Si ritrovò, senza sapere come, di nuovo in piedi. Era accanto alla finestra e fuori era buio; una pioggerellina sottile inumidiva il prato; in lontananza si sentiva il rullare di un tamburo. Guardò verso il mare e vide la stessa scena del sogno fatto la prima notte trascorsa sull’isola: una figura alta e imponente, con il corpo ricoperto da un sudario intessuto con le ombre e il viso nascosto dal teschio di un montone indossato come se fosse stata una maschera, se ne stava in mezzo al prato con le spalle rivolte al mare; era lui a suonare il tamburo e sembrava che quel battito fungesse da richiamo per decine e decine di figure eteree le quali si materializzavano dalla nebbia e dal terreno; apparivano dapprima come piccole fiammelle azzurre e poi crescevano, fino a prender le sembianze di persone, seppur eteree e fluttuanti. Era lo stesso incubo, ormai ne era certo. Decise di voler andare a vedere più da vicino quanto stava accadendo e si ritrovò a camminare a piedi nudi sull’erba umida verso il suono del tamburo, circondato da altre persone dalla consistenza impalpabile che parevano non accorgersi di lui; alcuni addirittura gli passavano attraverso facendogli provare un formicolio lungo tutto il corpo.
«Craig» era una voce profonda, quella che lo chiamava per nome; la voce di suo padre, quello vero. Era nella sua testa «non devi stare qui. Torna a casa.» Craig scosse il capo, strinse i pugni «Voglio sapere la verità» continuò a camminare verso l’uomo che suonava il tamburo, ma gli sembrava che la distanza tra loro non si riducesse mai «Ma tu conosci già la verità. Devi solo ricordarla.» sorrise con amarezza «A quanto pare non riesco a ricordare, papà. Non ci riesco.» «Non è vero. Devi soltanto avere pazienza. Altrimenti come sapresti che sono tuo padre? Non ti ricordavi di me, e adesso...» «Sono stanco di aspettare. Sono stanco di non capire. Se sono qui per un motivo, allora voglio saperlo, cazzo.» «Lo so, ma non c’è tempo ora per parlare. Dammi retta, torna indietro. Qui è pericoloso. Tua madre vuole che la liberi, a ogni costo.» «Cosa…?»
Craig distolse gli occhi dall’uomo col tamburo e si guardò intorno, alla ricerca del padre. Doveva esser lì da qualche parte e dentro di sé sentiva che lo avrebbe riconosciuto. Il rullare del tamburo assunse una cadenza più lenta, come quella del proprio cuore. Il tempo sembrava di nuovo essersi fermato. Le persone intorno a lui si muovevano al rallentatore. Poteva perfino vedere ogni singola goccia di pioggia precipitare verso il suolo con una lentezza impressionante.
Finalmente lo vide. Suo padre era lì, poco distante da lui, in mezzo a quella scena surreale. Rapidi flashback della propria infanzia, immagini di vita quotidiana, scorrevano tra loro due, proiettati su uno schermo invisibile sospeso a mezz'aria, creando un gioco di luci e ombre sul volto dell’uomo che si trovava di fronte a lui. Gli somigliava in maniera impressionante. «Cosa significa che mia madre vuole che la liberi? Non è morta?» «No, non è morta. L’hai rinchiusa nelle tenebre, perché non potesse far del male.» «Male a chi?» «A te, alle persone che ti sono care. Lei era impazzita e tu sei stato l’unico che è riuscito a fermarla. Ti è costato caro, figlio mio. Hai fatto un grande sacrificio.» i ricordi si dissolsero nel nulla, la figura di suo padre era avvolta da rami ricoperti di spine. «Non devi restare in questo mondo. Potresti non uscirne più. Vai. Vai adesso e non guardarti indietro.» Craig provò a fare qualche passo verso di lui, ma era come se di colpo i propri piedi fossero inchiodati al terreno. «Papà!»
