Fiore aprì gli occhi e si sentì sollevato nel trovarsi di fronte alle stelline fluorescenti appiccicate sul soffitto della sua stanza. Aveva avuto quello che tutti chiamavano incubo, ma che per lui era un continuo ricordare cose realmente accadute. Asciugò le lacrime che gli erano scese sul viso e si rannicchiò sotto il suo piumone arancione, desiderando di scomparire senza lasciare traccia. Ma anche quello sarebbe stato impossibile, perché sapeva che la materia lascia sempre un’ombra di sé stessa. Le ustioni gli davano ancora i brividi e il fatto che fosse sudato contribuiva a peggiorarne lo stato. Lanciò un’occhiata alla sveglia che aveva sul comodino e scoprì che era già pomeriggio, Betsy non lo aveva chiamato per pranzare, forse le era dispiaciuto svegliarlo. Poco importava, aveva lo stomaco chiuso e non sarebbe riuscito comunque a mangiare. «Arma di Distruzione di Massa» sussurrò piano. Chi avrebbe mai detto che la Madre Superiora potesse avere ragione sul suo conto? Si rispose che avrebbero potuto dirlo tutti, ma lui aveva sempre dato retta a suor Maria Fiore, che gli ripeteva che sarebbe potuto essere chiunque avesse voluto. Le persone come lui, nella vita reale, non sono mai chi vorrebbero essere.
Si chiese cosa sarebbe successo se non avesse seguito Betsy, quel giorno in cui era riuscito a scappare davvero dalle grinfie di Oblivioned. In cuor suo, sapeva per certo che quel mostro lo avrebbe ritrovato e che lo avrebbe ucciso lentamente e in modo doloroso, impedendogli di usare il suo potenziale per difendersi. Non aveva mai dimenticato tutte le volte in cui era stato sottoposto alle sue illusioni per essere reso inoffensivo. In più di un’occasione lo aveva quasi picchiato a morte, fermandosi giusto in tempo affinché il suo corpo potesse rigenerarsi. Questo fino a quando Fiore non aveva cominciato a tentare la fuga, poi le punizioni erano peggiorate. Rabbrividì e spinse la fronte contro il cuscino, non voleva cedere di nuovo al panico o all’ansia, voleva essere forte per riuscire a difendersi e a difendere la sua famiglia.
La porta della cameretta venne aperta con cautela, lasciando entrare un fascio di luce, spezzato solo dall’ombra della donna. «Dormi?» chiese timidamente. Fiore si mosse da sotto le coperte, rigirandosi e facendo sbucare gli occhi e un ciuffo di capelli scombinati da sotto il piumone. Non disse nulla, non sarebbe servito, e lei gli si avvicinò, andando a sedersi accanto a lui con la sua indelicatezza patologica. «Oplà! Fiorellino bello, come ti senti?»
Lui sospirò, mentre cercava di tenere gli occhi aperti, irritati anch’essi dal contatto con l’acqua e dalla luce proveniente dal corridoio. «Come un panzerotto» le rispose.
Betsy rise. «Avvolto così, lo sembri davvero! Un bel panzerottone, formato industriale!»
«Non prendermi in giro» mugugnò lui.
La donna gli diede una pacca leggera sul piumone, dove sapeva fosse nascosto il sedere del ragazzo, e gli strizzò l’occhio. «Ti ho preparato le polpette, quelle al sugo. Ho seguito la ricetta di Raphael».
Lo stomaco di Fiore rispose da solo, gorgogliando sonoramente e contraddicendo la sensazione che gli aveva dato fino a poco prima. Le polpette che preparava Raphael erano buonissime, ma Betsy sapeva metterci quel tocco in più. Non sapeva cosa fosse, lei rispondeva a tutti che era merito dell’amore, ma lui sapeva che l’amore non era qualcosa di commestibile. «Magari una o due» disse.
Betsy rise ancora e si alzò, sollevando il piumone e aiutandolo ad alzarsi, badando bene a non stringerlo troppo per non fargli male. «Prima datti un’asciugata e cambiati il pigiama, sei sudato come un maiale» gli fece notare, facendo ridere anche lui. Lo aiutò anche in quello, prima di condurlo in cucina. A stento riusciva a tenersi seduto sulla sedia, ma non cedette, poggiando i gomiti sul tavolo. La donna si allontanò per riempirgli un piatto, che gli lasciò davanti, poi recuperò un bicchiere pulito e una piccola scatola sulla quale era stato legato un nastrino giallo, chiuso in un fiocco. Era annodato talmente male, da rendere palese chi ne fosse stato l’artefice. «Questo lo ha lasciato Egle».
«Non avevo dubbi» scherzò lui, facendo un lieve cenno con la testa, per indicarle di aprirlo al suo posto. Betsy tirò via il mastro e aprì la scatola, trovandovi dentro un’altra scatola sulla quale era stampata l’immagine di un telefono. Doveva aver saputo che il suo fosse andato perso a causa della sterilizzazione della tana. Allungò una mano e pigiò il pulsante di accensione, scoprendo che l’uomo avesse già inserito una nuova scheda. Aveva persino impostato l’immagine di sfondo, usando una foto di qualche mese fa, scattata durante una scampagnata che avevano fatto tutti insieme: c’era Betsy, con un ampio cappello di paglia, gli occhiali da sole e il naso coperto di crema solare, mentre lo abbracciava. Accanto a loro c’era Egle, che teneva in braccio l’enorme corpo da husky di Raphael, sul quale aveva tagliato e incollato la sua faccia sorridente nella sua forma umana, creando un ibrido ridicolo. La foto se l’erano fatta scattare da una ragazza che stava passeggiando con il suo fidanzato, erano stati entrambi molto gentili.
«Era molto preoccupato. Fossi in te, gli scriverei un messaggino» gli disse.
Fiore sorrise e annuì. Dopo aver mangiato gli avrebbe telefonato per ringraziarlo e per dirgli che aveva apprezzato lo sfondo che aveva scelto, soprattutto la parte di Raphael.
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