< Ti va di ballare? > chiesi al mio amico Alex
< Certo! Andiamo in pista! > rispose il suo eccesso di entusiasmo, che ormai avevo capito era un suo tratto caratteristico (e che tuttavia trovavo contagioso ogni volta).
Era una festa. Una festa sul tetto di un edificio vicino UpTown. Non era così esclusivo e ciò nonostante 20 hex se ne andarono quella sera, permettendoci di fare il nostro ingresso - il mio visivamente a disagio - in quel roof-top party di cui metà città parlava e l’altra metà sognava.
Il confine con UpTown è spesso battuto da eventi del genere. Festini, party hard di ogni tipo e gloria, techno-rave con tanto di fuochi artificiali, ologrammi e cuffie a conduzione ossea.
Se andavi al confine: o era per passarlo, oppure per sballarti.
Il più delle volte era la seconda opzione, e da queste parti si sa, se ti sballi sul confine, lo fai in grande.
< ehi Alex, ti va di ballare? >
< Certo Nik! Forza! Si va in pista! >
Ora che ci faccio caso, con quale spirito di iniziativa glielo chiesi? Dove era stato per tutto il tempo quel coraggio?
Beh che dire, non me lo ricordo e non penso sia tanto utile ora. Successe che il tipico ragazzo introverso si trovava alla festa del secolo con due amici, e ad una certa tira fuori il suo asso nella manica: se ti senti oppresso da ciò che ti circonda, puoi fare due cose: fuggire, o affrontare te stesso.
Ed io adoro le sfide.
Dopotutto la musica era decente, potevo sentire qualche melodia entrarmi in testa per rimanerci. È uno dei punti di forza di questi posti, i dj sanno quel che fanno e non si piegano alle mode del momento, mettono passione in ogni pezzo che mandano, e tu rimani coinvolto in quelle sequenze eteree.
Sopratutto se sei uno come me.
Il locale era all’aperto, sul tetto di un edificio di cinque piani, l’aria sferzava debolmente i corpi di coloro che si trovavano davvero all’esterno, ovvero fuori dalla cupola di vetro-acciaio che circondava la pista da ballo. Che meraviglia lo steel-glass pensai solcando la sottile soglia che conduceva ‘all’interno’, solo io potevo commentare una roba del genere, tutti gli altri parevano semplicemente avvolti dalla magia della musica. Mi piace notare i particolari, analizzare la scena davanti ai miei occhi, improvvisarmi sociologo. Lo so, lo so, mi diverto con poco e sono anche strano. Anche se io preferisco il più evocativo ‘folle’.
Tornando a quella sera.
La cupola lasciava entrare la luce, così che si potesse ballare e ammirare lo skyline insieme al cielo stellato, tuttavia non permetteva alle onde luminose, e a quelle sonore, di uscirne con facilità, avete presente l’effetto blur che usate spesso su Pix? Immaginatelo su una enorme superficie di vetro e in diretta live. Impressionante. O lo sarebbe se solo vi fermaste a guardarlo.
C’era una altra cosa che era davvero impressionante quella sera. Però sono un pizzico sadico e la lascerò per dopo.
Dicevo? Ah si, la cupola. Insomma, chi era all’esterno ne veniva scaldato abbastanza da non sentire freddo e da non sudare se cominciavi a scatenarti anche là fuori (o se la vostra idea era avvinghiarvi e pomiciare), e si, la musica arrivava anch’essa con l’effetto blur! leggera, tenue, ovattata. E dato che il suono era per nulla soporifero potevi goderti la festa anche da lì.
Ma io no.
Io dovevo andare in pista. Ballare come uno che al posto della schiena ha un palo d’acciaio, che invece di rilasciare endorfine pareva l’avessero colpito con un taser sfortunatamente non abbastanza potente da fermare quello scempio che mi ostinavo a chiamare ballo.