Il suo stesso urlò gli riecheggiò nelle orecchie, carico di angoscia. Stava ricordando. Come se si fosse trovato al centro di un ciclone, una girandola di immagini iniziò a vorticare intorno a lui. Una notte di tempesta e il ritrovamento del cadavere del padre, orribilmente mutilato, insieme a quelli di altre due persone nelle stesse condizioni. Le fiamme che divoravano il cottage. Una corsa a perdifiato verso il faro. L’uomo col tamburo, sempre presente, silente spettatore di ogni evento. E poi...Lui e sua madre improvvisamente nemica, sulla scogliera, il loro combattimento, il dolore, la disperazione. Sentiva le ombre incombere su di lui, l’oscurità farsi più opprimente, man mano che la figura del padre si dissolveva nel nulla e con essa anche tutto il resto. Gli sembrò di nuovo di precipitare, come negli altri sogni, come se all’improvviso gli mancasse il terreno sotto ai piedi; annaspando cercava un appiglio, combattuto tra il voler restare e il dover lasciare quel luogo oscuro; una voce lo raggiunse «Craig, svegliati!» una mano afferrò la sua e lo trattenne con forza prima che la voragine lo inghiottisse.
Riaprì gli occhi di scatto, boccheggiando, stravolto. Aveva la vista annebbiata e la pelle madida di sudore. «Papà...» adesso era poco più di un sussurro, il suo. «Shhh va tutto bene.» era Alex; la mano che stringeva la sua era quella del pompiere. Era buio nella stanza, ma lui lo riconobbe e non gli importò più di tutto quel che era successo fino a quel momento, non gli importò di non ricordare nulla del loro passato: sentiva il bisogno di averlo vicino, sapeva a livello istintivo che sarebbe stato l’unico in grado di lenire il proprio dolore, sapeva di esser in salvo ora che lo aveva accanto.
Allungò l’altra mano a afferrare la stoffa della sua maglietta, lo attirò bruscamente a sé, facendolo finire sul letto accanto a lui. Alex esitò solo un istante, poi lo strinse fra le braccia e Craig ricambiò la stretta con una forza disperata, senza parlare, la fronte premuta contro il petto altrui, il respiro pesante. Sentì le sue mani muoversi sulla propria schiena, si lasciò cullare dal battito regolare del cuore altrui e gli si addossò maggiormente senza curarsi di apparire vulnerabile. Per lunghi istanti restarono così, in silenzio, stretti uno all'altro come se fosse la cosa più naturale del mondo. Soltanto dopo esser riuscito finalmente a calmarsi, gli tornò alla mente quel che era successo alla fine del sogno: quella voce che lo chiamava, che gli intimava di svegliarsi era la stessa che "lo salvava" ogni qual volta faceva un incubo... Adesso sapeva che era di Alex.
Erano tante le cose che avrebbe voluto chiedergli, ma non in quel momento: il silenzio e i loro corpi parlavano per loro. Quella vicinanza, la naturalezza con cui lui aveva cercato un contatto fisico tanto intimo e l'altro lo aveva accettato, non potevano esser soltanto conseguenza dello sconvolgimento che gli aveva provocato il sogno. Craig, con la mente improvvisamente totalmente sgombra da qualsiasi altro pensiero, come seguendo un istinto primordiale, sollevò il viso e andò in cerca delle labbra di Alex.
Le sfiorò con le proprie, l’altro smise di accarezzargli la schiena ma non si ritrasse e Craig continuò, prolungando quel contatto, facendosi più avido. Alex esalò un respiro caldo e rispose al suo bacio; sapeva di buono. Sapeva di casa. Tanto che Craig si chiese come potesse averlo dimenticato. Nel silenzio della stanza si sentiva solo il rumore del letto che cigolava sotto il loro peso, dei loro respiri, delle loro labbra che si cercavano, si divoravano; mano a mano più famelico, Craig non si fermò: voleva tutto di Alex; voleva riappropriarsi di quanto aveva perso. Non si poneva il problema di esser egoista, o che fosse tutto assurdo e avventato, anche perché l’altro non opponeva alcuna resistenza e anzi lo sentiva eccitarsi e farsi più incalzante a propria volta.
