Essere un canelupo per il 50% del proprio patrimonio genetico aveva sempre avuto dei vantaggi per Raphael, a differenza di quanto si sarebbe potuto dire. Tanto per cominciare, aveva sempre saputo trovare gli oggetti che perdeva in giro per casa, quindi sua madre non aveva mai avuto modo di lamentarsi; era sempre stato agile, nonostante non si fosse mai impegnato particolarmente nell'attività fisica; riusciva a vedere molto bene al buio e poteva percepire molti piccoli rumori che sfuggivano all'orecchio umano - senza avere sempre delle orecchie da cane mentre era nella sua forma umana, a differenza di chi possedeva il DNA felino; percepiva il freddo con meno intensità; poteva mutare singole parti del suo corpo a suo piacimento e per tutto il tempo che voleva. L'unico problema che lo affliggeva, si presentava nel momento in cui effettuava la mutazione completa. Da quanto poteva ricordare, non era stato sempre così, da bambino riusciva tranquillamente a cambiare forma con la stessa facilità con la quale mutava le singole parti. Stando a quello che gli avevano detto gli specialisti che aveva consultato, ciò che lo bloccava non dipendeva dal suo corpo, ma dalla sua mente. Quindi, se avevano ragione, a un certo punto della sua vita doveva aver vissuto un'esperienza traumatica legata alla mutazione. Il problema risiedeva nel fatto che lui non ne avesse memoria. O quasi ...
L'aveva presa con una certa filosofia, non era mai stato il tipo da abbattersi alla prima difficoltà: aveva lavorato sodo su sé stesso e aveva imparato a limitare le mutazioni, riuscendo a sfruttare bene il suo potenziale anche nella sua forma umana. E poi, c'era da considerare che, quando proprio era costretto a trasformarsi, il blocco durava solo qualche giorno e non gli aveva mai impedito di svolgere il suo lavoro. Andava molto fiero del fatto di essere riuscito a farsi assumere nella tana, aveva sempre amato aiutare gli altri e, in questo modo, aveva anche avuto l'occasione di incontrare Egle. Lui era stato la vera e propria sfida della sua vita, sfuggente com'era. Ma, come già detto, Raphael era sempre stato un ragazzone ottimista; all'inizio aveva provato ad avvicinarlo con piccole scuse, una cosa poco sgamabile del tipo "Ho preso casualmente due caffè, ti andrebbe di berne uno?". Ed Egle, che non era stupido e sembrava avere un Master di secondo livello in Scienze per tenere lontane le persone, aveva sempre rifiutato. Per riuscire ad avere un dialogo che andasse oltre il semplice buon giorno, Raphael aveva dovuto fare un giro incredibile di cambi turno, fino a riuscire a farsi mettere in squadra con lui. A distanza di tanti anni, quella rimaneva una delle cose delle quali andava più fiero. Gli veniva sempre da sorridere quando pensava alla fatica che aveva dovuto fare per arrivare là, al suo fianco, dove sentiva di essere a casa. Anche in quel momento, mentre se ne stava disteso accanto a lui, guardolo dormire, aveva l'impressione di essere l'uomolupo più fortunato del pianeta.
Come se avesse percepito il suo sguardo, Egle allungò un braccio verso di lui, avvolgendolo e tirandoselo più vicino, affondando il naso nei suoi capelli. «Puzzi» gli disse, ancora mezzo addormentato, ma non si scansò.
Raphael afferrò una ciocca dei suoi capelli e se la portò sotto al naso. «Ma è lo shampoo nuovo!»
Egle grugnì e lo ignorò, continuando a sonnecchiare. Amava dormire tenendolo abbracciato, cane o uomo che fosse.
Anche Raphael decise che avrebbe continuato a stare a letto, strusciando il naso contro il petto del suo compagno e sentendo l'istinto di scodinzolare per la soddisfazione che stava provando. Cercando di essere discreto, fece mutare lentamente la sua colonna vertebrale, allungandola e richiamando la sua coda. Poterla muovere gli fece sfuggire un sospiro di sollievo, che aumentò nel momento in cui Egle cominciò a passargli una mano sulla schiena, facendogli i grattini. Lui amava farsi fare i grattini!
«Tanto lo so che ti sei fatto spuntare la coda».
