ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI VIOLENZA, SE NON GRADITE NON LEGGETE IL SEGUENTE CAPITOLO.
In pochi attimi si era creato l'inferno.
Le mie speranze che fosse solo un tremendo incubo si dissipavano ad ogni mio movimento che risvegliava fitta di dolore. Stavo lì, immobile, con le ossa della gambe spezzate, la carne straziate dalle ferite e la testa che sanguinava, disteso lì, in quella stanza dai cuscini bianchi macchiati di sangue rosso.
Quanto tempo era passato? La mia mente era tormentata dalle visioni del vampiro che torturava il mio corpo già macchiata già da altra violenza.
Gli occhi erano rossi, ma non potevano più scendere altre lacrime, consumate tutte.
Sentivo freddo, il cuore batteva lentamente, ogni battito era per meuna sofferenza e presto, quasi con desiderio, si sarebbe fermato.
Eppure, quando quella dannata porta si aprì, non vidi il mio carceriere ma un uomo dal viso sempre sorridente stravolto dalla disperazione.
Volevo chiamarlo, ma non avevo la forza di farlo e rimasi inerme mentre mi prendeva tra le sue braccia e mi portava via da quella prigione. Mi disse qualcosa, ne ero certo, ma non ero stato in grado di sentire cosa, tanto era forte la mia stanchezza. Ogni suo passo mi causava dolore, alle gambe che penzolavano, alla schiena, al torace, alle braccia, non c'era parte del mio povero corpo che fosse stato risparmiato da quel mostro.
Sì, mostro, perché non potevo più considerarla la persona che amavo.
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Appena Oscar ci trasportò a casa, svenni, dimenticando il mio braccio, ma non incontrai terra. Qualcuno mi aveva sorretto.
Cosa era successo a Thomas? Perché mi aveva fatto del male? Mi aveva promesso che non mi sarebbe accaduto niente... era quello il valore delle sue promesse?
E poi... chi era quello Stephen? Perché mi assomigliava così tanto? Perché Thomas lo conosceva? Cosa voleva da me?
La luce mi avvolse prima che potessi rispondere almeno ad una di quelle domande.
Aprii gli occhi, e vidi il soffitto della mia stanza, della stanza di Thomas, ma quando mi voltai verso di lui non c'era nessuno.
Mi misi a sedere nonostante i giramenti di testa. Mi portai una mano sulla fronte e spostai i capelli che mi coprivano gli occhi, entrambi dello stesso colore di quel tizio.
Il suo ricordo mi creava dolorose fitte alla testa, ma nonostante tutto mi alzai in piedi e camminai fino alla porta dello studio di Thomas.
Lo stavo facendo davvero? Stavo entrando lì dentro?
Il mio braccio era guarito, quindi, forse... era stato tutto un brutto sogno.
Bussai quasi senza rendermene conto e la porta si aprì con un inquietante scricchiolio.
«Thomas?»
Lo chiamai ma non ebbi risposta.
Azzardai pochi passi avanti e nonostante l'oscurità predominasse in quel luogo distinsi i lineamenti del vampiro e i luminosi occhi dello stesso colore dell'oro.
«Thomas?» ritentai.
Questa volta il suo sguardo si posò su di me.
«Che ci fai qui?» era arrabbiato? La sua voce non nascondeva una nota di disprezzo, cosa che mi ferì più di ogni altra cosa.
«Non eri in stanza...»
«Esci!» ordinò.
«Ma.. Thomas...»
«NON MI HAI SENTITO?! ESCI!»
Un improvviso bruciore alle schiena mi costrinse a piegarmi in avanti e gemere dal dolore. Guardai terrorizzato Thomas, sapevo cosa stava facendo...
«Thomas...mi fai male... smettila...»
Il dolore aumentò. Gridai e mi gettai in ginocchio.
«Chi credi di essere per darmi degli ordini?!»
Alzai lo sguardo, ma era troppo tardi.
Sentii il suo piede colpirmi con violenza all'altezza dello stomaco. Caddi all'indietro e mi tenni la pancia tra le mani.
Guardai terrorizzato Thomas che mi sovrastava in tutta la sua altezza, lo sguardo serio, le labbra piegate in una smorfia. Un altro calcio mi colpì, questa volta al petto.
Il respiro si fermò.
