Alzai lo sguardo. Sembrava di essere in un piccolo paradiso: alberi di pomi nottebrilli selvatici, con frutti un po' più piccoli e leggermente meno brillanti di quelli coltivati, svettavano contorti sul prato costellato di fiori e vibrante del ronzio di centinaia di api, bombi, calabroni e coleotteri impollinatori. L'aria aveva l'odore di una profumeria, anzi, meglio di quello di una profumeria perché non c'erano le note alcoliche.
Ci trovavamo nella cosiddetta “zona del ristoro”, la parte centrale della Strada Azzurra, lunga più o meno sette chilometri, dove i viaggiatori si fermavano per riposarsi e nutrirsi. Più avanti, lo avevo sentito ripetere centinaia di volte, la zona del ristoro terminava bruscamente e si trasformava nella zona del pentimento, lunga una decina di chilometri, così chiamata perché di solito i viaggiatori si pentivano di avere iniziato il viaggio mentre la attraversavano.
Mi alzai e raccolsi un bel pomo maturo. Era vellutato sotto le dita e brillava tenuemente, invitante. Lo morsi. Sapeva di zucchero leggermente aromatizzato alla frutta.
La cavalla si allontanò per raggiungere un albero più alto del mio e mangiò una dozzina di frutti con voracità, schizzando parte della polpa sul prato, dove gli insetti accorsero per godere del dolcissimo banchetto.
Anche la nostra taverna, il Cammino delle Leggende, si trovava nella zona del ristoro, ma il paesaggio che vedevo dalla mia finestra era un po' diverso da questo. Qui anche la luce era strana, più bianca, e i fiori sembravano fiamme di luce a punteggiare le foglie ondeggianti, inoltre tutto era striato di piccoli e gorgoglianti ruscelli. Un ranocchio seduto su una pietra mi guardò con gli occhioni sporgenti e allungò un po' una zampetta posteriore.
«E ora?» Chiesi alla cavalla, alzando la voce per farmi sentire
«E ora sopravviviamo» mi rispose lei, ancora irritata «Mangia, dormi, bevi, fai quello che fanno le ragazzine isteriche, che ne so io».
Mi sedetti per terra e raccolsi le ginocchia contro il petto. La cavalla si sdraiò sotto l'albero, a una trentina di metri da me, e chiuse gli occhi godendosi il bel frescolino e il profumo dei fiori. Io ebbi tutto il tempo necessario per disperarmi, piangere in silenzio, disperarmi ancora, trovare un bruscolo di speranza in fondo al mio cuore, andare a fare pipì nascosta dietro un masso e cadere di nuovo nella disperazione. Probabilmente passarono sette o otto ore. La cavalla dormì per tutto il tempo, finché non iniziò a scendere il buio, poi si svegliò.
Il canto dei grilli si risvegliò nella sera come un'orchestra di strumenti d'argento e finalmente riuscii a trovare la pace.
«Andiamo» Disse la cavalla «È meglio viaggiare di notte per noi»
«Perché?» domandai, alzandomi lentamente
«Se te lo dicessi potresti avere paura. Ricordati che sei una ragazzina isterica. Adesso, se vuoi sopravvivere...».
Avevo un sonno terribile: disperarsi per otto ore di fila era stancante. Però mi alzai e seguii la cavalla, con la testa ciondolante e le palpebre che minacciavano di chiudersi a ogni passo. Mi sentivo piccola e un po' stupida, ma era sempre meglio che spaventata e disperata.
Camminai come in sogno, seguendo gli zoccoli del demone di fronte a me. Lucciole dorate sfrecciarono vicino alla mia testa.
Entrai in uno stato di dormiveglia strano, in cui non ero consapevole di essere sveglia, né di dormre, né di essere in quello stesso dormiveglia. Era un'allucinazione, o più probabilmente un diverso stato della coscienza, che si espandeva in me ad ogni passo e amplificava il rumore delle mie scarpe sull'erba come il rimbombo di un tamburo umido, sincronizzato con il mio cuore.
C'erano occhi nel buio, rotondi e illuminati, che mi seguivano. Odore di sangue nell'aria.
