Erano giorni che non lo incontravo. Mi aveva affidato alle cure di Margaret e se ne era lavato le mani, non aveva fatto altro, era semplicemente sparito, chiuso dietro quella misteriosa porta e non era più uscito. Mi aveva anche permesso di dormire sul suo letto.
Margaret però non era di grande compagnia. Entrava, mi portava da mangiare ed usciva senza fare nessun rumore; parlava solo se glielo chiedevo e le sue risposte erano per lo più monosillabi. Non potevo nemmeno uscire dalla stanza senza il suo permesso e quando potevo lo spazio era limitato: potevo solo camminare per quel piccolo corridoio per andare in bagno e Margaret rimaneva fuori, facendomi la guardia e se non emettevo qualche suono o qualcosa che indicasse la mia presenza era autorizzata ad entrare senza nessun preavviso attraversando il muro. La prima volta che lo fece quasi svenni.
Anche quel giorno Margaret stava servendo silenziosamente il pranzo.
«Margaret.» la chiamai mentre stavo seduto sul letto ad osservarla con le gambe che penzolavano dal materasso.
La donna sollevò leggermente il capo e posò il vassoio sul comodino.
«Sì, signorino.»
Lo spettro portò le mani dietro la schiena assumendo una posizione più eretta.
«Il padrone Thomas…» strinsi i pugni sulle ginocchia, non trovando il coraggio per parlare, ma dovevo chiederglielo «Il padrone Thomas che tipo è?»
La donna sembrò quasi stupita da quella domanda, ma assunse di nuovo un’espressione seria e disse: «Non sono io a doverle parlare del padrone, io sono solo una serva e come tale non mi permetterei mai di parare del padrone in sua assenza.»
Abbassai lo sguardo imbarazzato.
«Beh, io…»
«Signorino,» mi interruppe la donna assumendo un tono di voce più alto «Se vuole sapere qualcosa sul padrone lo chieda a lui, ma non deve assolutamente disturbarlo mentre è nel suo studio, sta lavorando duramente negli ultimi giorni e ogni minima distrazione potrebbe interferire con il suo operato.» mi ammonì la donna.
«Starà via ancora per molto?» chiese quasi spaventato dalla donna.
«Si prenderà tutto il tempo di cui avrà di bisogno, nemmeno io saprei dire per quanto tempo dovrà ancora lavorare.»
Quella donna non aveva risposto a nessuna delle mie domande, le stava solo aggirando. Era inutile parlare con lei.
Dopodiché uscì con lo stesso silenzio con cui era entrata e io rimasi da solo.
Di nuovo.
La stanza venne chiusa a chiave, come ogni altra volta. Avevano paura che scappassi? E per andare dove?
Non sapevo nemmeno dove mi trovavo, sarebbe stato tutto inutile e probabilmente Thomas mi avrebbe anche punito…
Però… mi sentivo solo. Chiunque o qualunque cosa sarebbe stato di più compagnia di quell’innaturale ed inquietante silenzio che aleggiava nella stanza.
Mi mancava Thomas…
Forse, mi sarebbe bastato bussare alla porta…
A cosa stavo pensando?! Quello era un mostro! E Margaret era stata categorica, non avrei dovuto disturbarlo.
Guardai il vassoio, sopra c’era un toast e un uovo sodo. Era colazione.
Senza una finestra in quella stanza era quasi impossibile capire che ora fosse, solo il pasto che mi veniva servito indicava che parte del giorno fosse.
Mi mancava anche la luce del sole.
∞
Erano passati cinque giorni ormai da quando ero stato portato in quella casa e rischiavo seriamente di morire di solitudine. Ero rannicchiato sul letto guardando l’unica via di fuga da quella prigione.
Qualcuno bussò alla porta.
Portai la mia attenzione a quel rumore per me paradisiaco e subito dopo una figura femminile attraversò la porta.
Ogni speranza che avevo provato si era spenta mentre lo spettro si posizionò di fronte a me e sorrise.
Era giovane, poteva avere qualche anno più di me, almeno dall’aspetto, ed era anche molto carina. I lunghi capelli castani erano raccolti in due code ai lati della testa, gli occhi erano di un verde intenso, quasi innaturale. Be, lei era innaturale. Era uno spettro!
