Fiore accavallò le gambe e chiuse gli occhi, stringendo al petto uno dei cuscini del divanetto sul quale era seduto da diversi minuti. Aveva aspettato il via libera di Betsy con tanta ansia da non essere riuscito a chiudere occhio per tutta la notte. Per prima cosa aveva acceso il suo telefono, chiedendo a Silene le credenziali della porta del piccolo ufficio che gli era stato assegnato nella tana, poi si era fiondato nella pasticceria preferita della sua amica e aveva comprato qualche dolce. Sapeva che avrebbe dovuto aspettarla a lungo, ma a lui andava bene così, ne avrebbe approfittato per riposare.
Fuori aveva cominciato a piovere. Si chiese se non fosse il caso di uscire per andare incontro alla ragazza; suo padre non le permetteva di prendere i mezzi pubblici e spesso era capitato che dimenticasse di portare con sé l'ombrello. Tra i due, lei sembrava quella più precisa, ma in realtà non era così. Almeno non in tutto ciò che faceva. Mentre valutava l'intensità della pioggia, la lucina rossa sulla porta della serratura diventò verde e Silene entrò nell'ufficio con l'uniforme e i capelli umidi. Come aveva immaginato, non aveva avuto l'ombrello. Il ragazzo sospirò e le riservò un'occhiataccia di rimprovero che voleva imitare quella che Egle usava con lui, ma non ebbe lo stesso effetto.
«Ho portato il rum!» esclamò lei, estraendo una bottiglia piena per metà dal suo zainetto.
Fiore sospirò e le andò incontro, aiutandola a disfarsi della giacca umida e tirandola sul divano per sciogliere la freccia nella quale aveva raccolto i capelli, in modo da farli asciugare prima. Nel frattempo, il bollitore dell'acqua emise un lieve rumorino, segnale che fosse arrivato alla giusta temperatura. «Vado a preparare il tè» le disse, portando con sé la bottiglia. Non fece fatica a trovare le bustine per l'infuso e il latte, conosceva la stanza come le sue tasche, forse anche meglio degli uffici di Egle e Raphael. Il padre si Silene aveva fatto in modo da fornirle ogni sorta di comfort in pochissimo spazio. E chi era lui per lamentarsene?
«A me niente latte, oggi» disse lei.
Il ragazzo arricciò il naso, considerando quella mancanza come un sacrilegio, ma non le disse nulla. Riempì due tazze, vi gettò dentro le bustine del tè e condì il tutto con una generosa dose di rum. Da solo non riusciva spesso a procurarsi degli alcolici e in quelle occasioni cercava sempre di approfittarne; cercare a casa di Egle era inutile, visto che non comprava neppure una gassosa. Betsy, invece, era solita comprare dei liquori da usare per i suoi dolci, ma li teneva ben chiusi in un mobile. Quella donna sapeva come metterlo in difficoltà.
Si trascinò accanto alla sua amica e le passò una tazza. Nel farlo, le sfiorò la mano e la sentì gelida. Se solo avesse potuto, la avrebbe abbracciata per aiutarla a scaldarsi, ma già stava cominciando a soffrire per aver toccato la giacca e i capelli umidi e i palmi delle sue mani si stavano arrossando. «Non hai dei vestiti di ricambio o una coperta?» le chiese.
Lei scosse la testa e sorseggiò il suo tè. «Tra un po' passerà. Tu, piuttosto, sta' lontano» gli disse, rannicchiandosi nell'angolo del divano per lasciargli spazio. Qual gesto fece sbuffare il ragazzo e lei cercò di cambiare argomento. «Ieri il tuo fratellone mi ha dato un passaggio fino a casa».
Fiore mandò giù buona parte del contenuto della sua tazza e sollevò le sopracciglia, sorpreso. «Davvero?» le chiese. Sapeva che Egle non nutrisse una grande simpatia nei suoi confronti, in più occasioni gli aveva raccomandato di non lasciarsi andare troppo, quando era in sua compagnia, ed era stato molto zelante sullo specificare che in nessun caso avrebbe dovuto rivelarle quale fosse il suo potenziale. Capiva la preoccupazione dell'uomo, la sua capacità di plasmare la materia a suo piacimento era sempre stata un'arma a doppio taglio, lo aveva vissuto per anni sulla propria pelle. Voleva solo proteggerlo da chi, come già era accaduto, avesse voluto approfittarsene.
Silene gli mostrò un sorrisetto malizioso e strinse gli occhi in una fessura. «Quindi ammetti che Egolino sia il tuo fratellino!» lo punzecchiò, notando che non avesse ribattuto alla sua prima provocazione. Non era un segreto che il più grande desiderio di Fiore fosse quello di avere un fratello maggiore e che Egle fosse la persona che più si avvicinava a quella figura, ma lui era troppo orgoglioso per ammetterlo. Faceva quasi tenerezza, quando negava spudoratamente di volergli bene.
Il ragazzo affondò di nuovo il viso nella sua tazza, finendo di berne il contenuto e parlando tenendone stretto il bordo tra i denti. «Non è mio fratello. È il mio Harder Daddy!» bofonchiò. L'alcol aveva già cominciato a dargli alla testa.
