Scappare dalla Madre Superiora era una delle attività maggiormente praticate tra le mura del convento, ma in pochi riuscivano veramente nell’impresa e non succedeva sempre. Fiore, che si trovava a sfuggire dalle sue grinfie anche più volte al giorno, tentando di evitare il suo rosario killer, era tra i molti che non erano mai riusciti a evitarla. Ogni volta che ne combinava una, la suora sbucava fuori, già pronta e armata. Ogni volta, dopo una breve fuga, lanciava il suo sacro equipaggiamento e centrava il bersaglio, con lo stesso gusto di un soldato romano che faceva schioccare la frusta durante il calvario. L’unica differenza tra i due stava nell’uniforme. O almeno questo era quello che pensava da bambino.
Mancavano pochi giorni al suo sesto compleanno e, come ogni pargolo cresciuto tra le sacre mura, Fiore temeva la torta di suor Maria Silente, che di cucina ne sapeva tanto quanto lui. Tutti sapevano che non fosse colpa sua, ma delle altre suore che la lasciavano fare.
Quel giorno, il bambino si era nascosto tra i rami dell’albero di limoni piantato sul retro del convento. Stava pensando a una scusa credibile per non mangiare quel dolce malefico e le opzioni da lui più accreditate erano: un improvviso attacco di dissenteria e, in caso di fallimento, uno svenimento tattico, come quelli di Dante nella Divina Commedia. L’anno prima aveva valutato anche un possibile attacco di appendicite, ma lo aveva scartato quando era stato testato da Finny, un bambino poco più grande di lui, che aveva simulato il tutto e al momento della smentita non era stato preso sul serio. Il risultati dell’accaduto erano stati una cicatrice immotivata e un’appendice in meno. E Fiore non ci teneva né all’una, né all’altra.
«Fiorellino?» si sentì chiamare dal basso e non indugiò neppure un istante dal saltare giù dai rami dell’albero, atterrando sul prato. Nel momento in cui i suoi piedi toccarono il terreno e i fili d’erba, questi assunsero la consistenza di un tappeto elastico, facendolo atterrare con qualche lieve rimbalzo. La suora che lo stava cercando ammirò la scena con un sorriso e batté le mani nella sua direzione, mentre lui faceva un profondo inchino degno di un prestigiatore che ringrazia il pubblico. «C’è una sorpresa per te» gli disse, tendendogli una mano.
Fiore si sentì fremere per la curiosità e le corse incontro, allungando la sua manina e lasciandosi accompagnare verso l’entrata posteriore della struttura. «Cos’è? Si mangia? Ci posso giocare?» chiese con impazienza, spaventandosi infine «Non è una torta di Suor Silente, vero?»
Suor Maria Fiore, che aveva fatto voto di non mangiare mai le torte preparate dalla Sorella, scoppiò in una fragorosa risata. «Certo che no! Si tratta di una bella sorpresa, non di una punizione!» lo tranquillizzò.
Percorsero i corridoi del convento in silenzio e il bambino cominciò a sentirsi in soggezione quando intravide i suoi compagni che li spiavano da dietro il corrimano della scale che portavano al dormitorio. Non era mai stato particolarmente socievole con loro, nessuno, oltre alla suora che aveva accanto, aveva mai voluto giocare con lui o anche solo parlarci. Avevano tutti troppa paura di quello che era in grado di fare e la Madre Superiora era stata molto chiara in proposito, appioppandogli il soprannome di: Possibile Arma di Distruzione di Massa. Ma di solito usava chiamarlo Delinquente, come diminutivo. Inutile dire che, con tali premesse, non fosse mai stato proposto a nessuna delle coppie che andavano per prendere in affido o in adozione un bambino. Quando entrarono nell’ufficio della Madre Superiora, però, Fiore rimase perplesso; assieme alla suora c’era un uomo dall’aspetto distinto, che gli sorrise con aria affabile. Aveva tutta l’aria di un possibile padre, ma il bambino non riusciva a capire perché fossero entrambi là e perché non ci fosse una madre nei dintorni.
«Madre Superiora» disse suor Maria Fiore.
L’altra le indicò di fare accomodare il bambino su una delle due poltroncine di cuoio poste davanti alla sua scrivania. L’uomo rimase in piedi e lo seguì con lo sguardo. «Fiore, lui è il signor Sullivan. È venuto qui per adottarti» disse, senza troppe cerimonie.
Fiore sussultò, sgranando gli occhi e allungando una manina in direzione di suor Maria Fiore per stringere un lembo della sua veste. La suora gli si avvicinò maggiormente e gli carezzò la testa, mentre si rivolgeva all’uomo «Lo perdoni, è un bambino molto timido».
«Quando dorme» borbottò la Madre Superiora.
