«Ok, vi ricordate tutta la roba che avete lavato, steso e stirato ieri? Beh, ecco, c’è un motivo ben preciso per cui avete fatto tutto questo: quei vestiti adesso sono vostri. E saranno fondamentali nella prova di oggi, visto che potrete indossare solo quelli».
Walter iniziò a sudare freddo pensando al grembiule con i pulcini rosa che Alucard gli aveva mostrato il giorno precedente: sicuramente gli Hellsing avrebbero costretto lui a portare quell’orrore.
Seras commentò «Tipo … tipo una sfilata di moda?»
«Esatto …» continuò la voce, ma fu interrotta
«E … ma … dobbiamo fare come le altre prove? Mandiamo solo uno per fare una sfilata di moda? O andiamo tutti insieme?»
«Tutti insieme, ovviamente … e i primi a sfilare saranno i … Phantomhive!»
I suddetti si guardarono. I tre servi sorridevano, considerandolo come un grande privilegio onorario iniziare per primi, ma Sebastian era scioccato dall’affermazione.
Era andato tutto in rosa … alla giuria non importava un fico secco se i panni erano di un colore disgustosamente dolce, ma il danno era il loro. Mettendo quel capo d’abbigliamento rosso fra gli altri … si era condannato con le sue stesse mani da pianista.
Ciel rimase imbronciato e ordinò seccamente
«Sebastian, portami nella mia stanza. Mi scoccio a camminare»
Così Sebastian fu costretto a prenderlo e portarlo nella stanza e cambiarlo.
Gli Hellsing si dileguarono nella camera dove avevano messo tutta la roba pulita.
«Cavolo Mastah! Questo è a misura di Waltah-san!» esclamò Seras, prendendo il grembiule orrorifico «Gli sta proprio bene!»
«Ok, Walter. Tu fai lo stile casalingo» declamò Integra, autoritaria «Ognuno prenda quello che è più consono allo stile che vuole fare e che sia della sua taglia. Sarà un pò difficile»
«Nevica! Woo!» strillò Seras, buttando tutti i vestiti all’aria e inondando la stanza di abiti.
Walter si battè una tempia con l’indice «Ma quella è scema!».
Pochi minuti dopo, erano tutti riuniti nel salone.
Partì la musichetta di “Uomini e Donne”, uno di quei disgustosi semi-reality italiani, mentre i Kuroshitsujiani si posizionavano su un’apposita struttura che era stata inserita durante l’assenza di entrambe le fazioni.
Il primo a sfilare fu il Bocchan, il grande signore e padrone, l’unico erede dei Phantomhive.
Il capo dai capelli turchini era sormontato da un cappello da Cappellaio Matto di “Alice in Wonderland”, e fin qui nulla di strano, anzi era piuttosto stiloso.
Probabilmente senza che se ne accorgesse, sulla sua benda nera era stato disegnato un occhio orrorifico con la penna rosa a gel che lasciava anche glitter, cosa che faceva piuttosto contrasto, ma soprattutto disgusto.
Sul petto era posizionato un abnorme, esagerato, fiocco rosa dello stile “decorazione di Natale” che gli nascondeva in parte il mento e un pezzo del torace. Esso era adorno di una giacchettina di un arancio-pesca con strani ricamini blu e gialli che recitavano parole senza senso e completamente incomprensibili.
Dove, normalmente, doveva esserci un paio di pantaloni da un sacco di soldi immacolati e ordinati vi era una grande, enorme, gonna rigida. E il guaio consisteva nel fatto che era molto larga.
Primo problema : anche da lontano si potevano vedere le mutande: color “Big-Babol-masticata-da-un-bel-pò” con una grossa mucca rosa stampata su.
Secondo problema : nel tentare di fare uno sconclusionato cat-walk da bella perfetta modella colpiva con i bordi della gonna gli spettatori, probabilmente con molta intenzione di farlo.
Le sue scarpe erano le classiche pantofoline rosa peluchose a forma di coniglio che ondeggiavano le orecchie innocuamente a destra e a manca.
Dopo aver schiacciato un paio di nasi e digrignato rabbiosamente i denti al pubblico, se ne tornò da dove era venuto con sospiri di sollievo e approvazione da parte degli spettatori.