Non fatevi un’idea sbagliata, sono un grande ballerino io, solo non quella sera, con quelle luci impazzite e le tensioni che mi portavo dentro. Avevo deciso di andarci lo stesso, alla festa, solo perché l’avevo circa promesso ad Alex e perché ci sarebbe stata anche Lucy.
Me l’aveva chiesto anche lei, qualche giorno prima, se ci sarei andato. Ovviamente risposi di sì, non potevo far volare via un’occasione come quella. Avevo pensato che le avrei parlato, avremmo ballato insieme magari, bevuto qualcosa e, se le cose fossero andate per il verso giusto, avremmo ammirato insieme le stelle. (Dopodiché partono le fantasie romantiche che vi salverò dal sentire)
Lucy è davvero stupenda, di uno stupore a tratti terribile, ma che lascia intravedere la meraviglia che porta dentro. Non è solo ‘bella’, è lei stessa l’Arte che ha deciso di prendere forma umana! non riesco a non pensare a lei, e quando siamo insieme vorrei che non finisse mai. Forse esagero nel descriverla così, ma perché non dovremmo esagerare? Un pochino, qualche volta, andare oltre ciò che pensiamo sempre, trovare nuovi modi di descrivere una persona o una situazione. Esagerare è entusiasmante, stimolante. Un po’ come lei. Mi piace ascoltarla e parlarle, i nostri discorsi non hanno ne capo ne coda, prendono spunto da qualunque cosa e spesso si concludono con i nostri sguardi incrociati, immobili, che nascondono due anime cariche di curiosità e di vita. Vorrei baciarla in quei momenti.
Purtroppo non ho ancora trovato l’audacia necessaria.
Però stavo ballando dai. È già di per sé un evento degno di nota.
Torniamo quindi a quella sera.
Stavo ballando con Alex, beh non esattamente con lui, diciamo vicino. Lui è molto bravo, si lascia andare facilmente, si rilassa, se poi gli date un goccio di qualcosa (non serve sia alcohol, basta che lo spacciate per tale) vi diventa una sorta di Elvis del 22° secolo, con tanto di mosse del bacino che ho ragione di pensare si studi a casa quando nessuno lo vede.
Insomma quella era la notte delle nostre vite, non lo sapevo ancora, sapete anche voi che stavo ballando. Lo scrivo prima che i ricordi svaniscano un’altra volta. Si divertono così. Vanno e vengono, credo si modifichino, per questo li scrivo. Purtroppo il mio blocco note è lindo e pulito ogni volta che mi risveglio, non ho idea di dove io mi trovi, ne se io sia ancora vivo (qualunque cosa questo possa significare)
Sentivo i bassi nella pancia e fin nelle ossa, i suoni, le melodie, la musica scorreva in me. Le mie vene erano intrecciate con le note e le armonie e, come poi scoprii, anche con dell’altro.
Mentre ero lì che mi improvvisavo disinvolto vidi il suo volto, prima i capelli poi il profilo, infine il suo viso. Inconfondibile. Ero felice. Essere lì quella notte, dopo quello che era successo, ne era valsa la pena. Valeva sempre la pena, anzi di più, ogni volta che la vedevo era come nascere di nuovo, come una fulmine di energia che ti entra fin nell’anima.
Lei era lì.
Lei era lì. Tra la folla. Con un’amica. Scatenata. Bellissima. Meravigliosa.
Volevo a tutti i costi andare da lei.
- ora o mai più Nico, quanto sei disposto a rischiare? rischio tutto, voglio lei, ecco cosa voglio, si, non conta null’altro, questa è la mia vita e io decido come viverla -
Ero così concentrato sul motivarmi che accettai un drink, uno di quelli che lo staff porta sui vassoi alle feste formali, come i Gala.
Cristo! Avrei dovuto notarlo. Non era un cazzo di Gala quello! Una festa per giovani scatenati e un cameriere con un vassoio?! Andiamo! O ero così fatto dalla vista di Lucy o non ricordo più una bega. Spero che almeno lei fosse reale…
Ecco cosa credo di ricordare:
Bevvi il drink, non sapevo cosa fosse, ne lo so ora. Però a pensarci … forse, chi può saperlo … devo trovare un modo … uscire di qui.
