso del telefono e del computer, non era riuscito ad avvisarla che non si sarebbero visti per quei tre giorni.
«Salgo io o scendi tu?» urlò, per farsi sentire fino al quinto piano.
Fiore sospirò e scosse la testa. «Nessuna delle due, sono ai domiciliari» confessò.
Silene si accigliò. L'ultima volta che aveva provato a trasgredire alle regole di Betsy, si era arrampicata su per la parete, ma la sostanza che aveva usato per riuscire nell'impresa aveva danneggiato l'intonaco del palazzo e suo padre era dovuto intervenire per ripagare tutto. Inutile dire che fosse finita in punizione anche lei. «Fino a quando?» chiese ancora.
«Domani mattina sono fuori».
Nell'udire le parole di Fiore, sorrise. Si era aspettata di rimanere separata da lui per un periodo molto più lungo, ma Betsy non era come suo padre. «Appena esco da scuola ti raggiungo là, allora!» con là, intendeva la tana, dove risiedevano gli uffici di tutti coloro che contribuivano all'ordine cittadino, ma che non facevano parte delle forze di polizia. Suo padre era uno dei membri più influenti in quell'ambiente e le permetteva di avere accesso agli uffici quando voleva, anche perché aveva già deciso che anche lei sarebbe entrata a far parte dell'organizzazione, appena avesse concluso gli studi. Fiore, a differenza sua, non aveva il permesso esplicito dei piani alti. Egle e Raphael si erano rassegnati alla sua presenza abusiva dopo i vari e vani tentativi di tenerlo fuori da quel luogo. Alla fine, per evitare che si facesse male incappando nelle misure di sicurezza, gli avevano dato una copia della chiave elettronica dei loro uffici, raccomandandogli di non mostrare a nessuno cosa fosse in grado di fare. Il ragazzo aveva accettato di buon grado quella condizione, anche se Silene non ne aveva mai capito il motivo. Alcune volte si chiedeva perché Fiore non volesse usare il suo potenziale in sua presenza, nonostante lei sapesse che non fosse un comune essere umano. Quando si trattava di quello, il ragazzo si chiudeva in sé stesso.
«Porta il tè» le disse, salutandola e richiudendo la finestra. L'idea di poter riavere la sua libertà e di riabbracciare la ragazza gli diede sollievo, nonostante non impazzisse per la presenza di suo padre. Fiore non sapeva se disapprovasse la loro amicizia perché credeva che lui fosse un semplice ragazzo o perché lo ritenesse inappropriato a prescindere per sua figlia. In fondo, quell'uomo non era famoso per la sua gentilezza o per i suoi modi affabili. Egle e Raphael erano finiti spesso a discutere con lui, quando ancora rivestivano dei ruoli quasi alla pari. Parte delle motivazioni che li avevano spinti a limitare i contatti con la tana dipendevano proprio dalla presenza del padre di Silene, ma non si era mai interessato di scoprire i dettagli. Gli bastava sapere di poter contare sulla ragazza e sugli altri due, tutto il resto non contava.
Tornò in direzione del letto e vi si lasciò cadere a pancia in giù, affondando il viso tra i cuscini a forma di cuore e di testa di unicorno che le nipotine di Betsy gli avevano regalato. Si vergognava come un ladro nel tenerli tanto in vista, ma quelle due mocciose erano troppo carine perché lui potesse dire loro di no. Ci aveva provato più volte, ma avevano un pessimo ascendente su di lui e la vecchia signora lo prendeva spesso in giro per questo.
Sentiva di essere stato molto fortunato, alla fine; Betsy lo aveva trovato nel periodo peggiore della sua vita e gliene aveva dato una nuova, nonostante anche lei non se la stesse cavando bene. Egle e Raphael erano venuti subito dopo, li aveva conosciuti tramite la donna, essendo stati amici di alcuni dei suoi figli. Egle, più di tutti, era riuscito ad attrarre la sua attenzione e a fare emergere una parte di lui che tendeva a tenere nascosta. Sentiva di potergli dire qualsiasi cosa, che sarebbe sempre stato compreso e mai giudicato. Ma questo, ovviamente, non glielo avrebbe mai detto ad alta voce. Le nipotine di Betsy - che lo avevano ribattezzato zio Fir - erano entrate a far parte della sua cerchia famigliare da circa un anno e mezzo, appena la polizia e gli assistenti sociali erano riusciti a fare luce sulla morte di loro padre, ovvero l'unico figlio di Betsy rimasto ancora in vita. Tutti e nove avevano ereditato la mutazione genetica del marito della donna, tutti erano entrati a far parte delle forze dell'ordine e dei membri minori della tana e tutti erano morti in servizio. Le due bambine, che vivevano con la loro madre a qualche isolato di distanza dalla nonna, erano le uniche ad aver arricchito l'albero genealogico della famiglia. Ogni volta che Fiore ci pensava, si chiedeva come si potesse sopportare così tanto dolore.
Sollevò il viso dal mucchio di cuscini e lanciò un'occhiata sul comodino, intercettando una tazza. La afferrò e bevve qualche sorso del tè che vi era all'interno, rendendosi conto di essere affamato. Si tirò su a sedere e posò la tazza accanto alla sveglia analogica, che segnava l'ora di pranzo. Subito dopo, Betsy bussò alla porta di camera sue e urlò che era pronto in tavola.
Che dire, un tempismo perfetto!
Comments (0)
See all