Silene rise, gettando indietro la testa. «E Raphael dove lo metti?»
Fiore, che già aveva perso il filo del discorso dopo aver parlato, si voltò a guardarla con gli occhi lucidi e le fece una linguaccia. Come per il ruolo che Egle ricopriva nella sua vita, anche la sua poca tolleranza degli alcolici era una sorta di tabù. Raphael, che al contrario di lui riusciva a smaltire subito l'alcol per via del suo alto calore corporeo che tendeva a bruciarlo, aveva ipotizzato che l'organismo del ragazzo non fosse adatto ad assumere determinate sostanze, proprio come la sua pelle rigettava il contatto con l'acqua. E questo, per Fiore, era inaccettabile! «Tuo padre dovrebbe farti prendere la patente» disse, strascicando le parole e versandosi un altro po' di rum nella tazza.
Lei, sapendo che il suo amico sarebbe stato capace di vuotare tutto il liquido rimasto nella bottiglia, gliela tolse dalle mani e andò a conservarla nel piccolo frigorifero posto nell'angolo. Cotto com'era, Fir non si sarebbe mai alzato per andarle a recuperarla. Nel tragitto di ritorno si sfilò i vestiti bagnati, gettandoli sulla sedia della scrivania, rimanendo in mutande e canottiera, poi controllò che i capelli avessero perso buona parte dell'umidità accumulata. Fiore seguì i suoi movimenti con vago interesse, mentre reggeva la sua tazza con entrambe le mani e le sorrideva. Quando tornò a sedersi al suo fianco, sicura di non fargli del male, gli si accostò.
«Ti immagini se adesso entrasse tuo padre?» le chiese, posando la tazza a terra e abbracciandola. Lui non era il tipo da abbracciare le persone, ma con lei aveva deciso di fare un'eccezione. Dentro di sé nutriva una sorta di flebile attrazione nei suoi confronti, ma non si era mai sbilanciato e non aveva mai osato allungare una mano su di lei. Quello che c'era tra di loro non era quello che lui cercava, ovvero la stessa complicità che vedeva tra Egle e Raphael. Loro erano il suo esempio di famiglia ideale: erano complici, si capivano a vicenda, sapevano comunicare. Anche quando litigavano, quando qualcosa sembrava essersi rotto, loro erano in grado di chiarirsi e di ripararlo. Lui non credeva di essere in grado di riuscire a fare lo stesso, ma restava il fatto che non ci avesse mai neanche provato. Le esperienze che aveva vissuto da bambino lo avevano terrorizzato al punto da avere paura di essere considerato di nuovo un oggetto e non una persona. L'idea di aprirsi con qualcuno e sentirsi dare dell'arma, rappresentava uno dei suoi peggiori incubi.
«Ehy! Prontooo! La tana chiama Fir!» lo chiamò Silene, passandogli una mano sul petto e scuotendolo quanto bastava per strapparlo ai suoi ragionamenti.
«Che vuoi?» le chiese. Aveva avuto voglia di parlarle in modo brusco, ma il tono che gli uscì fu talmente pacato da stonare con le parole che aveva appena pronunciato.
«Ti stavo dicendo quanto si arrabbierebbe mio padre, se entrasse adesso e ci trovasse così» rispose lei.
Fiore rise e strofinò il suo naso contro quello della ragazza. Era una cosa che aveva visto fare in un documentario, Betsy ne guardava sempre molti e lui, soprattutto nei primi tempi della loro convivenza, li aveva guardati con lei. Era un gesto che reputava molto carino e Silene era l'unica con la quale si permetteva di farlo. Un po' perché era l'unica persona della sua età con la quale avesse fatto amicizia, un po' perché lei gli aveva detto che la cosa le faceva piacere. A dire il vero, Silene gli aveva detto anche che le sarebbe piaciuto fare di più, ma lui era andato nel panico ed era scappato via. Quella volta era rimasto nascosto per più di una settimana ed era stato il lasso di tempo più lungo durante il quale non si erano visti.
Per quanto riguardava il Consigliere Maigret, sapeva della loro amicizia, ma non che lui sgattaiolasse nell'ufficio di sua figlia. Per quanto ne sapeva, l'uomo credeva che Fiore fosse un trovatello che Egle e Raphael avevano deciso di educare per giocare a fare la famiglia. La sua presenza nella tana era in funzione dei due uomini e non c'erano regole che vietassero le visite famigliari all'interno dell'edificio, purché queste non compromettessero il rendimento degli impiegati. Certo, se avesse trovato la giusta scusa, Fiore non aveva mai dubitato che Maigret lo avrebbe cacciato volentieri fuori dalla tana.
Dimenticando completamente la tazza che aveva abbandonato sul pavimento, si rannicchiò anche lui sul divano, avvolgendo maggiormente la ragazza in un abbraccio e mettendosi comodo. Aveva le palpebre pesanti, il sonno arretrato e il rum lo stavano mettendo K.O.
Sospirò con soddisfazione contro la spalla di Silene e chiuse gli occhi, abbandonandosi all'oblio.
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