Sempre che qui abbia un significato nella - dimensione? - in cui mi trovo.
Nella mia testa partì qualcosa, una connessione inaspettata, il rilascio di una nuova sostanza, potevo quasi sentire - e di fatto lo immaginai - il mio sistema nervoso che cercava di comprenderne la natura chimica, se fosse dannosa o meno e nel caso come smaltirla. In tutto questo processo qualcosa si spezzò e i miei freni inibitori vennero meno.
Ho cercato, credo, di rimuovere, o per lo meno di non pensare, a cosa successe immediatamente dopo. Per dovere di cronaca, per i posteri, e per me stesso in primis (dato che non so se domani lo ricorderò) vi descriverò i fatti, in sintesi.
Ciò che bevvi non solo mi rilassò, dopo poco un’insolita euforia diffusa nelle mie membra mi spinse a ballare, o meglio a scatenare il ballerino che era sempre stato in me.
Letteralmente ero diventato un’altro tipo di persona.
Oppure era una parte di me prima in catene e ora libera.
Se mi fossi osservato dall’esterno non credo mi sarei riconosciuto, e fu ciò che successe.
Ricordo una canzone, famosa nel 21° secolo e che era stata la gloria di un dj fuori dal comune, che saprei riconoscere anche solo dalla prima nota, e che non posso far a meno di sentire nelle vene. Con quella in sottofondo muoverei il corpo anche se fossi in un museo o su un palco davanti a centinai di persone.
Forse anche questo era stato scelto, così come il drink e non so ancora cos’altro. Ci stiamo arrivando.
come on!
scatenati!
oh si, cosi!
chi l’avrebbe mai detto, sono disinvolto mentre ballo in pubblico. la mia canzone preferita.
una di quelle insomma. che roba!
ma è fantastico!
dovrei farlo più spesso…
e mentre questi e altri pensieri mi occupavano la mente, o ciò che ne era rimasto, notai che si andava creando uno spazio, attorno a me, le persone si spostavano, felici, senza disprezzo nei loro occhi, anzi sorridevano. Osservano me e continuavano a scatenarsi…
aspetta un secondo…
quella lì!
sta, stanno imitando le mie “mosse”?
perché? che succede?
così mi guardai intorno, voltai lo sguardo più volte, ero da solo al centro di quel cerchio imperfetto.
Sapete cosa accade in momenti così? Forse lo sapete.
Si fece strada fra la folla, mi volteggiò intorno e colpì.
La sensazione di panico, di incredulità, non capivo cosa stava succedendo, o forse mi rifiutavo di vederlo, o forse ancora era già stato tutto pensato, da qualcuno.
Panico
Il panico porta con sé azioni irrazionali.
Sbattei le palpebre più volte e con forza, accettai la sfida, feci un respiro forse troppo corto.
Fuga
Camminavo, spingevo, correvo e inciampavo.
Cercavo di ricordare dove fosse l’ingresso e quindi la salvezza, ma non è facile, anzi può essere fuorviante, far ricorso alla memoria fotografica quando il tuo stato mentale è tutt’altro che razionale. Non ero cosciente. Non credo almeno. La mia era una serie di movimenti sconclusionati, elaborati dalle emozioni invece che dal cervello.
Mentre la canzone sembrava anch’essa inciampare sulle noti finali, una porta familiare entrò nel mio campo visivo, ed io rallentai la corsa per non abbatterla con il peso delle mie paure.
ok…porta, mitico
maniglia…apri la porta, da che parte, ok…spingi…
scale…ok Nico piano, non vorrai cadere…
scendi, uhh, che fatica…non ero così stanco dieci minuti fa,
… …
non…, era questa per uscire?, a che piano siamo?
sarà questa, si dai è questa…
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