“Non è affatto quello che pensi, bambina mia” Disse la voce di mio padre, mentre i ranocchi saltavano per non essere schiacciati dai miei piedi. Ma mio padre non era lì, lo sapevo, eppure non mi parve strano sentire la sua voce.
«SVEGLIATI!» Mi gridò qualcuno. La sua voce era familiare, ma non la riconobbi.
Ma non c'era niente da svegliare, io non ero addormentata. Continuavo a camminare, un passo dietro l'altro, un passo dietro l'altro, un passo dietro l'altro...
Gli occhi si chiusero del tutto e non riuscii a riaprirli neanche con tutta la forza che avevo, perché le palpebre sembravano pesanti come rocce. Quando li riaprii era giorno e la cavalla non c'era più.
Mi tirai a sedere sul prato, nel panico. Ero rimasta completamente da sola? E perché questo mi faceva paura? Era meglio essere da soli che con un demone. Cercai di calmarmi e mi guardai intorno.
Niente alberi di pomi nottebrilli. Niente fiori profumati e torrentelli scroscianti, niente ranocchi o insetti. Gli alberi qui erano alti e magri, scheletrici, con la corteccia pallida. Il sottobosco era un intrico di spine secche, solo vagamente illuminato da quella poca luce che filtrava dalla massa di rami che copriva il cielo.
Ero nella zona del pentimento: ecco perché avevo paura.
Mi alzai e immeditamente me ne pentii, visto che le gambe mi facevano malissimo. Giustamente, ero nella zona del pentimento...
«Hey?» Domandai «Hey? Cavalla? Signora... signora Cavallo? C'è qualcuno?».
La mia voce rimbombò in modo alquanto sinistro e rabbrividii quando finalmente capii che non stava affatto rimbombando, ma che in lontananza qualcuno stava ripetendo solo le mie note più basse. Cosa dicevano le storie che sentivo spesso sulla zona del pentimento?
Ah, sì: che ci vivono i demoni. Forse la cavalla viveva proprio qui, ed era perciò che mi ci aveva portata. Forse voleva darmi in pasto ai suoi mostruosi cavallini-demoni figli.
Però le leggende dicevano anche altro. I demoni sono robetta da poco per gli aspiranti paladini che se ne vanno in giro con spade brillanti di luce e un un'armatura completa che li fa sembrare scatolette di tonno ambulanti, però qui c'erano cose in grado di spaventare anche loro. La fame, per esempio. O la totale assenza di acqua potabile. Le allucinazioni auditive. I non-morti.
Sperai con tutte le mie forze che niente di tutto ciò fosse vero, che quello fosse solo un postaccio orrendo dove gli alberi erano cresciuti troppo vicini tra loro e avevano finito per soffocarsi a vicenda e anche il sottobosco.
Iniziai a camminare guardandomi intorno con attenzione. Non sembrava ci fosse nient'altro oltre ai rovi morti e gli alberi quasi-morti. Non sapevo neanche in che direzioni andare, perché non sapevo da dove eravamo venuti. Mi ero persa, persissima, e non c'era neanche il muschio che mi indicasse il Nord. Il disco solare era nascosto dagli alberi: non potevo usare neanche quello per orientarmi.
«C'è nessuno?» Ripetei, ad alta voce.
Di nuovo lo strano eco, il rimbombo che mi fece venire i brividi.
Ero lontana da casa, persa nella zona del pentimento, e d'un tratto avevo iniziato a credere a tutte le storielle dei viaggiatori che avevo sempre catalogato come sciocchezze.
Qualcosa si mosse fra i rovi. Indietreggiai di colpo, anche se dal rumore doveva trattarsi solo di un piccolo animale. Ma quale piccolo animale? A Cactoria ne vivevano di innumerevoli capaci di staccarmi la faccia a morsi o sputando acido, con gli artigli o con le spine ricurve della coda. Raccolsi un bastone da terra, pronta a difendermi. Non avevo alcuna intenzione di farmi mangiare.
«Vieni avanti» Ringhiai a denti stretti «Andiamo! Vieni avanti! Assaggia la difesa micidiale dell'ultima generazione dei leggendari Cigna!».