Le loro lingue danzavano in perfetta armonia, le mani e i corpi si muovevano rispondendo agli stimoli come strumenti eccellentemente accordati. I baci non gli bastarono più e infilò le mani sotto la maglietta di Alex, gliela fece togliere, mettendosi a cavalcioni su di lui. Poi si chinò a baciargli il collo, la clavicola, il petto... Voleva assaggiare ogni millimetro della sua pelle dal sapore salato e provava un inconscio timore che anche questo fosse un sogno pronto a svanire come una bolla di sapone. Fece scivolare le mani tra i loro corpi per aprirgli i pantaloni e intanto sentì quelle altrui infilarsi sotto l’elastico dei propri. Senza parlare, sempre, si spogliarono entrambi, separandosi lo stretto necessario per scrollarsi di dosso gli indumenti per poi tornare a addossarsi, a unire le labbra, a esplorare l’uno il corpo dell’altro con avidità dirompente. Si rese conto di aver sentito la mancanza di quel corpo, delle sue mani e dei suoi baci nonostante non se ne fosse ricordato prima di quel momento. Non si chiese come fosse possibile, non gli importava più, non in quel frangente. Si lasciò semplicemente travolgere, abbandonandosi completamente al desiderio che gli bruciava dentro, qualcosa che sentiva non esser solamente fisico, ma anche mentale, molto più profondo e intenso. Non avevano bisogno di dire nulla e non lo fecero.
Alex lo fece finire sotto di sé, prendendo il controllo della situazione; stringendolo a sé con il braccio destro lo divorò di morsi e baci, insinuando l’indice e il medio della mancina prima fra le labbra e poi fra le gambe di Craig per stimolarlo massaggiando il perineo e l’anello di muscoli attorno al suo ingresso; la sua erezione si strusciava contro quella altrui, tesa e inumidita del liquido preseminale; la mano destra salì a afferrare le ciocche di capelli sulla nuca del texano, inducendolo a reclinare il capo all’indietro per potergli suggere la pelle del collo; sapeva esattamente quali fossero le cose che più facevano eccitare Craig e quest'ultimo a propria volta seguiva l’istinto il quale lo guidava nel dargli piacere come se lo avesse sempre fatto: le proprie mani si muovevano al buio sapendo esattamente dove toccare e come. Gli strinse i glutei fra le dita, gli artigliò la schiena, esalando bassi versi ringhiati di piacere, fino a arrivare a avvolgere il sesso di Alex con la mano destra e iniziare a massaggiarlo per indurlo a porre fine a quella sorta di piacevole tortura cui lo stava sottoponendo: lo voleva, più di ogni altra cosa.
Non ricordava di esser mai stato penetrato; le poche volte in cui qualche suo ex aveva tentato di farlo, aveva sempre fatto in modo di evitarlo. Ma adesso lo desiderava con tutto sé stesso, voleva sentirlo dentro di sé, esser un tutt’uno con Alex. Inarcò la schiena, portò le gambe a circondargli i fianchi, cercando il suo sguardo nella penombra della stanza, cui si era gradualmente abituato fino a riuscire a vedere il suo viso e le sue espressioni. L’altro sorrise, con un leggero divertimento nello sguardo lascivo; premeva contro di lui, ma continuava a tenerlo sulle spine. Con un verso inarticolato, Craig diede un colpo di reni e fece in modo di ritrovarsi di nuovo a cavalcioni su Alex; teneva gli occhi fissi nei suoi, ardenti di desiderio e al tempo stesso di sfida, come a volergli dire che si sarebbe preso quello che voleva, certo dentro di sé che l’altro bramasse lo stesso, mentre raddrizzava il busto e con la mano guidava l’erezione altrui verso il proprio ingresso, quindi lo accolse in sé, lentamente, contraendosi su di lui e strappando al pompiere un gemito roco; sentì le sue mani afferrarlo per i fianchi e vi posò le proprie sopra, spingendosi verso il basso fino a arrivare a impattare contro il suo bacino.