«E questo era lo stile nobiliare del conte!» urlò Finnian che si era improvvisato commentatore seppure dovesse partecipare anche lui, poi si sentì in dovere di specificare, guardando con un pò di timore Alucard «Il conte Phantomhive, intendevo».
La seconda a sfilare fu Lizzie.
Entrò in scena saltellando con un rumore surreale da cartone animato, con il classico “boing,boing, boing” da pallina rimbalzante, non tentando neppure di farlo il famoso cat-walk. Figuriamoci, non riusciva neanche a camminare come una comune mortale!
In testa aveva il classico copricapo da pastorella, rosa, con l’aggiunta a lettere cuneiformi sumeriche che nessuno comprese la sua famosa parola preferita. Il guaio era che le parole erano davvero scavate nel cappellino, quasi fosse argilla e Elizabeth sembrava esserne estremamente felice.
Indossava una modesto… saio. Un saio da prete, lungo, stretto in vita da una corda spessa rosa shocking, e cosa più importante: era lavanda. Avete mai visto un saio lavanda? Io no. E poi, cosa vomitevole, era attraversato dalle lettere, stavolta cubitali, che componevano la parola kawai nella parte anteriore, e dietro era decorato con un angioletto con un pezzo di guance rosee e in salute che erano di mezzo metro.
Le mani delicate erano racchiuse in un paio di guanti ruvidi all’esterno dell’aspetto classico da rudimentale e pecoraresco, ma di seta all’interno, per la gioia dei mandriani.
Era scalza, perché non c’era nessun tipo di scarpa che le andasse bene, e rischiava di scorticarsi i piedi o di inciampare durante la sfilata.
Saltellò allegramente fino all’estremità della struttura e fece un elegante inchino. Poi ritornò indietro degnandosi di fare un catwalk decente. Quasi.
«E questo era lo stile rudimentale-kawai di Lizzie!» commentò il giardiniere. Ovviamente non sapeva cosa significasse rudimentale, ma glielo aveva suggerito Sebastian. Di dirlo, non cosa significava.
La terza a sfilare fu Meirin.
Si presentò con un catwalk che lasciò stupiti la maggior parte dei presenti, tanto era deciso e … bhè, era un catwalk, con elegante avanzata un piede di fronte all’altro. Arrivò all’estremità più lontana della struttura e si esibì.
Al posto dei normali occhiali bianchi e tondi, indossava dei modernissimi occhiali da sole rettangolari, spessi. Li calò appena con fare sexy, lasciando intravedere appena gli occhi di un profondo nocciola e sorridendo, ma la cosa più stupefacente fu che le riuscì.
Aveva il tipico abbigliamento da cantante teen-ager, con quella specie di corpetto aderente e nero scollato e dei pantaloncini corti e attilatissimi. Le scarpe portavano un tacco alto, nere anche loro. Era l’unica i cui vestiti non avevano risentito della terribile catastrofe procurata dal maggiordomo Sebastian.
Come avessero fatto a trovare i vestiti così azzeccati, non ve lo so dire, ma fatto sta che li avevano trovati.
Nel tornare indietro, essendo che era molto cieca e portava gli occhiali da sole, inciampò nei suoi stessi piedi, cominciò a urlare come una pazza, ruzzolò giù dal palco con un tonfo, travolse Bard e entrambi rotolarono per un pò, fino a quando Meirin non si alzò e fuggì a gambe levate in preda a solo-Dio-sa-che.
«Bhè» mormorò Finnian «Per un pò era andata bene … E questo era lo stile trasgressivo di Meirin!».
Silenzio.
Cri, cri, cri.
«Vabbè, ora vado io!» si battè una mano sul petto e salì velocemente sul palco.
Ma mentre camminava si accorse di essere preda di una crisi di vergogna-imbarazzosa. Anche perché era vestito da Sailor Moon in versione monocromatica rosa.
Si immobilizzò e guardò tutti con aria spaurita, tremendamente terrorizzata e spalancando gli occhi.
«Non posso» mormorò.
Tum-tum, tum-tum.
Il cuore accelerò.
«Non posso».
