La sera arrivò troppo velocemente, per i loro gusti. Erano rimasti accoccolati sul divano e non avevano la minima intenzione di muoversi; entrambi si erano aggrappati a quei momenti come se fossero potuti essere gli ultimi. Pensare di potersi perdere era tra le cose peggiori che avrebbero potuto immaginare, ma avevano sempre evitato di pensarci troppo a lungo. Erano consapevoli che il loro lavoro includesse dei rischi, ma la morte di Miguel aveva portato a galla più di una questione che avevano preferito accantonare. Se davvero l’attacco fosse stata opera di un membro della squadra di Oblivioned, avrebbero dovuto stare molto attenti, soprattutto Egle; lui era stato in prima linea durante il suo ultimo attacco, quando aveva ucciso James, il figlio più giovane di Betsy. In quell’occasione, Fiore era riuscito a scappare da lui e avevano il dubbio che il suo ritiro fosse stato causato proprio da questo. Quel ragazzino aveva rappresentato una grande risorsa per Oblivioned, si sarebbe potuto dire che, se era arrivato dove era arrivato, era stato grazie a lui e al suo potenziale.
«Un penny per i tuoi pensieri, Honey Bun» gli sussurrò all’orecchio Raphael. Aveva passato ore a osservarlo e a coccolarlo, ma, nonostante fossero insieme da anni, non aveva ancora capito come decifrare i momenti in cui si perdeva, impelagandosi nel groviglio della sua mente costantemente intenta a rimuginare.
Egle sospirò e afferrò una ciocca dei suoi capelli biondi, cominciando a giocarci. Amava essere chiamato in quel modo e amava il modo in cui il suo compagno pronunciava quelle parole. «Stavo pensando a quanto rosicherà Bernadette, quando ti vedrà» mentì, prendendolo in girò. Bernadette era una loro collega – anche lei una mutaforma – per metà volpe. Non era un segreto che avesse un debole per Raphael, ma era anche abbastanza perfida da gioire del fatto che non fosse più riuscito a ritornare umano. Durante una discussione con Egle, gli aveva detto apertamente che considerasse quell’intoppo come un ostacolo in una relazione e che era abbastanza felice che fosse successo a loro. Ed Egle, che era mite, ma di tanto in tanto trovava la voglia di rispondere a tono, l’aveva zittita dicendole che per lui non faceva alcuna differenza, visto che Raphael teneva la coda anche nella sua forma umana. L’espressione che le aveva visto in faccia aveva rallegrato le sue giornate per tutta la settimana che era seguita.
«Ti prego, non nominare quella strega!» disse Raphael, portandosi una mano sulla fronte. «Spero di non incontrarla domani».
«Se vuoi, posso accompagnarti. Se dovessi vederla potrei accidentalmente ferirmi e il mio sangue potrebbe finire, sempre accidentalmente, su una delle sue scarpette super firmate» propose Egle, mettendo più enfasi sulla parola “accidentalmente” e ridacchiando di gusto. Entrambi sapevano che ne sarebbe stato capace, tanto quanto erano sicuri che Bernadette sarebbe andata su tutte le furie.
«Non tentarmi, potrei dirti di si» gli rispose, passandogli una mano tra i capelli e tirandoli leggermente. «Ma non domani, devo andare da solo. Sai come sono puntigliosi quelli dell’infermeria».
Egle sollevò la testa, improvvisamente sospettoso. «Ti hanno chiesto di andare da solo?» quando Raphael annuì, le sue paure tornarono a farsi sentire. «Ma di solito permettono di portare una persona» disse, più a sé stesso che al suo compagno.
«Avranno aumentato le restrizioni a causa dell’attacco, non ti agitare per ogni sciocchezza» lo riprese l’altro. «Quando torno passo dalla caffetteria e prendo i cornetti al pistacchio, così li mangiamo insieme».
Egle affondò il viso contro il petto del suo compagno ed emise un mugugno. Raphael aveva di nuovo ragione, gli ultimi eventi avrebbero avuto notevoli conseguenze sui protocolli di sicurezza, non avrebbe dovuto fasciarsi la testa prima del tempo. «Meno pensieri infelici, più cornetti al pistacchio» disse, rimanendo in quella posa.
«Esatto!» disse l’altro. «Due a testa possono bastare?»
«Io tre».
Raphael ridacchiò e gli tastò i fianchi con le mani, facendolo scattare per il solletico. Egle provò a sfuggirgli, ma l’altro riuscì ad agguantarlo e a riportarlo giù, tra le sue braccia. «Così potrò godermi ancora un po’ questi fianchetti morbidi!» lo prese in giro.
«Sei uno stronzo» sbuffò lui.
«Ti amo anch’io, Honey Bun».
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