Raphael ridacchiò e sollevò il viso per lasciargli un bacio sul collo. «Non sembrava dispiacerti nell'ultimo anno» lo stuzzicò, mentre sentiva una mano scendere fino al fondoschiena.
Egle non si era mai lamentato delle sue mutazioni, anzi, nonostante non amasse particolarmente gli animali, con lui sembrava aver trovato l'eccezione. Non si era dimostrato infastidito neppure quando aveva trovato il letto pieno di peli di husky, o quando ne aveva trovato tra i suoi capelli. Raphael se ne era scusato spesso, i primi tempi, ma era un piccolo svantaggio dell'essere parzialmente un animale con una pelliccia medio-lunga. A tale proposito, ricordò di aver lasciato in ufficio l'aspirapolvere nuovo. Avrebbe dovuto comprarne un'altra per evitare di doversela portare sempre dietro. «Ieri avrei dovuto chiederti di recuperare di nuovo la vecchia Hoover» mugugnò.
«È in ufficio» gli fece notare l'altro.
«Si, ma Miguel mi ha detto che ieri sei passato. A saperlo, ti avrei chiesto di recuperarla» disse ancora, tirandosi su e andando a lasciargli un bacio sulle labbra, notando che Egle avesse avuto un lieve sussulto. «Qualcosa non va?» gli chiese.
Il suo compagno abbassò lo sguardo e parve in difficoltà, segno che ci fosse effettivamente qualcosa che lo disturbava, ma che non avesse voglia di parlarne, almeno per il momento.
«Ehy! È solo un'aspirapolvere, sopravvivremo, non sono mica un gatto!» tentò di cambiare discorso. «In fondo, solo lei non creerà chissà quale disastro» aggiunse, muovendo la coda contro una gamba di Egle.
«Si, andrà tutto bene» rispose lui.
Raphael si avvicinò di nuovo per baciarlo, fermandosi appena prima che le loro labbra si sfiorassero. «Sta arrivando Fiore» disse, tirandosi indietro e alzandosi dal letto, andando ad agguantare dei vestiti da indossare. Avrebbe riconosciuto quei passi sempre e comunque. Mentre si sistemava la maglietta, bussarono alla porta.
Anche Egle si trascinò fuori dal letto, con più lentezza. Riprendere gli allenamenti e ricominciare a usare il suo potenziale in maniera intensiva lo faceva sentire più stanco di quanto già non fosse di solito.
«Riposati un altro po'» gli consigliò Raphael, nonostante sapesse che non lo avrebbe ascoltato. Uscì dalla stanza, dirigendosi verso la porta d'ingresso e percepì sin da subito il battito cardiaco accelerato del ragazzino. La cosa lo fece preoccupare e il suo timore trovò conferma nel momento in cui aprì la porta e si ritrovò davanti a un Fiore in lacrime e in preda a quello che era palesemente un violento attacco di panico. Indossava una tuta bianca e aveva la pelle irritata, come se fosse stato a contatto con dell'acqua per un lungo periodo di tempo. Ancora prima che potesse dirgli qualcosa, il ragazzino gli si gettò addosso, premendo la faccia contro il suo petto. L'uomo chiuse la porta e lo abbracciò, non sapendo come comportarsi; lo aveva visto piangere altre volte, ma mai in modo tanto disperato. Persino Egle rimase sconcertato, quando li raggiunse.
I due uomini si scambiarono uno sguardo incerto, prima di condurre Fiore sul divano. Lo fecero sedere e lo affiancarono. Raphael continuava ad abbracciarlo, mentre Egle gli accarezzava la testa, sperando che quel gesto contribuisse a farlo calmare. «Va tutto bene, ci siamo noi» gli sussurrò.
Fiore continuò a piangere e tremare, aggrappandosi a loro come se avesse il terrore che potessero scomparire nel nulla. Passò molto tempo, prima che riuscisse a calmarsi, ma neppure allora riuscì a parlare. Era sotto shock.
«È successo qualcosa a Betsy?» gli chiese Egle, che aveva già cominciato a fare teorie su cosa fosse riuscito a ridurlo in quello stato.
Il ragazzo scosse la testa e si passò le mani sugli occhi arrossati. Provò a dire, qualcosa, ma dalle sue labbra uscì solo un balbettio incomprensibile.
