L’aroma del caffè riempiva piacevolmente la stanza, insieme al crepitio del fuoco nel caminetto e il chiacchiericcio allegro, ma mai troppo prolungato, del biondo. Craig era ancora scettico, ma al tempo stesso curioso e spinto dall’istinto a volerne sapere di più; Murdo gli aveva promesso che gli avrebbe raccontato e spiegato ogni cosa, ma aveva preteso che prima si mettesse comodo e si rilassasse: si erano spostati sui cuscini che erano sparsi in terra, gli aveva fatto togliere gli anfibi e sfilare il maglione sotto al quale il texano indossava ancora una maglietta termica - lo aveva anche preso in giro per questo suo esser freddoloso, strappandogli una risata: gli piacevano i modi civettuoli e frivoli di Murdo, avevano un che di fresco, di leggero. Lì dentro si stava bene, c’era un tepore piacevole e Craig aveva la sensazione di esser lontano anni luce dal mondo reale; se ne stava disteso a pancia in giù, sorseggiando di tanto in tanto il caffè dalla tazza fumante che aveva poggiato sul pavimento, sfogliando l’album di fotografie e chiedendo dove fossero o cosa stessero facendo in ognuna di esse; Murdo, improvvisato cantastorie, se ne stava al suo fianco, semi sdraiato con il gomito destro puntellato sui cuscini, una gamba piegata e l’altra distesa, i capelli sciolti che gli ricadevano morbidamente sulle spalle e in parte sul petto nudo, fra i lembi della camicia aperta, intento a rollare una sigaretta.
Per ciascuna foto aveva un aneddoto che snocciolava in modo avvincente e divertente. Erano episodi di vita quotidiana, che qualsiasi ragazzino della loro età avrebbe potuto vivere. Non c’entrava nulla la magia con quel che gli raccontava e questo tranquillizzò in qualche modo Craig: sapere di aver avuto un’infanzia tutto sommato normale, nonostante quella storia dei figli delle fate e del Vortex, lo rassicurava. Anche se non ricordava nulla, quel che diceva Murdo aveva senso, combaciava con il suo carattere attuale; lo aveva dipinto come estremamente competitivo, ad esempio: gran parte dei loro giochi si traducevano in qualche gara tra Craig e Alex, con Murdo che fungeva da arbitro, spettatore o sostenitore.
«Perché non partecipavi anche tu alle sfide?» Murdo si strinse nelle spalle, con un lieve sorriso, mentre chiudeva la sigaretta passando la lingua sul lembo di carta «Oh, beh. Non mi è mai importato molto di vincere. Non ci sarei comunque riuscito contro voi due, che avete il sangue dei guerrieri a differenza mia che sono nato incantatore, o di Maude che è guaritrice.» spiegò, con tono tranquillo. «E poi almeno potevo godermi lo spettacolo di voi due che vi azzuffavate. Era divertente» «Immagino» il texano mostrò un sorrisetto divertito e in quel momento gli tornò in mente uno stralcio della conversazione avvenuta in mattinata tra Murdo e Alex «Hai detto che lui è il mio cane da guardia…» il biondo fece un vago cenno d’assenso, sistemandosi più comodamente sui cuscini «Lui ti ha sempre protetto. È la tua guardia del corpo, così come suo padre era la guardia del corpo di tua madre, la figlia del re delle fate.»
Craig si fece più curioso, perché da quando si erano spostati sui cuscini era la prima volta in cui Murdo tornava a fare un qualche riferimento a quelle storie sulle loro origini magiche «Quindi sarei, tipo, un nobile?» quell’idea lo divertiva: di certo non avrebbe mai detto nulla del genere sul proprio conto, considerato il proprio comportamento grezzo e per nulla regale «Sì, qualcosa del genere.» su questo punto Murdo si fece più evasivo, ma Craig non se ne accorse: aveva un sacco di domande da fargli «Cosa significa che abbiamo il sangue dei guerrieri? E che cos’è un incantatore? E perché non ho visto il Vortex di Maude, né il tuo, ma solo quello di Alex?» il biondo pressò per bene con le dita affusolate il cilindro di carta e tabacco che aveva appena terminato di preparare. Sembrava intento a cercar le parole adatte per rispondere, ma non certo restio a raccontare. «Il Vortex non compare sempre nello stesso punto del corpo. Il mio ad esempio è qui, sotto la nuca» gli spiegò, indicando brevemente il punto menzionato, anche se era nascosto dai capelli «Per il resto… Come gli umani, anche noi figli delle fate nasciamo con determinate attitudini che vengono accentuate dalla discendenza magica: chi nasce da una fata guerriera, ne eredita i poteri, i quali sono per lo più innati… E crescendo in una famiglia di combattenti è facile che si sviluppino maggiormente rispetto ad altri. Lo stesso accade per le altre tipologie di fata. Mia madre e mia nonna erano incantatrici, cioè fate con il potere di modificare gli elementi e la realtà, di manipolare le menti umane...E così lo sono anche io.»
