Dormivo solo qualche ora al giorno, mangiavo pochi bocconi per ogni pasto e guardavo il soffitto per il restante tempo.
Gli occhi erano costantemente gonfi e rossi per le lacrime che versavo ogni singolo giorno.
Pensavo a Thomas, sempre, e al modo in cui mi aveva fatto del male senza il minimo rimorso.
Oscar entrò ella stanza, aprendo la porta quasi con timore. Era già passata una settimana da quando mi aveva salvato, mi faceva visita più di una volta al giorno vestendo il solito sorriso segnato da amarezza e pietà.
«Rei, come stai?»
Lo guardai con occhi vuoti.
Le ferite stavano guarendo nonostante continuassi ad agitarmi, ma le gambe...
Strinsi le coperte tra le mani e lasciai scappare una lacrima
«Rei?» Oscar si sedette sul letto stando attento. «Non hai mangiato nemmeno oggi?» gettò uno sguardo al piatto rimasto immacolato sul comodino. «Rei, devi mangiare!»
«Non ho fame.» la voce uscì più come un verso roco.
«Non puoi fare così, come pensi di guarire?»
Non potevo più camminare, a cosa sarebbe servito comunque.
Thomas...
Gridai disperato con le lacrime che uscivano copiose, mentre Oscar si limitava a guardarmi, con le labbra strette tra i denti e gli occhi pieni di pietà.
Piangeva.
E io non potevo fare niente per poterlo rassicurare.
Non bastavano le carezze o le parole dolci per un cuore spezzato come il suo. Non riuscivo a parlare o a sorridere davanti a lui che era così afflitto, non più. Nonostante fossero passati già sette giorni il suo viso mostrava ancor i segni della violenza di Thomas e le sue gambe erano ormai condannate.
Ero immobile davanti alle sue grida.
Gli strinse la mano e aspettai che si calmasse da solo.
«Vuoi della cioccolata calda?» chiesi guardandolo speranzoso.
Rei si voltò verso di me, con gli occhi ancora rossi e le labbra che tremavano, ma il suo capo si mosse facendo segno di sì.
Sorrisi.
«Bene, allora vieni con me.»
Sgranò gli occhi e cominciò ad agitarsi. Ma prima ancora che potesse scappare, passai un braccio dietro la schiena e l'altro sotto le gambe sollevandolo dal letto.
«Oscar» la sua voce era preoccupata. «Mettimi giù! Ti prego.»
Si strinse al petto con quelle mani piccole e sottili. «Fammi scendere.»
Non ascoltavo le sue proteste perché sapevo che avrebbe smesso di piangere una volta arrivati.
Uscii dalla stanza, sempre stringendo quel corpicino molto più magro della prima volta che l'avevo preso in braccio, raggiunsi la cucina e solo lì lo poggiai su una sedia, stando attento a non fargli sbattere le gambe.
Si guardava intorno timoroso, tremando dalla testa ai piedi.
«Non aver paura Rei. Non ho intenzione di farti alcun male.»
Il suo tremore divenne ancora più forte e ben visibile.
Gli diedi un bacio sulla fronte e mi scompigliai i capelli in un gesto affettuoso.
«Aspetta un po', la tua cioccolata sarà pronta a breve.»
La servitù era stato congedata in quei giorni proprio per la presenza di Rei, non volevo che si spaventasse nel vedere persone nuove, così avevo preferito occuparmi io di lui.
Presi tutto l'occorrente e cominciai a cucinare. In tutta la mia lunga vita avevo avuto l'opportunità di imparare a cucinare e questa volta si era rivelata utile.
Pochi minuti e una tazza di cioccolata calda fumante era pronta. La porsi ad un piccolo e tremante Rei e lui accettò senza pensarci due volte.
Le sue guance si colorarono di un rosso purpureo e le labbra si incurvarono in un dolce sorriso dalla breve durata.
Sorseggiò con calma mentre io lo osservavo seduto di fronte a lui.
«È buona?» chiesi interrompendo il silenzio.
«Sì.»
«Ne sono felice.» sorrisi. «Adesso va meglio?»
Annuì e si pulì il viso dalle lacrime con la manica.
«Le mie gambe...» strinse la tazza tra le mani. «Non riesco a muoverle e a sentirle...»
«Lo so, Rei.»
Il ragazzo sorrise malinconicamente e ricominciò a bere la sua cioccolata.
Oscar era un uomo gentile, dolce e affettuoso. Faceva ciò che poteva per rendermi felice e io lo apprezzavo, ma sentivo comunque il vuoto che mi aveva lasciato Thomas dentro.
«Buon giorno Rei!» irruppe in camera senza nemmeno bussare con un sorriso smagliante che gli solcava il volto. «Ti ho portato un regalo.»
Mi misi a sedere, stropicciandomi gli occhi ancora stanchi e lo guardai perplesso.
Uscì di nuovo fuori per poi entrare portando con se una sedia con delle ruote.
Era una sedia a rotelle.
La guardai stupito, a metà tra felicità e amarezza.
Questo significava che non potevo più camminare...?
Sorrisi nonostante tutto.
«Ti ringrazio Oscar.»
«Possiamo uscire fuori se ti va.»
Mi bloccai.
Uscire?
Da quanto tempo non sentivo l'aria fresca che mi riempiva i polmoni? Oppure non guardavo il colore del cielo o il sole? Le farfalle, i fiori, gli animali...
Era tutto così lontano da me, da quando avevo conosciuto Thomas avevo detto addio alla mia libertà.
«Sì, voglio uscire.»
Perché l'avevo fatto? Cosa aveva fatto muovere la mia mano? Sentivo ancora l'odore del suo sangue per tutta la casa e le sue grida nella mia testa. Il suo corpo straziante ed agonizzante ai miei piedi che mi pregava di smettere. Eppure non ci riuscivo. Dilaniavo la sua carne, spezzavo le sue ossa, assaporavo il suo sangue.
Perché non riuscivo a smettere?
Gridavo di rabbia, mentre sentivo ancora i suoi lamenti.
Perché?
Osservavo il letto, vuoto e sfatto, mentre crollavo sul pavimento.
«Cosa ti ho fatto?»
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