Poteva esser trascorso un secondo o un giorno intero, non avrebbe saputo dirlo. Dopo aver afferrato Alex, Craig era sprofondato in un’oscurità simile a quella che regnava nei suoi incubi; la propria mente era offuscata, non sentiva più il proprio corpo. Era morto? Svenuto? Poco prima di perdere coscienza aveva avvertito un dolore lancinante in pieno petto, ma adesso non riusciva a percepire niente. Si sentiva debole, privo di forze, svuotato. L’immagine del viso di Alex, esangue e distorto dal dolore, continuava a tormentarlo. Lo aveva salvato? Era riuscito a tirarlo via dalle grinfie di quel mostro? Non ne aveva idea ed era questa incertezza a torturarlo più di ogni altra cosa.
A volte l’oscurità si faceva più ottundente e lui si sentiva fluttuare fino a perder del tutto cognizione di sé stesso; altre invece avvertiva un’eco lontana di voci che gli sembrava di conoscere, un tepore piacevole e confortante che lo portavano a cercar di risvegliarsi, ma per quanto si impegnasse nel tentativo di riaprire gli occhi o la bocca, non aveva alcun controllo su di essi e di nuovo le energie lo abbandonavano facendolo sprofondare ancora una volta nell’oblio. In altri momenti riviveva in un loop infinito gli attimi concitati dello scontro cui aveva preso parte, tanto breve quanto intenso; quando capitava, sentiva che c’era qualcosa che gli sfuggiva, un ricordo che non riusciva a afferrare ma che sapeva essere importante e allora si dibatteva, cercava di aggrapparsi ad esso; ma era tutto inutile, le forze gli venivano a mancare e con un gran senso di frustrazione doveva abbandonare quell’intento.
Quando finalmente riuscì a riaprire gli occhi, la stanza in cui si trovava era pervasa da una luce tenue, quella azzurrognola che precede il sorgere del sole; dalla finestra aperta spirava una leggera brezza salmastra che smuoveva le tende. Era disteso in un letto troppo grande per esser quello in cui aveva dormito la sua prima notte sull’isola di Fair. Le lenzuola profumavano di caprifoglio e ne avvertiva la soffice consistenza sulla pelle nuda degli addominali; aveva una fasciatura intorno alla parte alta del busto, riconosceva la trama delle bende, e indossava sicuramente i pantaloni di una tuta. Era incredibile quanti particolari insignificanti la sua mente stesse registrando, era come se i suoi sensi si fossero acuiti permettendogli di notare cose cui prima non avrebbe mai fatto caso. Impiegò qualche istante nel riuscire a riprendere controllo del proprio corpo, ancora intorpidito, ma era vivo e vigile e questo gli bastava. Oltre al profumo delle lenzuola, nell’aria aleggiava l’aroma del caffè, meno persistente rispetto al primo; ma quel che attirò più di tutto la propria attenzione fu il suono di un respiro lento e regolare di una persona addormentata: c’era qualcun altro in quella stanza oltre a lui. Girando lentamente il capo verso destra vide che si trattava di Alex, il quale dormiva profondamente su una poltrona accanto al letto. Avvertì una sensazione di vago trionfo e di sollievo: era vivo anche lui, era riuscito a salvarlo, sebbene non ricordasse esattamente come avesse fatto.
Provò a tirarsi su, puntellando i palmi delle mani sul materasso, sempre con molta attenzione: non voleva svegliarlo e non si sentiva ancora del tutto padrone dei propri movimenti. Aveva la bocca impastata e provava una lieve nausea, ma immaginava fosse normale: era ferito, la fasciatura e la pelle che tirava sotto di essa ne erano la prova, anche se non ricordava di esser stato colpito.
