Trovarono gli Esorcisti del Kamidori in una delle sale per la meditazione, sulle ampie toghe di legno graffiato. Alcuni giovani dell’Onmyōdō sedevano nella posizione del loto, gli occhi immobili sui loro volti cianotici. Altri erano riversi contro le pareti, inchiodati in posizioni rigide. Sembrava un rito magico compiuto a metà tra il mondo reale e una dimensione altra. Nelle loro tonache pietrificate, parevano trasformati in statue. La nobile Chieko giaceva riversa nel centro di quel cerchio macabro, una figura esile negli ampi abiti da sacerdotessa. Ma quando la raggiunsero, e Kyōka provò a toccarla con il timore di scoprirla gelida e perduta, la donna emise un sospiro roco.
«Ragazzo,» mormorò con un fil di voce. «Alla fine sei venuto».
Kyōka afferrò la mano che lo cercava, tremante.
«Il Generale si è manifestato,» constatò Akari, mentre Yasha annusava i corpi che li circondavano, guaendo piano. La nobile Chieko inspirò a fatica:
«Sono discesi all’improvviso dalle montagne.» Le parole la abbandonavano non appena iniziava a pronunciarle. «Abbiamo cercato di trattenerli, ripristinare la barriera protettiva attorno a Setsukyo…»
«Posso aiutarvi?», mormorò Kyōka.
«Non ora, ragazzo, non qui. Sapresti innalzare un kekkai come quello che hai lasciato crollare?» La donna scosse il capo, lenta. «Non c’è tempo di insegnarti come fare. Sono arrivati tutti insieme, troppo in fretta… la città è perduta».
Akari sollevò lo sguardo per cercare quello di Kyōka. Il musicista fissava Chieko con gli occhi spalancati, i lembi delle palpebre arrossate: sul viso sconvolto gli si leggeva un senso di colpa intenso. Ma prima che Akari potesse suggerire qualsiasi cosa, la presa della nobile Chieko sul braccio del musicista si fece più urgente:
«Ragazzo mio,» la voce della donna tremolava. «Gli spiriti mi hanno parlato. Devi credermi… Non c’è più nessuno che possa contrastare demoni come il Generale. Devi andare nel mondo degli spiriti».
«Ma a che scopo?». Il tono di Kyōka era implorante. «Che differenza potrò mai fare?».
«Gli antichi Esorcisti del passato sono lì in attesa,» sospirò la donna. «Hanno bisogno della tua musica».
A quel punto l’intera struttura fu percorsa da un profondo boato. La terra tremò, fece scricchiolare il legno nell’eco vibrante della scossa, e quando tutto tornò silenzioso vi fu un secondo boato, e un terzo, l’inizio sostenuto di una marcia battuta su di un gigantesco tamburo ben teso. Yasha corse all’esterno, ringhiando.
«Non c’è più nulla che possiate fare qui,» gemette la nobile Chieko, rilasciando il braccio del musicista. «Dovete fare in fretta e andarvene».
Kyōka aveva la bocca contratta in una smorfia. All’esterno i boati si facevano più vicini, rimbombando attraverso il tempio e fin dentro alle ossa: Akari afferrò Kyōka per la spalla, lo incitò ad alzarsi, poi lo osservò mettersi in piedi e lasciare la sala senza aggiungere una parola.
Sul punto di seguirlo, Akari sentì la presa della sacerdotessa chiudersi con forza attorno al suo polso. Quando si voltò a guardarla, gli occhi della donna lo scrutavano bianchi e sapienti.
«I fuochi fatui d’inverno sono un fenomeno raro,» pronunciò, e il tono della sua voce giunse ad Akari con la stessa chiarezza del rintocco di una campana, anche nel frastuono di quei battiti squassanti. «Se abbandonati nella neve non possono fare altro che spegnersi. Corrompersi. Ma se alimentati e trattati con cura, possono brillare di una luce magnifica». Il suo sguardo si fece più penetrante. «Sii al suo fianco quando se ne renderà conto».
Akari la vide sospirare e abbassare le palpebre per l’ultima volta.
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