Era così irresistibile! Quando era entrato dalla porta, imbarazzato di aver indosso un semplice accappatoio, con i capelli ancora bagnati che gli incorniciavano quel viso leggermente arrossato per l’imbarazzo e gli occhi che vagavano per la stanza senza sapere dove posarsi... avrei voluto saltargli addosso.
Tutto di lui era perfetto, pure quelle labbra leggermente dischiuse e gonfie che avrei tanto voluto mordere.
Per non parlare del suo corpo!
Quel corpicino che cercava insistentemente di nascondere il più possibile con quell’accappatoio. Già lo stavo spogliando con gli occhi!
Avevo immaginato uno spettacolo simile quando l’avevo mandato in bagno, sapendo che lì c’erano altri abiti. Ma niente di quello che avevo immaginato era paragonabile a questo.
Quando gli chiesi cosa stesse facendo lì fermo a non fare niente, lui abbassò lo sguardo intimorito e non poté notare la mia lingua leccare le mie labbra con fare famelico.
Mi avvicinai a lui, proprio come una belva si avvicina alla sua preda, pronto a farlo mio.
Gli cinsi la vita con il mio braccio, scontrando il mio petto con il suo. Gli passai l’altra mano nei capelli.
Era così… invitante!
L’avrei sicuramente morso, se non avessi sentito quel dolce profumo…
Rimasi fermo ad assaporare quell’essenza dolce per non so quanto tempo. Il suo corpicino contro il mio petto tremava come una foglia.
Era uguale a lui… in tutto e per tutto: il modo in cui si muoveva, l’atteggiamento timido, lo sguardo insicuro… forse anche il suo corpo…
Sorrisi a quel pensiero perverso: volevo umiliarlo, piegarlo, farlo mio, rendere un sogno di vendetta reale. Mi sarei potuto vendicare su quel corpo, l’avrei utilizzato come capro espiatorio. Avrebbe soddisfatto tutti i miei desideri.
Quello si era già calmato e stava fermo, appoggiato al mio petto, non più timoroso.
L’occasione perfetta!
Continuai ad accarezzargli la testa ancora bagnata e, senza che se ne accorgesse, feci scivolare una mano sotto l’accappatoio e accarezzai la sua pelle liscia e morbida.
Lui se ne accorse subito e sollevò il suo sguardo sui miei occhi, era preoccupato. Il suo corpo fu investito da un nuovo tremore.
Ghignai e spostai la mano dai capelli al suo fianco e lo strinsi, facendo scontrare del tutto i nostri corpi, impedendogli ogni via di fuga.
Aprì la bocca cercando di dire qualcosa, ma non uscì niente dalle sue labbra se non aria.
Quelle belle labbra rosse erano così invitanti, non potevo farmele scappare in quel modo…
Mi abbassai su quelle labbra e le baciai.
Un bacio semplice, solo per assaporarle lentamente, per scoprire il suo sapore, ci sarebbe stato tutto il tempo per prenderle con la forza e coinvolgerlo in un bacio più appassionato.
Ma lui non si mosse, era come argilla nelle mie mani… Era così vulnerabile ed ingenuo.
Proprio come lui.
Mi sarei divertito a sottometterlo e a farlo mio!
Passai la mano che era sotto l’accappatoio sulla sua schiena, sfiorandola delicatamente, fino al marchio che gli aveva impresso.
S’irrigidì di corpo. L’avevo in pugno!
Mi staccai dalle sue labbra.
«Cosa vuoi?» gli soffiai all’orecchio.
Lui non rispose, almeno, non con la bocca. I suoi occhi erano fissi suoi miei e dicevano, anzi urlavano “Basta”, ma io non mi sarei fermato. Il terrore si era impadronito di quel corpicino e piccole lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi occhi.
Non potevo più resistere!
Lo sollevai di peso e lo gettai sul letto. Prima che potesse muoversi io ero già sopra di lui, impedendogli ancora una volta la via di fuga.
Lo ammirai in tutta la sua bellezza: la carnagione chiara, leggermente arrossata sulle guance, il corpo, esile e magro, che tremava sotto il mio, coperto solo da quell’accappatoio che copriva ingiustamente alcuni pezzi di pelle e il suo sguardo terrorizzato.
Abbassai di nuovo il mio viso sul suo e lo baciai di nuovo, ma con più forza e passione.
Il suo stato di terrore svanì del tutto e cominciò a ribellarsi, sottraendosi al bacio e cercando di respingermi.
«Smettila! Smettila! Ti prego…»
Perché smettere? Perché privarmi di un frutto dolce come te?
