«Devo occuparmi del suo cavallo per un mese e mezzo» Sorrisi «Secondo te è proprio quel cavallo, papà? Sembra diverso da com'è in arena»
«Le cose sembrano sempre diverse quando le vedi nella realtà» rispose papà «E adesso al lavoro! Quel cavallino sarà affamato».
La PRENOT di mio padre si illuminò tra le sue mani, prendendo me di sorpresa, ma non lui. La alzò all'altezza del proprio volto con aria concentrata, leggendo in fretta le lettere di luce e fumo.
Mio malgrado, io provai a decifrare il messaggio misterioso, ma mi scoraggiai dopo aver letto le prime parole: “la morte dopo il matrimonio”. La vecchia PRENOT era impossibile. Comunque, qualunque cosa ci fosse scritta, non sembrava qualcosa in cui potessi aver voglia di invischiarmi.
Anche il cavallo sembrava interessato e si sporse verso la luce azzurra per lanciare un'occhiata, dando una scrollata alla meravigliosa coda scura.
«La morte?» ripetei, alzando un sopracciglio
«Oh, bisogna mettere tutto in ordine, lo sai. Migliorerai presto, vedrai. È solo che non hai avuto il quadro completo, devi leggere anche il resto».
«... Il matrimonio?».
Papà mi fece un mezzo sorriso e diede una pacca delicata al collo del cavallo.
Non si voltò, ma rise e mi rassicurò che non lo avrebbe fatto, quando gli gridai dietro: «Papà, non coinvolgerci in cose criminali!».
Il cavallo, come scoprii subito dopo, aveva davvero fame. Però non mangiava.
Annusava tutto ciò che gli offrivo, sembrava interessato, ma all'ultimo si tirava indietro e mi guardava come se si aspettasse qualcos'altro. Quegli occhi riuscivano a comunicarmi quanto fosse una creatura fiera ed intelligente, certo, ma assolutamente non quale fosse il problema.
Mi preoccupai immediatamente. I cavalli sono animali forti, ma per certi versi anche estremamente delicati. Gli basta mangiare troppo per avere problemi seri, dato che non riescono a vomitare, e ci sono tanti piccoli accorgimenti per tenerli in forma.
Accorgimenti di cui io sapevo poco.
«Ti prego, non morire» Dissi all'animale, e giuro che mi guardò con tanto rimprovero che mi ridimensionai immediatamente. Alzai le mani «Okay, okay, sono stata un po' esagerata. Ma come faccio a capire cos'hai? Hai il mal di gola? Un'infezione? Non ti piace niente? Cosa ti devo dare?».
Il cavallo distolse lo sguardo con sufficienza, guardando la parete.
Mi scervellai per qualche secondo. Sembrava indifferente alla biada ed all'avena. Magari semplicemente non aveva fame? No, no, mi sfuggiva qualcosa.
Mio padre era un maestro nel calcolare i bisogni dei propri ospiti, cosa che quel cavallo era diventato nel momento in cui gli era stata preparata una stanza, e se lui diceva che doveva essere affamato allora doveva essere così.
«Aspettami qui» Mi raccomandai, pur sapendo che non sarebbe andato da nessuna parte.
Magari era solo un cavallo molto viziato, oppure delle leccornie l'avrebbero convinto a mettere qualcosa sotto i denti. Cos'era che piaceva ai cavalli? Da quello che avevo letto e visto, andavano matti per le zollette di zucchero, i pomi nottebrilli e le carote.
Probabilmente la cosa più facile da reperire in quel momento erano i pomi, dato che ne avevamo sempre una scorta sostanziosa per le cucine: erano alla base di diverse preparazioni dolci ed erano frutti versatili, facili da coltivare e pulire e di bell'aspetto.
Tutta Cactoria li usava! Mentre nelle Terre Sprecate nell'estremo ovest di Cactoria ne fanno dei tortini triangolari da consumare in cammino, gli elfi di foresta pigmei ne fanno una purea che mangiano con le mani, la quale, dato che sono notturni, gli illumina dita e viso facendoli sembrare eccezionalmente sporchi.
