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Erano le tre del mattino e non aveva ancora chiuso occhio nonostante la stanchezza che gli appesantiva le membra e gli obnubilava la mente. Aveva smesso di tuonare da un po': la furia della tempesta aveva lasciato il posto alla quiete di una pioggerellina sottile e silenziosa. Di solito non aveva problemi di sonno e dormiva ovunque gli capitasse, ma questa volta Craig non riusciva a farlo: si sentiva nervoso, elettrico. Dopo aver visto l'ora, si rigirò per l'ennesima volta tra le lenzuola, combattendo con il desiderio di alzarsi e uscire a fare una passeggiata.
Fu in quel momento che lo sentì. Era lontano, ovattato, ma gli sembrava tanto potente da riuscire a far fremere ogni singola fibra del suo corpo. Inizialmente lo aveva scambiato per il reboare di tuoni distanti, magari in mare aperto, ma si rese conto ben presto che si trattava del suono di un tamburo e che il suo ritmo cadenzato si faceva man mano più vicino e incalzante. Gli sembrava una sorta di richiamo, o almeno lo percepiva come tale.
Incuriosito, Craig si alzò e andò alla finestra, aprendo le tende per cercare di capire di cosa si trattasse. Il buio della notte era come una coltre spessa che gli impediva di individuare il confine fra cielo e mare. Una nebbiolina azzurrognola serpeggiava sul prato e non sembrava esserci nessuno nei dintorni. Quel rullare di tamburo continuava a vibrare nell'aria, in qualche punto imprecisato della scogliera. Craig aveva il cuore in tumulto come mai gli era capitato prima, sopraffatto da un'emozione intensa e travolgente: si sentiva pronto alla battaglia, carico, desideroso di combattere.
Doveva assolutamente capire da dove provenisse quel suono e perché gli provocasse quello stato d'animo. Rapidamente recuperò i propri vestiti e li indossò, deciso a uscire per andare a cercarne la fonte. Mentre infilava il giaccone in goretex, avvertì una folata di aria gelida risalirgli lungo la schiena, sotto gli abiti; istintivamente lanciò un'altra occhiata fuori dalla finestra.
Quel che vide lo impietrì per la sorpresa: la foschia che serpeggiava sul prato si era trasformata in piccole fiammelle azzurre, simili ai fuochi fatui; esse danzavano, apparentemente smosse dal vento, ondeggiando qua e là. Poco dopo iniziarono a crescere e trasformandosi in decine di corpi trasparenti e luminosi i quali fluttuavano a pochi centimetri dal terreno e si muovevano tutti verso la scogliera; il rullare del tamburo si era fatto ancora più vicino, incalzante e finalmente Craig, seguendo con lo sguardo la direzione presa da quei corpi, vide la figura eretta e possente di un uomo che aveva il viso coperto dal teschio di un montone e indossava un sudario che sembrava intessuto con quella stessa nebbia dalla quale erano scaturite le fiammelle; i corpi si stavano radunando attorno a lui, ondeggiando all'unisono sotto ogni vibrazione della pelle tesa del tamburo percossa dalle enormi mani di quell'uomo.
Craig rimase immobile a fissare la scena che si parava davanti a lui, incredulo: mentre cercava di far ordine tra pensieri e emozioni impazzite che gli frullavano nella mente, si ritrovò a fissare lo sguardo dell'uomo che suonava il tamburo, incontrando gli occhi altrui dietro le orbite vuote del teschio che gli copriva il viso. In quel preciso momento si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Il pavimento si era aperto in una voragine simile alle fauci di un mostro affamato, le mura della stanza erano scomparse, il mondo sembrava essersi capovolto. Ebbe la sensazione di precipitare in un abisso senza fine, completamente avvolto dal buio, per un tempo che gli sembrò infinito.
Atterrò su qualcosa di duro e freddo ma l'impatto col terreno fu molto meno doloroso di quanto si sarebbe aspettato. Si alzò immediatamente in piedi guardandosi intorno per cercar di capire dove si trovasse; il buio era ancora fitto, impenetrabile e per quanto si sforzasse, non riusciva a vedere nulla. Allungò le mani in avanti muovendo qualche passo e incontrò una parete della stessa consistenza del pavimento su cui era appena caduto; decise di proseguire a tentoni, di percorrere quella parete con le proprie dita alla ricerca di una via d'uscita. Si trattava di un tentativo che in qualche angolo remoto della propria mente riteneva inutile, come se avesse saputo fin dall'inizio che non avrebbe trovato un bel niente. Quello che stava accadendo non aveva alcun senso, era chiaro che dovesse trattarsi di un sogno e questo pensiero in parte lo tranquillizzava: prima o poi si sarebbe svegliato.