Una scarica di piacere attraversò per intero il corpo di Craig, dal basso ventre fino al cervello, togliendogli il fiato e rubandogli l’ultimo brandello di ragione. Alex lasciò che fosse lui a stabilire il ritmo che preferiva, inizialmente, muovendo la mano sulla sua erezione per aumentare il suo piacere e tenendogli gli occhi addosso; quando i movimenti dell’altro si fecero più decisi e fluidi, quando sentì il suo corpo adattarsi alla propria presenza, allora iniziò a rispondere con movimenti del bacino che aumentavano la profondità degli affondi.
Craig si piegò su di lui, ansioso di sentire di nuovo la sua pelle contro la propria, tornando a cercare le sue labbra per un altro bacio, avido, prepotente, possessivo. Gli prese le mani, le inchiodò al materasso per impedirgli di portarlo all’orgasmo prima del tempo: voleva godersi quel piacere quanto più possibile. Alex lo lasciò fare, anche se di tanto in tanto, compulsivamente, cercava di liberarsi per poterlo toccare. Ma non lottava più di tanto: docilmente, quando l’altro serrava la presa, si abbandonava ad essa senza insistere; sembrava sapere cosa volesse e si lasciò trascinare da lui verso l’apice del piacere, solo per vederselo negare un attimo prima di raggiungerlo: Craig si mosse in modo da farlo uscire dal proprio corpo, strappandogli un mugolio di disappunto che però trasudava l’eccitazione incontenibile; si spostò per sistemarsi tra le gambe di Alex e questi le aprì senza opporre resistenza; Craig gli lasciò andare le mani soltanto in quel momento, si chinò a passare la lingua nel suo solco, si aiutò con le dita per prepararlo il poco necessario a non fargli male; poi, incapace di trattenersi oltre, affondò in lui con un unico movimento deciso.
Di solito poco rumoroso negli amplessi, questa volta dovette mordersi quasi a sangue il labbro inferiore per non rischiare che qualcuno li sentisse e Alex a propria volta si era portato il polso a coprire la bocca, per lo stesso motivo. Lo sentì fremere piacevolmente sotto di sé, il corpo che dopo la prima naturale resistenza lo aveva accolto ammorbidendosi nel languore di quel piacere profondo. Craig riprese a muoversi, masturbandolo e penetrandolo al tempo stesso con veemenza crescente. Per quanto desiderasse che quel momento durasse il più a lungo possibile, il loro amplesso era troppo intenso perché potesse resistere ancora molto: dopo pochi minuti sentì sopraggiungere l’orgasmo e vi si abbandonò aumentando il ritmo sia del movimento della propria mano sul sesso altrui, sia delle spinte le quali si fecero secche, rudi, serrate. Alex rispondeva a ogni stimolo senza alcuna remora né pudore: lo guardò, sfatto e bellissimo con i lineamenti stravolti dal piacere, avido di cogliere l’attimo in cui avrebbe visto la sua espressione dissolversi nella marea dell’orgasmo verso il quale lo stava portando, che non gli avrebbe più negato.
E questo sopraggiunse, pochi attimi dopo, in contemporanea al proprio. Il suo seme caldo gli sporcò la mano mentre il proprio si riversava nel corpo accogliente e pulsante di Alex. Continuò a muoversi, fino a quando fu certo che nemmeno una stilla venisse trattenuta. Lentamente, i propri movimenti si fecero più morbidi, fino a fermarsi del tutto. Gli crollò addosso, sfinito, soddisfatto. Stravolto dalle emozioni e dalle sensazioni. Incapace di pensare o dire alcunché. Avrebbe voluto restare ancora sveglio, ma non ne aveva le forze e probabilmente nemmeno Alex: si addormentarono entrambi profondamente, ancora avvinghiati, dimentichi di ogni altra cosa.
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