Non mi diede il tempo di pensare a cosa mi sarebbe successo in quella nuova “situazione” che la sua mano dalle lunghe dita pallide mi strinse con eccessiva forza il braccio, tanto da farmi gemere per il dolore. Mi trascinò per tutto il corridoio di quell’insolita prigione fino ad arrivare a un piccola rampa di scale e poi ad una porta semi aperta.
Ero come una bambola nelle sue mani, ero così stanco che avrebbe potuto farmi qualunque cosa, io non avrei reagito e non mi sarei opposto, almeno fisicamente. Riuscivo a tenere a malapena gli occhi aperti, persino camminare era difficile: cercavo di non inciampare sui miei stessi passi.
Le mie speranze che tutto quello fosse stato un semplice sogno, o meglio incubo, erano state cancellate dal dolore provato in precedenza a causa del morso, dolore che continuava ancora a tormentarmi il collo e parte della spalla.
Tutto ciò era vero.
Non appena superamo la porta ci ritrovammo in un ambiente molto piccolo: uno sgabuzzino buio e spoglio. Davanti a noi c’era un’altra porta.
Superammo anche quella e questa volta ci ritrovammo in un ambiente quasi immenso, illuminato ed elegante: tutto il contrario di quello di prima.
Era così grande…
In confronto anche l’uomo accanto a me era minuscolo e io ancora di più, addirittura inesistente. Candelabri, mobili, quadri, busti… ogni centimetro di quella stanza era decorato minuziosamente. Il tutto era racchiusi dai muri color avorio. Ma non c’erano finestre. La luce veniva dal grande lampadario a cascata attaccato al soffito.
Infine, due grandi rampe di scale portavano al piano superiore. Ed era lì che mi stava conducendo…
Salimmo le scale tanto velocemente che inciampai più di una volta e ogni volta quell’uomo mi tirava a se con uno strattone, costringendomi a rimettermi in piedi e a salire, l’alternativa era essere trascinato.
Entrammo in un altro corridoio, molto più corto di quello di prima e per ogni lato c’erano tre porte.
Entrammo nella prima a destra e lì, venni gettato senza alcuna delicatezza o gentilezza, come se fossi un sacco di patate. Non riuscendo a reggermi in piedi, caddi per terra e incontrai il freddo pavimento con il petto ancora nudo. Mi voltai verso di lui e incontrai il suo sguardo severo per la prima volta da quando avevamo lasciato quello che doveva essere una sottospecie di prigione sotterranea. Fino ad allora avevo visto solo la sua schiena e i lunghi capelli neri.
«Non osare uscire da questa stanza, se solo trovo la porta anche solo socchiusa ti staccherò le mani a morsi!» ordinò senza darmi alcuna scelta.
Annuii, non potendo fare altro.
Senza dire altro, uscì dalla stanza e mi chiuse dentro, ma non a chiave, forse voleva vedere se avrei veramente obbedito ai suoi ordini. L’avrei fatto sicuramente: avevo paura di lui, avevo paura di quello che mi stava succedendo e poi ero così stanco che non sarei riuscito nemmeno a scappare.
Non sapevo nemmeno dov’ero.
Ora ero solo… di nuovo. Forse era meglio rimanere solo che con lui.
Osservai meglio il posto in cui mi trovavo: era una camera da letto ed era spaziosa…
C’era un grande letto a due piazze proprio di fronte a me, attaccato alla parete, era coperto da un piumone rosso davvero molto invitante; accanto c’era un piccolo comodino in legno, di fronte c’era un gigantesco armadio che occupava tutta la parete, era uno di quelli antichi, in legno, ma molto elegante. Infine c’era una porta.
Ero curioso di vedere cosa ci fosse oltre, cosa nascondeva. Ma allo stesso tempo ne era spaventato e non solo per il suo interno… la cosa che mi spaventava di più era quel vampiro. Se mi avesse trovato lì dentro… non osavo nemmeno immaginare quello che mi avrebbe fatto. Ormai non ero altro che un animale in gabbia.
Neanche lì c’erano finestre. Di nuovo la fonte di luce era un lampadario. Il fatto che non ci fossero finestre mi metteva a disagio, quella era veramente una gabbia.
Con non pochi sforzi mi sollevai da terra e mi buttai a peso morto sul letto. Era così morbido…
Mi aveva dato davvero una stanza tutta per me? Era migliore di quella che avevo prima…
Però… lacrime calde e salate scesero dal mio viso… avevo così tanta paura. Cosa voleva lui da me? Perché io? Volevo uscire di lì e scappare via, ma a cosa sarebbe servito? Sarebbe riuscito a catturarmi di nuovo. E se anche fossi scappato? Dove sarei andato? Non sapevo nemmeno dove mi trovavo…
Mi rannicchiai al centro di quel vasto e morbido letto e continuai a piangere, finché, in preda alla stanchezza, mi addormentai, sprofondando di nuovo nelle tenebre di cui avevo tanta paura, ma ad aspettarmi non c’erano sogni, ma solo incubi.
Incubi ricamati con un sottile velo di oscurità che mi accompagnavano da tanto tempo. Ormai ne riconoscevo le forme.
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