Poco importava che i Cigna non fossero mai stati guerrieri, ma ristoratori: eravamo leggendari lo stesso.
Qualcosa di nero emerse da in mezzo ai rovi, si sedette davanti ai miei piedi e si leccò rapidamente una zampa prima di iniziare a fare le fusa.
La mia presa sul bastone si allentò immediatamente e gli occhi mi si innumidirono di gioia istantanea.
«Dracula!» Esclamai, cadendo in ginocchio (dritta sui lividi che mi ero procurata il giorno prima) «Dracula! Piccolo mio! Cosa... cosa ci fai qui?»
«Maooo ooo o» rispose il gatto, poi si strusciò contro le mie mani.
Buttai lontano il bastone per afferrare Dracula e stringermelo al petto, affondando la faccia nel morbido pelo del tuo fianco.
«Benvenuta, straniera» Disse una voce virile.
Sobbalzai e scattai in piedi. Mi sentivo più coraggiosa con un gatto in braccio, pronta a difenderlo da chiunque, ma sembrava che non ne avessi bisogno.
Di fronte a me, come incorniciato fra due alberi, c'era un uomo alto poco meno di me, con ricci capelli bianchi e vestito con una lunga tunica nera che per chissà quale miracolo era intatta. Se io fossi stata vestita così, di certo avrei fatto impigliare l'orlo in ogni singola spina della zona del pentimento.
«Salve» Risposi, un po' impacciata «Io sono... mi chiamo...»
«Non è necessario che tu mi dica il tuo nome, giovane straniera. Io sono il custode di questi luoghi, Oronzo. Avrai sentito parlare di me?».
Scossi la testa
«Devo averlo dimenticato» Dissi «Purtroppo ho molto da tenere a mente...»
«Non importa» lui continuò a sorridere come se davvero non gliene fregasse niente e si avvicinò, con il passo elegante di un elfo «Non sono qui per essere ricordato. Sono qui per aiutarvi a ricordare»
«Ah. Ok. Grazie... ehm... posso farti una domanda?»
«Certamente»
«Per caso, Oronzo, hai visto una cavalla nera? Bardata come un cavallo da spettacolo, da gladiatore, e grande» alzai una mano per indicare l'altezza alla spalla della demone-cavalla «Più o meno così»
«Certamente» lui annuì «Eri esausta quando sei arrivata stamattina. Non ho voluto spostarti dal posto in cui avevi scelto di addormentarti, ma la tua cavalla stava bene, così l'ho lavata, strigliata e le ho offerto del cibo, ma deve avere qualcosa che non va perché non l'ha accettato»
«Ah. Beh, è una cavalla strana»
«Molto bella, però. Mi ricorda uno stallone che vidi una volta, tanti anni fa, ad un match della CGI. Un glorioso cavallo da battaglia!».
Non gli dissi che con tutta probabilità si trattava dello stesso cavallo, ma sorrisi cercando di non sembrare ebete.
«Grazie mille» Dissi «Non so proprio come sdebitarmi».
Dracula mi iniziò a leccare una guancia all'improvviso, con molta insistenza.
«Un modo c'è» Rispose Oronzo, allargando un po' le braccia
«E... sarebbe?» chiesi, sperando che non facesse richieste troppo strane (o imbarazzanti)
«Oh, ma è ovvio» lui lanciò un'occhiata alle sue spalle «Non devi fare quello che sei venuta a fare»
«Come?».
Questa non me l'aspettavo. Non sapevo neanche io che cosa ero venuta a fare.
«Tutti vengono qui» Continuò Oronzo «A fare la stessa cosa. A liberare la principessa, giusto?»
«Ah, la principessa!» mi battei la fronte, ricordando tutto «La Bella Addormentata nel Bosco! Sì, sì, certo! La principessa che è stata maledetta dalla fata, quella che si è punta con un fuso, quella che poi... sì, me la ricordo adesso!».
L'uomo scosse la testa e smise di sorridere, tenendosi le mani dietro la schiena
«Se dai valore alla tua vita, alla mia vita, alla vita di tutti coloro che ami... non svegliare la principessa addormentata».
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