«Salve signorino!» disse allargando il suo sorriso, per poi posare lo sguardo sul vassoio rimasto intatto sopra al comodino, quella era la cena. «Signorino, non ha mangiato! È già la quarta volta che salto il pasto! Rischia di ammalarsi!»
La lasciai parlare rimanendo in silenzio senza nemmeno guardarla.
La ragazza sembrò indispettirsi e si sedette sul letto, prendendo tra le mani il vassoio e posandolo sulle sue gambe.
«Forza, faccia AH»
Mi credeva per caso un bambino?
Scostai il cucchiaio che aveva avvicinato alle mie labbra. Non volevo mangiare.
«Signorino, deve mangiare o si ammalerà, se non mangia il padrone Thomas si arrabbierà con noi.»
«Non sono fatti miei!»
«Ma…»
«VATTENE!» gridai scattando in piedi.
Mi aveva seriamente fatto arrabbiare, come faceva ad essere così cocciuta?
Però avevo trasgredito una regola importante.
La porta dello studio di Thomas si spalancò mostrando un adirato vampiro sul punto di uccidere qualcuno.
Il cuore mi si fermò in gola, mentre il sudore cominciava ad imperlarmi la fronte. La persona più adorata e temuta si trovava dinanzi a me con il viso contratto in un’espressione di disapprovazione. Le occhiaie sottolineavano ancora di più la sua rabbia.
«Cos’è tutto questo baccano?» chiese soffermando il suo sguardo severo su di me.
«Io-Io…» le parole mi morirono in gola.
La serva, che fino a pochi secondi prima stava seduta sul letto, si alzò e abbassò il capo in segno di rispetto, ma un leggero tremore tradiva la calma che ostentava a dimostrare.
«Esci da qui!» ordinò Thomas.
La serva annuì e rimasi solo con lui.
Gli occhi si gonfiarono di lacrime e mi gettai ai suoi piedi con la disperazione che mi stava divorando dentro.
«Mi dispiace, non lo farò più. Mi dispiace…»
Quello si ritrasse e mi osservò disgustato.
«Ti ho permesso di dormire sul mio letto, ti ho nutrito, dato vestiti nuovi e concesso la libertà di muoverti dentro la MIA stanza e in cambio ho chiesto solo del silenzio. Ma tu,» si abbassò sulle ginocchia e strinse la sua mano tra i miei capelli costringendomi ad osservare il suo viso «Tu ti sei permesso di alzare la voce e distrarmi dal mio lavoro! Sai questo cosa significa?»
«Chiedo scusa…» sussurrai con le lacrime agli occhi.
Thomas ghignò mostrando i due canini perfettamente bianchi e affilati.
«Rei, avresti già dovuto capirlo.» si avvicinò al mio orecchio e sussurrò. «Non me ne faccio niente delle tue scuse!»
Era la prima volta che mi chiamava per nome ma un dolore lancinante mi distrasse da quel particolare. Era talmente forte da farmi gridare e interrompere qualunque pensiero. Thomas affondò ancora di più i denti nella mia carne. La sensazione che mi venisse strappata via anche l’anima invase il mio corpo.
Era troppo doloroso, non riuscivo a resistere.
Trovai la forza in non so quale modo e lo respinsi via e mi trascinai lontano da lui stringendomi la spalla con la mano sinistra.
Thomas, con viso adirato, si ripulì le labbra dal sangue e si sollevò da terra avvicinandosi a me più che minaccioso.
Il viso pallido aveva assunto una colorazione rosata, mentre gli occhi erano ridotti a due piccolissime fessure.
«Brutto moccioso!» gridò rovesciando per terra il comodino e con esso il vassoio e il suo contenuto.
«No-no… la prego, io… io farò qualunque cosa, ma la prego, non mi faccia del male…»
Alzai lo sguardo e vidi il suo viso a pochi centimetri dal mio.
«Qualunque cosa?» chiese con un ghigno dipinto sulle labbra.
Thomas si sedette sul letto, incrociando le braccia al petto e accavallando le gambe.
Perché avevo detto una cosa del genere? Io non volevo…
Mi pentii immediatamente di quello che avevo detto, ma non potevo ritirarmi.
Deglutii quella poca saliva che mi era rimasta in bocca e annuii.
Thomas rise mostrando i denti perfettamente bianchi.
«Allora, spogliati!»
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