Gli afferrai i polsi e li bloccai sopra la sua testa con una mano. Lo fulminai con lo sguardo e mi avvicinai ancora una volta, ma minaccioso.
«Non azzardarti mai più a darmi degli ordini!» tuonai.
Bastò che mi concentrassi solo un po’ e subito vidi i suoi occhi spalancarsi di colpo, insieme alla bocca, e inarcare la schiena in avanti.
Un grido di dolore straziante uscì dalla sua bocca e incessanti lacrime uscirono dai suoi occhi.
Sorrisi a quella visione: quel corpo, torturato dal dolore e dalla sofferenza, era così bello…
«Per-per…perdonami…» mi supplicò pieno di disperazione.
Anche le sue preghiere erano così dolci, da assaporare lentamente. Tutto lo rendeva sempre più bello, sempre più desiderato.
Gli leccai la guancia assaporando quelle lacrime cristalline. Le avrei rese il mio nettare, la mia acqua…
Le sue grida sarebbero state la mia musica.
E il suo corpo sarebbe diventato il mio nutrimento principale.
Fermai le sue grida e il suo dolore.
Quel marchio per la sottomissione sarebbe stato molto più utile del previsto.
Incastrai una gamba tra le sue e mi stesi del tutto su di lui.
Mi guardò terrorizzato, supplicandomi ancora una volta con i suoi occhi da cucciolo.
Sorrisi e mi protesi verso di lui, pronto a mordergli la spalla.
Ma qualcuno si intromise!
La porta si spalancò mostrando una figura alta.
«Cosa ci fai qui?» chiesi girandomi verso di lui.
La figura entrò mostrandosi in tutta la sua insopportabilità. L’unica persona che non volevo incontrare e che non doveva interrompere quello che stavo facendo si era palesato nella mia stanza indossando sempre quel suo sorriso da ebete.
Era un uomo sulla quarantina, alto e robusto, con i capelli castani leggermente striati di bianco, proprio come la barba. Gli occhi erano di un azzurro cielo, molto intenso, la pelle era di un colorito rosato, con le prime righe ben visibili sulla fronte e le labbra sottili incurvate in un perenne sorriso.
«Ho per caso interrotto qualcosa?» chiese ironico, entrando nella mia stanza senza il mio permesso.
«Ovviamente!» risposi acido.
Oscar, l’uomo appena entrato, si accorse solo dopo qualche secondo e dopo essersi avvicinato della presenza del ragazzino sotto di me e ne fu subito meravigliato. Riuscivo già ad immaginarmi cosa stesse pensando. Ma non smise di sorridere.
Infastidito dalla sua presenza, mi sollevai dal letto, liberando il ragazzino e, una volta in piedi, mi misi di fronte Oscar, con le braccia incrociate e lo sguardo serio. Ma quello non sembrò minimamente interessato e continuò ad osservare il ragazzo.
Ero geloso, come osava lui guardarlo in quel modo, come se io non esistessi.
«Molto… curioso da parte tua prendenti un essere umano. Dopo tutto questo tempo poi! E poi è uguale a…»
«Non sono affari tuoi!» gridai.
Il ragazzino nel frattempo si sistemò, coprendosi il corpo con l’accappatoio, imbarazzato.
Potevo perfettamente immaginarmi le sue guance arrossate e gli occhi gonfi per il pianto.
Oscar non mi degnò nemmeno di uno sguardo e, prima che potessi fermarlo, si sedette accanto al ragazzo guadandolo con occhi illuminati e un sorriso perenne sulle labbra.
«Ciao.» gli tese la mano.
Il ragazzino lo guardò perplesso, senza smettere di tremare e quando Oscar si avvicinò lui indietreggiò.
«Non aver paura di me. Non sono come quel cattivone di Thomas.» alla fine aggiunse una risata.
Che imbecille! Avrei tanto voluto staccargli la testa.
Il ragazzo prima guardò Oscar e poi me, confuso. In effetti, quella era la prima volta che sentiva il mio nome, ma io ancora non sapevo il suo. Non glielo avevo nemmeno chiesto.
Dopo qualche secondo di esitazione, ma sempre impaurito strinse la mano di Oscar.
«Io sono Oscar, ma chiamami zio Oscar. Tu come ti chiami? »
Il ragazzo sembrò essere preso alla sprovvista e per un attimo cercò il mio sguardo, ma dopo si voltò di nuovo verso Oscar.
«Rei…» lo disse a bassa voce, un sussurro, come se ne avesse paura.
Rei…
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