Raphael lo scostò da sé quel tanto che bastava per farlo respirare meglio. «Fa' con calma, respira».
Seguì il suo consiglio, inalando aria dal naso e rigettandola dalla bocca, come gli aveva insegnato Betsy tempo prima. Questo lo aiutò a recuperare un po' la calma. «S-Stramonium» riuscì a dire, «è morto!»
I due uomini sgranarono gli occhi, sconvolti a loro volta dalla notizia. Raphael prese il ragazzo per le spalle con fermezza e lo guardò negli occhi, controllando che le sue pupille non fossero dilatate. Voleva essere sicuro che non avesse usato le sue capacità. Fiore non si mostrò offeso da quel gesto e lo lasciò fare.
Nel frattempo, Egle afferrò il telecomando e accese la TV, sintonizzandosi sul canale dedicato alle notizie. Stavano trasmettendo un servizio su un possibile attentato avvenuto nella tana, la giornalista stava parlando di cinque vittime, delle quali: due addetti alle pulizie, i criminali Artax e Mountain, arrestati appena due giorni prima, e il Segretario Maggiore Miguel Star, registrato come Stramonium. L'intera struttura era stata messa in isolamento e si stava procedendo con le misure di sterilizzazione degli ambienti e del personale. «Eri là?» realizzò, comprendendo perché il ragazzo fosse vestito in quel modo e avesse la pelle chiazzata di rosso. Per quanto ne sapeva, il protocollo di sicurezza per le sterilizzazioni prevedeva delle docce nelle quali veniva usata una soluzione di acqua, che serviva a favorire la vaporizzazione delle sostanze disinfettanti che vi venivano diluite. Il tutto durava più di venti minuti a persona, decisamente un tempo molto più lungo di quello che di solito il ragazzo impiegava per lavarsi da solo. Non osò immaginare come avesse sofferto.
Fiore annuì, sospirando pesantemente. Le lacrime che aveva versato avevano contribuito a fare aumentare gli arrossamenti che aveva sul viso. «Ero con Silene» ammise.
Egle, che già poteva immaginare cosa avessero potuto combinare i due, decise di ignorare la faccenda. Non era il momento di infierire ulteriormente, per quella volta avrebbe potuto fargliela passare, c'erano cose più urgenti da fare. Prese la mano del ragazzo, che aveva afferrato la manica della sua felpa, facendolo staccare da lui e andando in bagno, dove recuperò una crema lenitiva. Ne teneva sempre un tubetto di scorta, qualora fosse stato necessario, visto che Fiore passava quasi più tempo a casa loro che da Betsy. Tornò sul divano e lo fece voltare verso di lui, cominciando a spalmargliene un po' in faccia. Raphael non si mosse, continuando ad abbracciarlo per aiutarlo a calmarsi del tutto.
«È stato lui» sospirò il ragazzo. «Io lo so che è stato lui».
Egle passò lo sguardo dal giovane a Raphael, ma non disse nulla.
«Cosa te lo fa pensare?» chiese allora, l'uomo lupo, lanciando occhiate confuse al suo compagno. Non era normale che non dicesse nulla in proposito, ma si autoconvinse che potesse dipendere dallo shock della notizia appena ricevuta. Dalla TV continuava ad arrivare la voce della giornalista, che tentava di avvicinarsi sempre di più all'entrata della struttura, annunciando che, tra non molto, avrebbero avuto modo di parlare con il Consigliere Maigret.
«È quello che faceva fare a me» rispose Fiore, venendo scosso da altri singhiozzi. «Quando sono venuti a prenderci ho avuto paura di essere stato io, ho creduto di aver perso il controllo. Poi ho visto i corpi». Si interruppe, notando che Egle si era voltato di nuovo in direzione dello schermo. La donna che stava parlando era riuscita a guadagnarsi un posto in prima fila tra gli altri giornalisti, puntando il microfono in direzione del Consigliere. L'uomo sembrava provato, ma riusciva comunque a mantenere la sua fermezza. Anche lui indossava la stessa tuta bianca di Fiore. In circostanze normali, Egle e Raphael avrebbero riso di lui, immaginando quanto potesse infastidirlo farsi vedere in pubblico in quello stato. Ma il sorriso non sfiorò i loro volti neanche per scherzo.
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