«Quindi mia madre era una guerriera?» Craig si girò sul fianco, guardando più attentamente Murdo «Esatto. E prima di lei lo era suo padre - le fate possono esser uomini o donne - e la nonna di tua madre. E così via.» «E loro erano fate.» Murdo annuì «Sì. Noi invece, siamo mezzo sangue, quindi abbiamo poteri meno forti ma anche meno difficoltà a integrarci sia col mondo degli umani, sia col mondo fatato, almeno a livello fisico, perché per quanto riguarda l’aspetto puramente sociale, non è ugualmente semplice.» «Perché? Cosa intendi dire a livello fisico?» «Le fate pure non possono far a meno di star lontane dal loro ambiente naturale. Se si fermano troppo a lungo nel mondo umano si indeboliscono, a volte impazziscono. E gli umani non possono sopravvivere nel mondo delle fate: in esso invecchiano molto più rapidamente e muoiono molto prima del tempo. Noi invece possiamo vivere liberamente in entrambi i mondi, senza conseguenze.»
«Ma allora, i miei genitori, i tuoi, quelli di Alex… Come hanno fatto a stare insieme?» gli venne naturale chiederlo, alla luce di quelle rivelazioni. «Non tutti restano insieme. È molto raro che una fata decida di convivere con un umano o che se ne innamori. Molto spesso si limitano a accoppiarsi, procreare. Dopo di che tornano nel loro mondo, il più delle volte portando con sè i figli» Murdo si strinse nelle spalle «Coloro che invece desiderano portare avanti una relazione con un umano, durante alcuni periodi dell’anno se ne separano per tornare nel loro regno e recuperare energie. I tuoi genitori hanno vissuto così.»
Craig rifletté un momento, elaborando quelle informazioni e cercando di assorbirle. Era ancora difficile per lui credere a quella roba, ma almeno stava iniziando a capirci qualcosa di più. Erano tante le cose che voleva sapere, troppe. Decise di andare per gradi, di farsi raccontare quelli che erano a suo avviso i punti salienti della storia. «Prima hai detto che ci sono delle entità che ce l’hanno con me. Perché?» «Non conosco tutti i particolari; quel poco che so è che le Ombre sono da sempre nemiche delle fate e in particolare della tua famiglia, ma credo sarebbe meglio parlarne con gli Anziani.» Craig sollevò gli occhi al cielo «Non fate altro che parlare di questi Anziani… Chi sono?» chiese, dimenticando la questione delle Ombre. Nel frattempo, finì di bere il caffè; aveva un sapore buono, ben diverso da quello cui era abituato: sembrava speziato e gli infondeva una sensazione di piacevole torpore molto simile a quella che si prova quando si beve un po’ più del normale.
«Sono dei vecchi noiosi che sanno tutto di tutti» rispose il biondo con una lieve risata. Murdo aveva ancora la sigaretta spenta fra le dita, sembrò ricordarsene solo in quel momento e se la portò alle labbra. Si allungò a recuperare l’accendino dalla sacca da cui precedentemente aveva tirato fuori proprio quell’album di foto, alle proprie spalle; la camicia che indossava, aperta, scivolò verso il basso mostrando al texano la curva del fianco, tremendamente invitante. Craig la accarezzò inevitabilmente con lo sguardo, distraendosi dal resto e provando il desiderio, improvviso e intenso, trattenuto a stento, di toccarlo. L’altro era un provocatore, ma la sua sensualità era genuina, dirompente, anche quando non la ostentava.
«Tra poco sarà ora di pranzo, c’è qualcosa che vorresti mangiare?» Murdo stava ancora rovistando nella sacca e aveva parlato con il tono leggermente biascicato, a causa della sigaretta che gli pendeva dalle labbra; quando però trovò l’accendino, tornò a guardarlo intercettando probabilmente gli occhi altrui sul proprio corpo. Un altro sorriso, stavolta più ammiccante, complice, gli piegò le labbra; lasciò perdere la sigaretta che posò in terra ancora spenta insieme all’accendino e con un leggero movimento del bacino fece in modo di avvicinarsi maggiormente a Craig, abbastanza da esser a portata di mano, in un muto invito a dar seguito ai propri desideri che tuttavia era facilmente ignorabile - se solo avesse voluto ignorarlo - e per nulla invadente. «Qualcosa che ti piace in particolar modo?» sussurrò, suadente.
Il texano, con aria assorta, allungò le dita a sfiorare il fianco di Murdo «è già successo qualcosa del genere, tra noi?» non gli sembrava troppo assurda, come ipotesi: era un adolescente, quando aveva lasciato l’isola. Forse aveva già iniziato a esplorare alcuni aspetti della propria sessualità e per di più avvertiva una certa familiarità con Murdo. Ma il biondo sorrise con fare provocatorio «che ti importa. Tanto non te lo ricordi.» rispose strappandogli una bassa risata e intanto Murdo gli prese la mano, cercando di attirarlo a sé.