Il signor Sullivan, che non aveva smesso di sorridere, si fece avanti di qualche passo, fermandosi di fronte al piccolo e abbassandosi per porgergli una mano. «Lo ero anch’io alla tua età, ma sono sicuro che diventeremo buoni amici» disse. La sua voce era calma, proprio come le sue azioni. Di tutta risposta, Fiore gli sferrò un calciò su un ginocchio, facendolo sbilanciare in avanti. L’uomo fece appena in tempo ad afferrare i braccioli della poltroncina sulla quale era seduto il bambino, evitando di cadere a terra. Da quella vicinanza, Fiore poté giurare di averlo sentito ridere sommessamente, mentre i riccioli biondi che aveva in testa erano caduti a coprirgli il volto. Ne ebbe paura e sarebbe voluto scappare via dall’ufficio, andando a nascondersi dove nessuno avrebbe potuto trovarlo.
«Sono mortificata!» disse subito suor Maria Fiore.
«L’avevo avvisata che si trattava di un piccolo delinquente» borbottò ancora la Madre Superiora.
Sullivan si tirò indietro, dando l’impressione di non essere rimasto affatto ferito dal colpo infertogli dal bambino. Si risistemò i capelli e si rivolse alle suore «I temperamenti difficili sono la cosa che più amo a questo mondo. È sempre un piacere spezzarli».
A quelle parole, le suore si scambiarono uno sguardo confuso, mentre Fiore emise un singulto di puro e semplice terrore infantile. La Madre Superiora, che fino a quel momento si era dimostrata ostile nei confronti del bambino, girò attorno alla sua scrivania e si frappose tra lui e l’uomo. «Con tutto il rispetto, signor Sullivan, ma queste non mi sembrano cose da dire a un …» si interruppe.
Fiore non riuscì a vedere cosa stesse accadendo, perché le spalle della Madre Superiora occultavano la sua visuale. Tuttavia, poté vedere l’espressione di suor Maria Fiore e ne dedusse che, qualunque cosa fosse appena accaduta, non dovesse essere buona. In men che non si dica, la suora lo sollevò di peso, prendendolo in braccio e catapultandosi in direzione della porta. Poco prima di riuscire ad afferrare la maniglia, anche lei si bloccò e da dietro dalle sue spalle arrivò un sospiro pesante. «Non sono mai stato bravo con le trattative» disse l’uomo. Avanzò con calma verso di loro e Fiore, bloccato dalla paura, affondò il viso nella pettorina dell’abito della suora che ancora lo teneva tra le braccia. «Sarebbe un peccato, se accadesse qualcosa a questa donna, non credi?» continuò Sullivan, passando una mano sul velo nero che le copriva il capo. «Lei sembra volerti bene, no?»
Il bambino cominciò a piangere, stringendosi maggiormente al corpo paffuto della suora. Quando lo aveva sollevato, lo aveva stretto tra le braccia con forza e adesso che era bloccata non gli lasciava modo di sfuggirle, era come essere in braccio a una statua. L’unico modo in cui avrebbe potuto scostarsi da lei sarebbe stato quello di smaterializzarle il braccio, ma non voleva farlo, perché non era ancora bravo a ricomporre le cose nel modo giusto.
«Shhh … no, non piangere» disse l’uomo, sfiorandogli i capelli. Quel tocco gli diede i brividi, era freddo e viscido e gli diede l’impressione di essere venuto a contatto con un cadavere. In quello stesso momento, nella mente del bambino si aprì un’immagine che conosceva, ma che risultava molto confusa tra i suoi ricordi infantili: c’era una donna dai lunghi capelli castani e dagli occhi verdi, molto simili ai suoi. Gli andava incontro e lo picchiava, mentre un uomo che non riuscì a vedere chiaramente tentava di fermarla. I due urlavano e lui piangeva. Subito dopo seguì la sensazione di una coperta che lo avvolgeva, mentre le sue guance venivano aggredite dal freddo. Attorno a lui era buio, salvo in alcune zone dove arrivavano della luci al neon che gli davano fastidio agli occhi. Aveva la sensazione di essere in pericolo e che di lì a poco sarebbe potuto accadergli qualcosa di brutto. Un forte rumore di freni, il pizzicore della materia che veniva scomposta, mentre lui veniva sbalzato in aria e l’odore stantio della coperta era sostituito da quello del rosmarino. Gli aghi della pianta non riuscirono a ferirgli il volto, trasformandosi in soffici piume che attutirono la sua caduta. Spalancò gli occhi, in preda alla confusione, e si ritrovò seduto sul pavimento. Attorno a lui erano accatastati gli abiti della suora e, più in là, quelli della Madre Superiora. Al posto dei loro corpi era rimasta una sfera nebulosa di sangue e cenere, che ribolliva a mezz’aria. Fiore si trascinò indietro, andando a sbattere con le spalle contro la porta e non riuscì neppure a piangere. «Meraviglioso!» esultò Sullivan, avvicinandosi alla sfera. Il bambino sgranò gli occhi e spalancò la bocca, emettendo un grido di disperazione, e quella materia pulsante esplose, riversando in ogni angolo resti di materia. L’uomo venne colto dall’onda d’urto e i suoi abiti color crema vennero macchiati. Ne osservò la stoffa rovinata e tornò a rivolgersi al piccolo «Sarà un piacere insegnarti le buone maniere».
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