Il cielo era terso e l’aria era fresca. C’era un venticello lieve e piacevole, che accarezzava i corpi dei presenti come a voler dare loro sollievo dal dolore che li aveva riuniti in quel luogo di silente dolore. I membri della tana, i familiari, gli amici e le conoscenze accumulate negli anni si erano presentati per dare l’ultimo saluto a Miguel Star, un uomo che era stato un buon figlio, un buon fidanzato e un buon esempio per moltissime persone che, come lui, possedevano un potenziale di rilascio e ambivano a diventare i prossimi salvatori di qualcuno. Perché lui, a differenza di molti suoi colleghi, in quello che aveva fatto ci aveva creduto davvero e lo aveva sempre dimostrato, facendo di Stramonium più di un semplice esempio da seguire. Questo, unito alla sua personalità prorompente, aveva contribuito a renderlo benvoluto da tutti.
Proprio in nome dell’affetto provato nei suoi confronti, il medico legale aveva dato priorità all’autopsia di Miguel, esaminando il suo corpo ancora prima di quello dei due criminali. Si erano trovati spesso a lavorare insieme su casi di avvelenamento da spore e per classificare i detenuti con quel tipo di potenziale, ma nessuno dell’equipe avrebbe mai immaginato di ritrovarselo sul tavolo. L’esame tossicologico aveva rilevato una dose di spore di aconito superiore a nove volte la sua massa corporea. Angie era rimasta all’obitorio per occuparsi personalmente del funerale, opponendosi al volere di Maigret, che aveva disposto la funzione assieme agli altri deceduti. Lei non avrebbe lasciato che il suo fidanzato se ne andasse assieme ai criminali a causa dei quali era morto. Quell’uomo aveva già fatto abbastanza, non gli avrebbe dato la possibilità di mettere bocca su una simile questione. Avrebbe voluto fare qualcosa anche per gli altri due colleghi rimasti coinvolti, ma non le era stato possibile. Egle e Raphael erano andati a darle manforte, aiutandola e sostenendola per tutto il tempo. Durante la cerimonia avevano creduto che sarebbe collassata, sfinita dal pianto e dal dolore; Raphael l’aveva tenuta stretta a sé, lasciandola piangere contro la sua spalla, mentre l’altro, riparatosi con una mascherina, le ripeteva che non l’avrebbero lasciata da sola. Anche loro si sentivano distrutti per la perdita del loro amico, come lo erano anche tutti gli altri presenti. Miguel era stato un uomo buono con chiunque avesse avuto la fortuna di conoscerlo ed era uno dei membri della tana a possedere uno tra i potenziali più forti, cosa che rendeva improbabile la possibilità di trovarsi facilmente in quella situazione. Nessuno avrebbe mai creduto che sarebbe morto tanto facilmente, soprattutto a causa di un avvelenamento. Lui, che a sua volta era in grado di rilasciare e gestire tossine, riparandosi dagli attacchi esterni con una facilità disarmante. Era bastata una piccola distrazione, anche se ancora non era chiaro come fosse possibile che il suo corpo avesse assorbito una tale quantità di spore. Persino il medico legale era rimasto interdetto, trovando le sue cellule sature di quella sostanza al punto da esserne inglobate.
Avevano passato l’intera mattinata al cimitero, poi si erano fermati in una tavola calda per tenere compagnia alla loro amica e assicurarsi che mangiasse qualcosa. Le avevano anche chiesto se le andasse di tornare a casa con loro, ma Angie aveva rifiutato. Le serviva del tempo per riflettere e per calmarsi.