Sentì qualcosa di umido che gli imperlava la fronte e ricopriva la schiena. Sudore.
«Non ce la faccio».
Fece qualche passo indietro appena.
«No, no, no, no».
Si portò le mani fra i capelli e sgranò gli occhi. Le iridi verdi parvero ingrandirsi, inglobando il nero della pupilla.
«Ahh!» urlò, alzando le braccia. Così Finnian fuggì in preda a una fobia da palcoscenico che pensava di non aver mai avuto.
Bard non pensò neanche a salire, era morto per terra, con le palpitazioni cardiache a livelli assurdi.
«Sono tutti sciroccati» commentò Walter, incredulo.
Alucard si stava rotolando dalle risate per terra: non aveva mai visto una cosa così assurda come quella. Rideva così forte che si dimenticava di respirare e dopo un pò non emise più suoni, pur continuando a rotolare e a mimare una risata.
L’ultimo a sfilare, per i Phantomhive, fu Sebastian. Il maggiordomo salì sul palco con un’aria terribilmente sicura. Era felice del fatto che quella prova non richiedesse una particolare applicazione di forza fisica, perché altrimenti avrebbe miseramente fallito, ma se si trattava di moda e portamento, che dire, non c’era nessuno che fosse migliore di lui. Certo, vestirsi di rosa era veramente … veramente … orribile, ma non ne poteva fare a meno. Alucard, che aveva smesso di ridere, si era seduto nella posizione del loto e fissava il punto dalla quale entravano i modelli, aspettando di vedere come Sebastian si sarebbe ridicolizzato.
Il maggiordomo dei Phantomhive non ebbe ripensamenti, sebbene la vergogna lo assalisse internamente, ed uscì da dietro le tende con aria di superiorità, il mento alto, e con una camminata elegante e sinuosa per cui qualunque ragazza (ragazza, non Integra), sarebbe caduta ai suoi piedi urlando “Sebastiaaan!”.
Alucard spalancò la bocca, troppo divertito persino per ridere. Probabilmente la mascella gli si era bloccata in quel modo, perché non accennava a chiudere la bocca.
Sebastian portava una maglietta da ragazzina moderna, ovvero lunga fino a metà busto, completamente rosa. Sopra il petto si potevano notare trenta scritte diverse, ognuna in un carattere diverso, fra cui spiccavano “love”, “romantic”, “girl”, “modern” e soprattutto un mastodontico “Chic”.
I pantaloni erano anch’essi corti, due pinocchietti rosa, con un orlo ricamato rosa scuro, e un paio di margherite disegnate nel mezzo delle cosce. L’aspetto generale era orribile, come solo può essere orribile quello che è rosa, moderno e femminile addosso ad un maggiordomo d’altri tempi.
Sui capelli neri portava, ben calcato, un cappellino da baseball mezzo rosa e mezzo verde stinto con una specie di orribile pulcino ricamato sulla visiera. I guanti bianchi erano stati sostituiti da un paio color rosa fluo, probabilmente di quella sfumatura anche prima che Sebastian combinasse il guaio del rosa, con dei cuoricini rossi stampati sul dorso delle mani.
Il tutto era completato da un paio di infradito giallognole pescate chissà dove e una borsettina floscia, rosa, stinta, con i bottoni fuori posto, che Alucard ricordava di aver cercato di distruggere il giorno prima ma senza risultati, visto che quella cosa era troppo gommosa.
Sebastian sembrava non vergognarsi di tutto questo, al contrario, aveva tirato fuori il meglio di se, ironico, aggressivo, fulminante, e con una camminata che non era esattamente “per l’uomo che non deve chiedere nulla”, ma che alla “donna che non deve chiedere mai” ci stava benissimo.
Finnian comparve timidamente da dietro le tende
«Ed ecco Sebastian con lo stile ragazza moderna!» commentò poco prima di dileguarsi.
Alucard riuscì a sbloccarsi la mascella solo quando Sebastian scomparve. Stava per iniziare a rotolarsi a terra quando Walter lo fermò, mettendogli una mano sulla spalla
«Alucard» gli disse, serio e severo «Lo sai che questa cosa dobbiamo farla anche noi, vero?».
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