«Sei solo un animale...»
Sentii il petto infrangersi, il cuore che si fermava, stretto da una morsa, tutto il corpo tremare per la disperazione.
«NO!» trovai la forza di gridare tra le lacrime. «No! Thomas!»
«Come osi chiamarmi per nome?»
Anche il terzo mi colpì.
Non avevo la forza di reagire, mentre lui mi calpestava e calciava senza pietà gridandomi contro. Mi sentivo perso, che senso aveva ribellarsi? Lui non mi amava...
Era tutta una bugia! Mi sfogai con un grido disperato.
Trovai la forza di ribellarmi quando mi afferrò per il braccio e mi sollevo da terra.
«Fermati! Thomas!»
Strinsi disperatamente il suo polso e cercai di liberarmi, ma lui mi diede uno schiaffo tanto forte da farmi girare la testa e proprio in quell'istante, quando il collo era scoperto, che lui affondò i denti nella mia carne.
Un grido squarciò l'aria.
Di nuovo, era come se l'anima mi stesse venendo strappata via, secondo dopo secondo.
Volevo sottrarmi a quell'agonia.
Colpì Thomas al viso con tutta la forza che possedevo, lui mi lascio andare e io mi ritrassi e caddi all'indietro con gli occhi puntati contro il vampiro. Il mio terrore nella sua rabbia.
«Thomas, che ti succede?»
Lo sentii ringhiare, digrignando i denti, ma non mi fermai. «Perché fai così?» glielo dissi con voce disperata. «Ho paura...»
La carne sulla mia schiena bruciava, ne sentivo il nauseante odore.
Prima ancora che potessi fare o dire altro mi afferrò per il colletto della camicia e mi trascinò fuori. Non riuscivo a mettermi in piedi, mentre con le gambe scalciavo, con le mani tentavo di liberarmi, gridando, chiedendo aiuto a Margaret e alle altre serve. Ma da loro non ottenni altro che sguardi pieni di rassegnazione e pietà nei miei confronti.
Scendemmo scale dopo scale, sapevo dove mi stava portando.
Gridai più forte di prima.
Dov'era Oscar? Perché nessuno mi aiutava?
Prima le gambe, perché continuavo a cercare di scappare. Non ci volle molto, le strinse forte tra le mani, senza metterci tanto impegno, proprio come aveva fatto il giorno della festa col mio braccio.
Poi il polso destro, perché quando mi tirò via il sangue una volta, gli tirai i capelli.
Il secondo giorno mi violentò, con un ghigno stampato sul volto per poi picchiarmi senza pietà.
Il quarto mi tagliò con un coltello.
A niente erano servite le grida. A niente erano servite le preghiere. A niente servivano le lacrime.
Più lo chiamavo con suo nome, più lui agiva con violenza. I miei sentimenti verso di lui erano stati schiacciati, caduti in pezzi. La mia mente viaggiava nonostante il dolore che mi veniva inflitto.
Il quinto, quel giorno era il quinto.
Era entrato come ogni giorno con in viso un sorriso stampato sul volto. Con sé portava un bicchiere pieno di acqua.
Sollevai appena il capo, dolorante.
«Acqua...» la voce uscì come un rantolo.
Non bevevo da quando ero entrato in quel maledetto posto e non mangiavo da ancora più tempo.
La testa ricadde pesante sui cuscini bianchi macchiati di sangue.
«Perché non mi preghi?»
Rimasi in silenzio, non avevo la forza di parlare, ma anche se l'avessi avuto, non l'avrei mai pregato.
«Tho-mas...» balbettai invece.
Vidi i suoi occhi iniettarsi di rabbia, il bicchiere frantumarsi tra le sue mani e la sua mascella contrarsi.
«TU!» mi calpestò la mano finché non la sentii scricchiolare sotto il suo peso. «Smettila di chiamarmi in quel modo!»un calcio allo costole già incrinate.
«Thomas...» continuai con le lacrime agli occhi.
«BASTA!» gridò.
Una scheggia di vetro si conficcò nel mio fianco.
Tra ferite, lividi e cicatrici, il dolore non mi toccava più.
Quello era l'inferno e io ci ero caduto dentro, non potevo più uscirne.
Non almeno finché non arrivò lui a salvarmi, portandomi via con sé.
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