Arrivati a casa, Raphael andò a fare una doccia ed Egle si chiuse nel suo studio. Si gettò sulla sua sedia girevole e rimase là a dondolarsi; l’ultima volta in cui aveva visto il suo amico era stato il giorno in cui era stato convocato nell’ufficio di Abro e l’ultima cosa che si erano detti era stata una bugia. Non poteva fare a meno di pensare che, se lui e Raphael non fossero intervenuti contro Artax e Mountain, probabilmente i criminali sarebbero riusciti a fuggire e Miguel ed Angie non sarebbero stati promossi, continuando a svolgere le loro azioni giornaliere. Se solo avessero lasciato passare … e poi c’era la questione di Abro, che aveva tentato di dettare legge anche in un momento simile e che non si era presentato neppure per porgere le condoglianze ad Angie o ai familiari del loro amico. Si era comportato come se la cosa non lo riguardasse o non sapesse chi fosse Miguel, dopo tutto il tempo che avevano trascorso insieme.
Si passò le mani sul viso e si strappò via la mascherina, gettandola con rabbia nel cestino accanto alla scrivania, poggiando poi i gomiti sulla tavola inclinata e sospirando pesantemente. Aveva trattenuto le lacrime per tutto il giorno, non sapeva neppure lui come ci fosse riuscito, ma adesso sentiva di essere sul punto di cedere. Non poteva immaginare come Angie avesse potuto sopportare tutto quello che era successo senza impazzire, soprattutto dopo avergli detto di averlo visto morire. Era sicuro che, se al suo posto ci fosse stato lui e fosse accaduto qualcosa a Raphael, non sarebbe riuscito a sopravvivere.
Avvertì l’avvicinarsi di passi, ma non si voltò, rimanendo piegato sulla scrivania con il volto nascosto tra le mani. Aveva imparato a non temere di mostrarsi debole con lui, ma in quel momento non si sentiva pronto. Era già provato dalla faccenda della missione che aveva rifiutato e si aspettava che Abro non gliel’avrebbe fatta passare liscia, nonostante non avesse potuto fare nulla per il momento. Sapere di Miguel era stato il colpo di grazia.
Raphael gli si avvicinò e gli scostò i capelli, lasciandogli un bacio leggero sul collo e abbracciandolo. «Non chiuderti così» sospirò contro la sua nuca.
Egle scosse la testa. Avrebbe voluto dirgli tutto per sentirsi un po’ più leggero e lo avrebbe fatto, se non avesse temuto la sua reazione. Sapeva bene quanto il suo compagno odiasse Maigret e non avrebbe mai preso bene la notizia che avesse tentato di inviarlo in una missione suicida. Il problema stava nel fatto che non sarebbe stato uno scontro alla pari, Abro avrebbe sfruttato ogni sua risorsa per andare contro di loro. Mancava poco anche al loro rientro alla tana e sentiva che le cose sarebbero peggiorate. «Forse dovremmo ritirarci» disse.
Raphael si irrigidì e si tirò indietro, prendendolo per le spalle e costringendolo a voltarsi verso di lui. «Cosa?» sussurrò.
Egle prese coraggio e lo ripeté, con maggiore fermezza: «Ritiriamoci». Si fermò a valutare l’espressione confusa del suo compagno, poi riprese, temendo quel silenzio più di qualsiasi altra risposta «io posso prendere più commissioni, tu potresti tornare a insegnare. Sono sicuro che sarebbero felici di riprenderti, dicevi sempre che i ragazzi erano entusiasti delle tue lezioni». Aveva ascoltato spesso le sue storie sul periodo in cui era stato impiegato in una scuola privata per dare lezioni di grammatica e latino, ne aveva sempre parlato con nostalgia. Si era trovato a lavorare nella tana per puro caso; aveva salvato uno dei suoi studenti durante un’aggressione avvenuta durante l’uscita di scuola e una sua collega, che lo aveva visto, lo aveva segnalato alla sede centrale. Questi lo avevano convocato e lo avevano valutato come idoneo. «Ti prego, Raphael. Dì qualcosa».
L’uomo lupo si tirò indietro i capelli umidi e parve riflettere sulla proposta appena ricevuta. «Vuoi davvero mollare tutto?» gli chiese. A differenza sua, Egle era entrato spontaneamente nella tana, sostenendo una dura selezione e lavorando sodo. Gli scontri che c’erano stati tra di loro e il Consigliere li avevano già portati a ridurre le loro mansioni e a retrocedere di livello per tenersene lontani, già quella era stata una scelta difficile per entrambi.