Insomma, ne esistevano centaia di varianti, ma rimaneva il fatto che fosse molto popolare.
Dovevo ammettere che il sapore non era eccezionale in sé. Io stessa quando ne avevo tempo mi dilettavo a preparare qualcosa da mangiare – e papà era la cavia dei miei esperimenti –, ma ogni volta che dovevo usare dei pomi nottebrilli mi premuravo di combinarli con ingredienti che ne smorzasse l'eccessiva dolcezza. Cosa c'era di tanto bello in questi frutti? Beh, brillavano.
E ti distraevano dall'ansia nell'immaginare il cavallo del tuo mito che si sentiva male mentre era sotto le tue cure.
Cosa c'è di meglio di qualcosa di bello, luminoso, colorato, profumato e che puoi mangiare?
Lo stesso effetto si sarebbe potuto facilmente avere usando la magia sul cibo, ovviamente, ma molte persone non si fidano a mangiare del cibo chiaramente incantato, pensano che non sia, come dire, vero. Da un lato io non ho problemi e trovo che la magia sia un modo come un altro di migliorare il migliorabile, avevo mangiato cibi fantasiosi e lo avrei rifatto... ma capisco la diffidenza, specie se non si conosce l'incantatore. La storia è piena di caramelle che ti fanno vomitare e mele soporifere.
O peggio.
Non avevo voglia di incappare in Nihal, che era di pessimo umore, o tantomeno i terrificanti ispettori di igiene (come faceva Aria ad essere così calma? Probabilmente sentiva di non aver nulla da temere considerato quanto lei stessa ci tenesse alla pulizia), perciò decisi di entrare nella nostra camera personale.
Appena avessi smesso davvero il mio turno dovevo assolutamente fare un salto in biblioteca per leggere qualcosa di più su come curare un cavallo.
Come vi ho già accennato, il Cammino delle Leggende non era solo una taverna: i viandanti che percorrevano la Strada Azzurra potevano anche fermarsi per riposare, sotto adeguato compenso, in camere comode e pulite.
Per me e papà il Cammino delle Leggende era tutta la nostra vita: ci lavoravamo, ci mangiavamo, ci vivevamo. La nostra camera era grande come un appartamento un po' modesto, anche se la mobilia era bella e antica, e probabilmente se un ladro fosse riuscito a passare le misure di sicurezza avrebbe potuto fare una bella vita per una decina d'anni, spendendo responsabilmente i soldi ricavati dall'incursione. Da quando ci vivevo la mobilia non era mai cambiata e mio padre mi aveva assicurato che molto di quell'arredamento aveva conosciuto i nostri avi Cigna di molte, molte generazioni fa.
Avevamo anche la nostra dispensa personale, a cui Aria non aveva accesso per soddisfare i nostri ospiti, ed era lì che mi procurai ciò che mi serviva.
Presi una ventina di pomi brillanotte – non sono frutti molto grandi, anche se sono tanto succosi e l'odore, quello sì, vale la pena – e li posi in un sacco grezzo, avvolgendone l'estremità con un cordone per non farli rotolare via e tornai alla stalla.
Il cavallo, con mio gran sollievo, era ancora lì ed ancora vivo.
Mi guardò con curiosità, mentre mi avvicinavo a passettini. Poggiai il sacco a terra e ne estrassi una manciata di pomi, che tesi verso il magnifico destriero come le mani a coppa.
Erano un mix di maturi ed immaturi, quindi alcuni avevano il caratteristico blu notte pulsante di luce, mentre altri erano ancora gialli o verdi. Il cavallo tese il collo robusto per annusarli, interessato.
«Sììì, mangia» Lo esortai «Mangia, per favore».
Il cavallo mi guardò di sottecchi, alzando le folte e lunghe ciglia scure, poi addentò uno dei pomi.
Lo tenne in bocca per qualche secondo, soppesando il sapore, poi iniziò a masticare.