All'improvviso, con un brivido fastidioso che gli corse lungo la schiena, avvertì la presenza di qualcuno alle proprie spalle. Guidato dall'istinto si girò immediatamente con i pugni serrati, pronto a colpire chiunque fosse lì con lui, ma le gambe gli cedettero e cadde in ginocchio; di colpo aveva la testa pesante, il fiato corto e il sudore gli colava copioso sulla fronte. Si sentiva oppresso da una mano invisibile che lo costringeva a stare a terra. Cercò invano di rialzarsi in piedi poggiando i palmi delle mani sul pavimento, imprecando e lottando con tutto sé stesso contro quella forza sconosciuta, caparbio e combattivo come sempre.
«Devi andartene da qui. Non sei il benvenuto.» sollevò gli occhi alla ricerca della fonte di quella voce dal suono sgradevole e stridente. Nonostante tutto, Craig riuscì a fare un sorrisetto strafottente «Ah, davvero?» ironizzò con tono affaticato. Finalmente l'oscurità si attenuò e lui riuscì a scorgere la figura di una donna: aveva i lineamenti delicati, ma occhi privi di iride e pupilla; la sclera era lattiginosa con un lieve bagliore bluastro simile a quello dei fuochi fatui che aveva visto fuori dalla finestra prima di finire lì. Il suo corpo era ricoperto di squame dal colore cangiante e stava ritta in piedi davanti a lui. La trovava terrificante, ma non si arrese «Sai, di solito non do molta importanza a quello che gli altri pensano di me» aggiunse con marcato sarcasmo.
Tentò ancora una volta, invano, di rialzarsi e quando finì di parlare si sentì mancare del tutto il respiro; strinse i pugni, scosso da un tremito violento, dibattendosi in quella sensazione di soffocamento che iniziava a sembrargli fin troppo reale per esser soltanto parte di un sogno. «Che cazzo...!» emise un lamento strozzato e tutto gli sembrò vorticare e appannarsi.
«Craig! Svegliati!!»
Gli sembrò la voce di Alex, ma stava talmente male che non avrebbe potuto dirlo con certezza. Una mano parve squarciare le tenebre e gli afferrò il braccio in una morsa forte e decisa, strattonandolo all'indietro; la donna sparì dalla sua vista e lui si ritrovò nuovamente al buio. Boccheggiò in cerca d'aria, avido e disperato. E finalmente trovò ossigeno.
«Signor Pratt... Craig! Va tutto bene? » quando riaprì gli occhi, trovò il volto preoccupato di Maude a pochi centimetri dal proprio. Dietro di lei torreggiava la figura di Alex che lo osservava con l'espressione corrucciata e le braccia conserte. Craig ebbe bisogno di qualche attimo per riprendere il contatto con la realtà: non avvertiva più la pesantezza di prima, ma stava ansimando e aveva la pelle madida di sudore, la stoffa della tuta che indossava completamente fradicia. Lentamente riuscì a mettere a fuoco quel che lo circondava: era disteso a terra, accanto al proprio letto. La luce lattiginosa della luna si riversava nella stanza dalla finestra aperta e donava alla scena una parvenza surreale.
«È tutto ok. Devo... Esser caduto dal letto» finalmente ritrovò la voce, mentre si metteva a sedere passandosi le mani fra i capelli anch'essi zuppi del proprio sudore. Si sentiva scemo a ammettere qualcosa del genere, ma di certo non aveva intenzione di parlare dell'incubo appena avuto.
«Stavamo andando a dormire quando abbiamo sentito un tonfo e siamo corsi a vedere...» Maude si scostò da lui e si rialzò, evidentemente più sollevata «Ce la fai a alzarti? Posso portarti qualcosa?» gli offrì lasciandogli spazio per tornare in piedi a propria volta, cosa che Craig fece senza alcuna difficoltà, scuotendo leggermente la testa «Mi spiace avervi fatto preoccupare. Sto bene, sul serio. Tornate pure a letto» Dalle parole di Maude aveva concluso che Alex dormisse lì, forse con lei; la cosa lo infastidiva più di quanto avrebbe dovuto. Si volse a guardarlo e lo trovò a fissarlo ancora contrariato; assottigliò le palpebre ma evitò di dirgli qualcosa. Maude esitò un momento, guardò anche lei Alex e questi le fece un breve cenno col mento. Con un sospiro la giovane donna annuì «D'accordo, allora ti lascio in pace.» mormorò «Sono nella stanza al pian terreno, se dovessi aver bisogno di me» aggiunse, muovendosi verso la porta, seguita da Alex «Buonanotte»
Craig restò lì, in piedi, a guardarli andare via fino a quando l'uscio venne richiuso. Dopo di che andò a chiudere la finestra, fermandosi per qualche istante con la fronte appoggiata al vetro e gli occhi socchiusi, intento a ascoltare il proprio respiro, il quale ormai si era normalizzato. L'inquietudine e l'angoscia provate prima scivolarono via in pochi attimi lasciando il posto a una stanchezza profonda. Tornò a letto e questa volta si addormentò subito, profondamente, senza fare più alcun sogno.