«Voglio solo riuscire a dormire la notte, senza pensare che l’indomani uno di noi potrebbe finire come Miguel» rispose.
Raphael sospirò e gli prese il viso tra le mani, carezzandogli le guance con i pollici. Lo faceva sempre, nel tentativo di tranquillizzarlo quando lo vedeva agitato – cosa che non capitava spesso e che faceva scaturire in lui una forte preoccupazione. Inclinò lievemente la testa su un lato e si fece avanti per dargli un bacio sulle labbra. «Non lasciare che il dolore annebbi la tua mente. Abbiamo ancora tempo per decidere e, se questo è davvero ciò che vuoi, allora lo faremo. Voglio solo che tu sia consapevole di non essere da solo, alcune volte ho l’impressione che lo dimentichi. Qualunque cosa sia, possiamo affrontarla insieme, ok? Io sono qua, con te» gli sussurrò.
Egle annuì, anche se già si era pentito di aver proposto una cosa del genere. Rimanendo nella tana avrebbero potuto tenersi sempre aggiornati sui movimenti di Maigret e avrebbero potuto tenere d’occhio Fiore con più facilità. Raphael era riuscito a farlo ragionare, doveva prendersi tempo, tornare lucido e valutare bene i pro e i contro delle sue azioni, perché non sarebbe più potuto tornare indietro. «Hai ragione» rispose.
L’uomo lupo gli sorrise e lo baciò di nuovo, poggiando la fronte contro la sua. «Che ne dici di andare di là e gettarci sul divano? Magari cerchiamo un film o uno di quei video che guardi tu e che non ricordo mai come si chiamano» gli propose.
«Gameplay» rispose Egle, sorridendo a sua volta.
«Ecco, quelli!» esultò l’altro, prendendolo sottobraccio e facendolo alzare, guidandolo fuori dallo studio. «Tu ti godrai la gente che gioca a cose che non capisco ed io mi godrò i tuoi grattini. Un piano geniale, no?»
«E se ci allenassimo?»
Raphael sollevò le sopracciglia, mostrandogli un’espressione di sdegno talmente falsa da risultare comica. «Ti propongo di passare un po’ di tempo insieme sul divano e tu pensi agli allenamenti? Ma mi hai visto bene?» disse, staccandosi da lui per indicarsi da capo a piedi.
Egle lo osservò a sua volta. «Beh, come darti torto …»
A quella risposta, l’uomo lupo lo afferrò per i fianchi e lo tirò con sé sul divano, facendolo stendere sopra di lui. «Quindi grattini e gameplay?» ripropose, consapevole che di lì a poco il gameplay ci sarebbe stato, ma che non si sarebbe trattato di un video.
Egle gli infilò le mani sotto la maglietta e cominciò a sollevarla. Aveva deciso di godersi il momento, tutto il resto avrebbe potuto aspettare. Lasciò una scia di baci sul corpo del suo compagno, risalendo fino alla sua bocca, dove si accanì con maggiore passione, prima di essere interrotto dagli squilli di un telefono.
«È il mio» grugnì Raphael contro la sua bocca, infilando una mano tra i loro corpi per raggiungere la tasca dei jeans. Guardò lo schermo e aggrottò le sopracciglia, notando che si trattasse del numero della tana. «Pronto?» rimase in ascolto, con l’espressione seria che si tramutava in sorpresa. «Domani alle dieci? Va bene» disse subito dopo, concludendo la conversazione e poggiando il telefono sul pavimento.
«Novità?» chiese Egle.
«Visita medica per il ritorno in servizio» rispose lui.
«Solo tu?»
Raphael si strinse nelle spalle. «Forse vogliono assicurarsi che la mutazione non abbia avuto effetti collaterali. Sai com’è, dopo un anno …». Egle parve pensieroso e lui si adoperò subito per farlo tornare alla realtà, dandogli uno schiaffo sul sedere e facendolo sussultare. «Dove eravamo rimasti?»
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