Mi sentii sgonfiare come un palloncino dal sollievo. Oh, il cavallo di Undertaker non sarebbe morto. Immaginarsi costretta a rivelare in prima persona al mio gladiatore preferito, un essere di razza incerta alto più di due metri, che il suo cavallo era deceduto per colpa mia non era bello, no, niente affatto bello...
Ridacchiai nervosamente.
«Bravo, mangia cavallino! Mangia!».
L'animale batté le lunghe ciglia, mi guardò schifato, e poi mangiò un'altro pomo come se mi stesse facendo un grande favore. Non avrei mai immaginato che un cavallo potesse essere così tanto snob.
Rimasi con le braccia alzate, a porgere i nottebrilli al cavallo, per così tanto tempo che alla fine mi facevano male le spalle. Mossi le braccia con piccoli movimenti circolari.
Il cavallo frustò l'aria con la coda, un'aria vagamente scocciata dipinta sul muso, poi mi diede le spalle. Beh, ero comunque contenta.
«Bravo cavallino! Tornerò più tardi. Riposati» Diedi una piccola pacca sul posteriore dell'animale e riuscii ad evitare per un soffio un calcio che mi avrebbe potuta spedire dritta dal più vicino guaritore. Con il cuore in gola, mi allontanai piano piano, indietreggiando. Per un momento mi ero scordata che il bestione era un fiero destriero da battaglia, capace di spappolarmi come io avrei fatto con una zecca.
«Allora... me ne vado...» Dissi a bassa voce.
E il cavallo si girò a guardarmi, con le narici dilatate. C'era un certo allarme dipinto nei suoi occhi espressivi e per un attimo credetti che mi avrebbe uccisa.
Misi avanti le mani
«Buono... buono...».
Il cavallo colpì con una zoccolata violenta il chiavistello del box, strappandolo letteralmente via dal legno, e uscì di corsa. Non ebbi neppure il tempo di iniziare a scappare: vidi l'enorme corpo nero che mi veniva incontro, un concentrato di muscoli e possenza, con i grossi denti scoperti e serrati. Ma non fui travolta. Certo, presi una brutta botta nel processo, ma l'animale mi aveva spinta in alto con un colpo di collo, facendomi volare come una bambolina, e mi ero ritrovata coricata sul suo dorso, scomodamente obliqua sulla sella.
Respirando affannosamente, mi tirai su maledicendo la paura che mi rendeva le braccia deboli e tremanti. Il cavallo continuava a correre come un forsennato. Mi sentivo lo stomaco in gola e mi aggrappai a tutto il possibile per riuscire a sedermi più comodamente sulla sella.
Mi guardai indietro: la nostra taverna, la mia casa, si allontanava sempre di più alle mie spalle. Presi un profondo respiro.
Adesso io e quella malefica bestia eravamo sulla Strada Azzurra, percorrendola a velocità tremenda, come se fossimo inseguiti dalla cavalleria dei Mordibraghe al gran completo. Provai a fermare il cavallo, ma sembrava che non ci fosse nulla capace di convincerlo a fermarsi, neppure le più sconnesse grida di terrore, neppure le più soffici parole sussurrate in un orecchio, le tirate di criniera, i colpi sul collo... niente. Come faceva Undertaker a governare quella bestia impazzita e testarda?
«FERMATI!» Gridai, più forte che potei, aggrappata alla sua criniera.
E in quel momento udii un'esplosione. Non era l'esplosione piccola e asciutta delle bombette che i ragazzi fabbricavano per divertirsi, né quella di un vecchio tartamasso che aveva concluso il suo ciclo vitale, e non era nemmeno uno degli esperimenti di Nihal che di quando in quando faceva esplodere le cose. Tutto il mio corpo si irrigidì di terrore quando fui investita da una luce violenta e girai la testa di nuovo.
La taverna era stata avvolta da fiamme alte e scarlatte, da nuvole di fumo scuro e denso.
«NO! No! Torna indietro! CAVALLO! TORNA INDIETRO!».
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