Craig sbuffo aria dalle nari, senza parlare puntellò le mani sui cuscini e si sollevò quanto bastava per portarsi sopra Murdo, fra le sue gambe. Non era solito farsi troppi problemi su questo genere di cose e non vedeva particolari motivi per rifiutare quell’offerta… Soprattutto perché in quel momento lo trovava irresistibile, come se il desiderio per lui fosse divampato tutto insieme in un sol colpo. Lo aveva trovato attraente fin dal primo sguardo ma adesso, qualcosa nel suo modo di fare lo aveva acceso, letteralmente. Murdo lo guardava, lasciandolo fare, gli occhi colmi di aspettativa; si passò le dita fra i ciuffi che gli ricadevano in parte sul viso, ravviandoli dietro al capo con un movimento morbido che lo rese ancor più appetibile agli occhi di Craig.
«Vi state divertendo?» la voce di Alex irruppe prepotentemente nella stanza, secca come un colpo di frusta. «Cazzo.» sputò Craig, saltando come una molla e scostandosi dal biondo il più rapidamente possibile. Murdo invece la prese con molta più calma «Effettivamente sì, prima che arrivassi tu.» gli rispose, ricomponendosi e guardando in tralice il cugino. Alex, cupo in viso, ritto nel vano della porta con le braccia incrociate al petto, non disse nulla e si limitò a fissare a lungo con aria di rimprovero Murdo, ignorando il texano il quale nel frattempo si rialzò in piedi, assalito da un senso di colpa che gli faceva rabbia: non aveva alcun motivo per sentirsi così, eppure improvvisamente si trovava a provar vergogna per quello che stava per fare, il che non fece altro che farlo arrabbiare ancor di più.
«Si può sapere che cazzo vuoi? Non te ne eri andato?» sbottò. Alex lo ignorò ancora, volutamente. Murdo aveva recuperato la sigaretta e se l’era accesa, senza scomporsi sotto lo sguardo feroce del cugino. «Oh, sto parlando con te» a grandi falcate, Craig raggiunse Alex e gli si piazzò davanti, ottenendo finalmente la sua attenzione. Lo sguardo del moro lo scandagliò da capo a piedi, freddamente, impassibile «Sono tornato a prenderti. Maude ti aspetta per pranzo. Ha cucinato tutta la mattina per te» era disprezzo, quello che percepiva nel suo tono? O indifferenza? Craig non riusciva a capirlo e ancor meno capiva perché gli importasse, ma si tese e sollevò il mento «Potevi mandare un messaggio, prima» Alex lo guardò ancora per un lungo istante, come se avesse voluto incenerirlo. Quindi lanciò un’occhiata a Murdo il quale era rimasto acciambellato sui cuscini con l’espressione sorniona e voltò le spalle a Craig avviandosi verso l’esterno «Prendi la tua roba.»
Craig rimase immobile lì per qualche istante, spiazzato. Aveva voglia di fare a pugni con Alex ogni volta che lo vedeva, eppure quel tizio emanava un qualcosa che lo rendeva insicuro, che lo destabilizzava. Con un grugnito, infine, si decise a muoversi, andò a afferrare le sue cose e infilò gli anfibi. Lanciò anche lui uno sguardo a Murdo, rendendosi conto in qualche angolo remoto della propria mente che gli sembrava improvvisamente meno irresistibile di prima e attribuendo quel cambiamento alla brusca interruzione che avevano subito. «Io... Scusa. Vado.» Il biondo sorrise e gli fece un lieve cenno invitandolo a uscire, tranquillamente «Nessuno vuole contrariare Alex». Craig annuì, come in trance. Aveva la mente in subbuglio, i pensieri impazziti e una stretta alla bocca dello stomaco gli impediva di ragionare lucidamente. Non sapeva nemmeno perché stesse seguendo tanto docilmente le indicazioni di Alex, però un attimo dopo era di nuovo fuori da quella casa e l’improvvisa sferzata di aria fresca e salmastra lo aiutò a tornare lucido.
«Sali.» Alex lo aspettava sul pick up, col motore acceso. Craig strinse i denti e montò a bordo, allacciando la cintura. Si sentiva stravolto, in difetto e ancora pieno di rabbia. Ma almeno adesso era riuscito a recuperare la propria facciata di uomo tutto d’un pezzo. «Potevi mandarmi un messaggio» ribadì «e dirmi di tornare. Non c’era bisogno di venirmi a prendere.» commentò con tono basso e vibrante, mentre l’altro metteva in moto «Te l’ho mandato. Ma evidentemente avevi altro da fare e non lo hai sentito.» Craig sollevò le sopracciglia e prese il telefono dalla tasca. C’erano tre messaggi. Uno di Alex e due di Maude. «Ah.» Non parlarono più per il resto del tragitto da lì fino al bed and breakfast; una volta arrivati a destinazione, Alex lo fece scendere e dopo avergli detto che sarebbe passato a riprenderlo più tardi, ripartì nuovamente lasciandolo solo con Maude.
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