Il suono della sveglia lo strappò da quel sonno profondo quando ancora il sole non era sorto. Prima di iniziare i preparativi per la giornata, andò a guardare di nuovo fuori dalla finestra, quasi si aspettasse di rivedere il tizio col tamburo. La casa era immersa nel silenzio e la luce azzurrognola delle prime ore del giorno si stendeva sul prato umido insieme a un sottile strato di nebbia. Un gabbiano se ne stava appollaiato placidamente sulla cassetta delle lettere e il mare era una tavola grigio piombo; nessuna presenza strana, come del resto era ovvio aspettarsi. Si concesse una lunga doccia calda e lasciò che l'acqua gli lavasse via di dosso la sonnolenza e l'inquietudine che ancora sentiva serpeggiare in corpo a causa di quell'incubo.
Trovò Alex a attenderlo in cucina, appoggiato al davanzale e palesemente poco incline alle chiacchiere o al sorriso esattamente come era stato la sera precedente, con lo sguardo cupo che vagava verso l'esterno. Maude gli aveva preparato una colazione ricca e deliziosa: scones, confettura fatta in casa, alcuni panini salati e un ottimo caffè. La proprietaria del B&B era dovuta uscire poco dopo il suo arrivo e lui restò solo con il pompiere «Sei uno di quelli che non sopportano gli americani e che ci definiscono Yankees?» decise di rompere il silenzio greve che aleggiava fra loro con quella domanda diretta, mentre ruminava la propria fetta di pane tostato con gli occhi incollati alla schiena di Alex. In realtà non gli importava molto di non piacergli però era curioso del motivo: forse da ragazzini si conoscevano e gli aveva fatto qualche torto. In fondo era andato fin lì proprio per cercare di ritrovare quella parte di sé che aveva dimenticato e se Alex lo avesse conosciuto, avrebbe potuto essergli utile. Lo sentì sospirare e lo vide girare lentamente il capo di tre quarti, lanciandogli una breve occhiata indiretta da sopra la spalla sinistra «sbrigati. Non abbiamo tutta la giornata: qui fa buio presto.» borbottò, scostandosi dalla finestra «Ti aspetto fuori» aggiunse, uscendo dalla cucina senza più rivolgergli lo sguardo.
Craig aggrottò la fronte, finì il caffè in un sorso e lo seguì fuori dalla stanza; anche se inizialmente era arrivato sull'isola con l'idea di non rivelare la propria identità, decise di tentare quella carta «Senti, per caso io e te ci conosciamo già? Sono cresciuto qui e se anche tu sei di queste parti, dobbiamo per forza esserci già incontrati» gli sembrava strano che non fosse così, del resto: l'isola di Fair era sicuramente uno di quei posti dove tutti conoscono tutti, a maggior ragione se coetanei. Alex non rispose, sembrava non averlo sentito, ma Craig non si scoraggiò «Se è così e magari sei offeso perché non ti ho riconosciuto, devi sapere che ho perso la memoria, sono qui per questo...» fu costretto a interrompersi e a frenare bruscamente: Alex si era fermato di colpo, proprio sulla porta di ingresso del cottage, e per poco non gli era finito addosso. «Non ti ho mai visto prima» la voce del pompiere era priva di qualsiasi inflessione e non poteva vederlo in faccia, ma Craig aveva la sensazione che stesse mentendo, anzi... Ne aveva la certezza. Tuttavia, qualcosa lo fece desistere dal chiedere spiegazioni: quando Alex aveva pronunciato quelle poche parole, aveva provato una fitta di dolore inspiegabile, profondo e lacerante come se lo avesse pugnalato. Si ammutolì e quando Alex riprese a muoversi per uscire dall'edificio, lo seguì fino al pick up parcheggiato sul sentiero principale.
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