«Fermo.» la voce di Alex lo colse di sorpresa e lo fece sobbalzare; il pompiere era balzato in piedi e con una pressione decisa sulla sua spalla destra, lo costrinse a tornare sdraiato, incombendo su di lui, senza che Craig riuscisse a contrastarlo «Ma che cazzo…!» i loro occhi si incontrarono nella penombra; se avessero potuto emanare lampi, probabilmente si sarebbero inceneriti a vicenda. «Non devi muoverti. Sei ferito.» il tono di Alex sembrava carico di disprezzo. Con un gesto stizzito del braccio, Craig spinse via la mano altrui «E lasciami!» ringhiò, tornando a mettersi seduto «La devi smettere di trattarmi come se fossi un bambino» aggiunse, buttando le coperte di lato. Alex lo lasciò fare, incrociando le braccia al petto e tenendogli addosso uno sguardo rabbioso «Se tu la smettessi di comportarti come un moccioso, sarebbe molto più semplice non credi?»
Craig digrignò i denti; a causa di quei movimenti bruschi gli girava la testa, ma era ostinato e deciso a non volerla dare vinta all’altro; quindi, seppur barcollando si alzò in piedi per fronteggiarlo «Questo moccioso ti ha salvato il culo.» entrambi stavano tenendo il tono della voce basso, in un inconscio tentativo di non farsi sentire da chiunque potesse intervenire a sedare la loro discussione, ma non per questo privo di veemenza. Si sporse verso di lui, allargando le spalle e sporgendo il petto in fuori con fare aggressivo; Alex non arretrò di un millimetro ma sciolse l’intreccio delle braccia continuando a fissarlo «Non era necessario. Non avresti dovuto. Ero in grado di farcela da solo e...» Craig non gli fece finire la frase «Io quelli come te non li sopporto» sibilò fra i denti «credi di sapere tutto tu, scommetto che pensi di essere perfetto» proseguì, furente e Alex scosse il capo, senza rispondergli, voltandogli le spalle apparentemente intenzionato a andarsene; l'assenza di una reazione da parte dell'altro era ciò che faceva infuriare Craig più di tutto.
Voleva che reagisse: gli aveva detto quelle cose appositamente per farlo innervosire e invece si era trovato innanzi a un muro di gomma. Mentre una voce dentro di lui gli continuava a ripetere che avrebbe dovuto lasciarlo perdere, gli si fece maggiormente vicino, afferrandolo per un braccio per impedirgli di allontanarsi «Dove credi di andare? Ti sto parlando.» ringhiò sommessamente, avvertendo tra le dita il tentativo di Alex di divincolarsi dalla sua stretta «io sono il tuo Re!» sbottò allora; ma non appena pronunciò quelle parole, Craig spalancò gli occhi e lasciò andare la presa sul braccio del pompiere, arretrando confuso: aveva avuto la netta impressione di aver già vissuto quella discussione, di aver pronunciato le stesse parole, con la stessa rabbia e frustrazione; ma quel che lo confondeva ancor più, era che non aveva idea di come gli fosse venuto in mente di dire qualcosa del genere.
Alex si irrigidì, inspirò profondamente dalle nari e abbassò lo sguardo per un solo istante, dopo di che lo risollevò girandosi a cercare quello altrui con i lineamenti stravolti da un’espressione che Craig non seppe interpretare, ma che gli fece venire i brividi; vacillò per un momento, stordito da un peso sul cuore di cui non comprendeva l’origine, tornando a sedersi sul letto con gli occhi ancora spalancati e fissi su Alex «E io sono la tua guardia del corpo, nient'altro che un tuo servo. Lo so bene. » fu la risposta pacata del pompiere «il mio compito è tenerti al sicuro ed è quello che sto cercando di fare.» gli fece notare, mentre Craig continuava a fissarlo senza riuscire a dire una parola, soverchiato da una marea di emozioni che non sapeva nemmeno definire: rabbia, tristezza, sorpresa... Era come se dentro di sé si fosse incrinato qualcosa e dalle fessure della crepa si stessero riversando tutte quelle sensazioni insieme. Di una cosa era certo: mai e poi mai avrebbe voluto dire quella frase... Ma non riuscì a scusarsi «Posso andare, ora? Devo avvisare Maude che ti sei svegliato» il tono di Alex lasciava trapelare ironia e amarezza al tempo stesso e Craig, confuso, annuì, seguendolo con lo sguardo mentre l'altro lasciava la stanza.
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